Rivista Anarchica Online


storia

Giellisti ed anarchici prima della guerra di Spagna
di Santi Fedele

È questo il titolo di una delle relazioni presentate al recente convegno di studi promosso dalla Biblioteca Franco Serantini (Pisa, 3 febbraio 2001) sui rapporti tra Carlo Rosselli ed in generale i militanti di "Giustizia e Libertà" con gli anarchici negli anni '30.


Carlo Rosselli

 

Sono noti, nelle linee essenziali, i rapporti di collaborazione realizzatisi tra Carlo Rosselli e il movimento Giustizia e Libertà (GL) da un lato e gli anarchici italiani e spagnoli dall'altro durante le prime fasi del volontariato antifascista italiano nella guerra civile spagnola.
Molto meno si è invece sino ad oggi indagato e riflettuto da parte degli studiosi su tutto ciò che fu a monte di quella collaborazione e ne rappresentò la premessa politica, vale a dire sull'insieme dei rapporti intercorsi durante la prima metà degli anni Trenta tra il movimento giellista e il movimento anarchico italiano in esilio. Dove ovviamente se con GL si indica un'entità politica definita e strutturata, seppure in forma non partitica, la dizione di movimento anarchico va invece intesa in maniera estensiva, tale da comprendere, oltre al gruppo parigino che a partire dal 1927 ha dato vita a un organo di stampa, La Lotta Umana, poi La Lotta Anarchica, che si richiama al programma dell'Unione Anarchica Italiana, anche tutto un insieme di circoli, gruppi, piccoli nuclei di militanti sparsi in diverse località d'Europa e d'America, tenuti assieme da un vincolo pressoché esclusivamente politico-ideale e dal canale di collegamento rappresentato da giornali quali Il Risveglio di Ginevra, Studi Sociali di Montevideo, Il Martello e L'Adunata dei Refrattari di New York.
Nella composita realtà dell'anarchismo italiano in esilio l'apparizione sulla scena antifascista della novità rappresentata da "Giustizia e Libertà" suscita quasi subito il più vivo interesse. Ciò per diverse ragioni.
Va anzitutto considerato che GL sorge in alternativa, se non in contrapposizione dichiarata, alla concezione e ai metodi di lotta adottati da quella Concentrazione antifascista alla quale, sin dalla costituzione, gli anarchici non avevano risparmiato le più aspre critiche di attendismo sterile.
Al contrario, è immediatamente percepibile la carica attivistica che anima i promotori del nuovo movimento, un attivismo che, come certamente non sfugge ai più attenti tra gli osservatori libertari, affonda le sue radici nel dichiarato rifiuto del determinismo marxista proprio dell'autore di Socialisme libéral.
A ciò si aggiunga che il volontarismo etico che pervade i fondatori di "Giustizia e Libertà" non solo si esprime nel proclamato primato dell'azione; ma quest'ultima, contrapposta alle sterili diatribe ideologiche dell'esilio, intende anche come atto audace esemplare, capace di scuotere coscienze sopite, risvegliare entusiasmi, indurre a fenomeni imitativi.
Niente di più emblematico in tal senso delle reazioni suscitate da quell'attentato di Fernando De Rosa al principe Umberto di Savoia in visita a Bruxelles che si produce nell'ottobre del 1929 proprio a poche settimane di distanza dall'avvenuta costituzione di GL: mentre gli esponenti della Concentrazione antifascista, sia nelle discussioni interne che nelle prese di posizioni ufficiali, pur non negando solidarietà antifascista a De Rosa, esprimono disapprovazione per atti di terrorismo giudicati politicamente improduttivi e che se compiuti in Paesi stranieri possono creare difficoltà a tutta l'emigrazione politica italiana; al contrario i giellisti, lungi dal far propria la condanna aprioristica del terrorismo individuale, manifestano piena approvazione per l'operato di De Rosa, sostenendo che in un regime dittatoriale che ha privato gli oppositori di ogni mezzo legale di lotta, l'alternativa è tra la sottomissione servile e il ricorso a "la rivoluzione di massa e l'attentato individuale". Conformemente a tale presa di posizione, nei mesi successivi manifestini di esaltazione del gesto di De Rosa vengono clandestinamente diffusi dalle organizzazioni di GL in Italia, mentre nelle pubblicazioni estere del movimento De Rosa viene salutato come "il campione dell'antifascismo, la coscienza ribelle di una generazione".
Gli anarchici in esilio non solo si trovano accomunati ai giellisti nell'esaltazione del gesto di De Rosa espressione dell' "odio insopprimibile del popolo d'Italia per la tirannia clerico-sabauda-fascista" e le "sue opere quotidiane di oppressione, di violenza, di delitto e di corruzione", ma salutano con toni altrettanto entusiastici il volo di Bassanesi su Milano del luglio 1930 assumendolo ad emblema della carica attivistica e insurrezionalistica che anima il movimento giellista. "Il programma del movimento che s'intitola 'Giustizia e Libertà' non è il nostro - si legge in un giornale di notevolissima diffusione e prestigio negli ambienti anarchici internazionali quale il ginevrino Il Risveglio -, ma in quanto tende a fare insorgere il popolo italiano contro il fascismo lo salutiamo con gioia, anche perché non avanza una pretesa di direzione esclusiva, non nega a priori la possibilità di accordi fra varie correnti, non si dà per unico interprete d'una dottrina infallibile, di cui ha monopolizzato la rivelazione e l'esecuzione".
All'apprezzamento per il carattere movimentista di GL, per la sua apertura alla collaborazione, sul piano dell'azione insurrezionale, con uomini e forze di diversa estrazione politica, si accompagna il prestigio di cui gode negli ambienti libertari un esponente di primissimo piano di GL quale quell'Emilio Lussu, il quale, respingendo il 31 ottobre 1926 da solo, armi in pugno, l'assalto di centinaia di squadristi alla propria abitazione cagliaritana, ha dato un esempio luminosissimo di determinazione eroica nel fronteggiare la violenza reazionaria, cui dovrebbero attingere - sostengono i redattori de Il Martello - gli antifascisti tutti.
Stando così le cose, la decisa presa di distanze dal movimento giellista, con l'insistita denuncia che dei caratteri "borghesi" e "moderati" del movimento fondato da Rosselli esprime sul finire del 1930 Camillo Berneri dalle pagine de L'Adunata dei Refrattari, ha tutta l'aria di voler più che altro "tamponare", con il richiamo puntuale a basilari discriminanti ideologiche, l'ondata di simpatie umane e politiche che tra gli anarchici italiani in esilio ha suscitato il movimento giellista. Tale rigida presa di posizione appare infatti finalizzata, come dirà esplicitamente qualche mese dopo il giovane pubblicista anarchico - dalle colonne sempre di quell' Adunata dei Refrattari che non a caso, tra i maggiori giornali anarchici di lingua italiana, è quello di gran lunga più intransigente in tema di rapporti e di alleanze tra antifascisti di diverso colore politico -, ad evitare "che degli elementi nostri si lascino polarizzare dai movimenti sedicenti rivoluzionari, che preparano i quadri ed i mezzi repressivi di una repubblica conservatrice".
Ma la capacità di attrazione esercitata su non pochi militanti anarchici dall'attivismo cospiratorio di GL, dalla mai rinnegata predilezione giellista per azioni audaci ed atti esemplari (non escluse azioni terroristiche dimostrative del tipo degli attentati incendiari agli Uffici finanziari e compresi i ripetuti progetti di attentati alla vita di Mussolini nei quali si cimenterà uno dei componenti del vertice esecutivo di GL: Alberto Tarchiani), dall'esempio di dedizione alla causa e di fermezza morale che hanno offerto decine e decine di militanti giellisti tradotti davanti al Tribunale speciale, prevale in più di un'occasione sulle pregiudiziali ideologiche. È quanto traspare dalle colonne de Il Martello, in cui, nel commentare l'avvenuta pubblicazione (gennaio 1932) dello Schema di programma rivoluzionario di Giustizia e Libertà, si sostiene che nei confronti dei militanti del movimento giellista, definito esplicitamente "la forza più importante" tra quante operano sul terreno della lotta antifascista, non debba esservi da parte degli anarchici "nessuna antipatia, né dottrinale, né personale [...]. Essi hanno delle buone intenzioni. Queste sono naturalmente in relazione alle loro convinzioni, ai loro interessi, alla loro mentalità [...]. 'Giustizia e Libertà', composta di borghesi, combatte con tutti noi una comune battaglia. La battaglia antifascista. E forse con più potenza e più efficacia di noi. Molti dei suoi aderenti sono nella fornace. Rischiano ad ogni momento la libertà. E quanti di essi sono già passati al massacro del Tribunale speciale!".
A spingersi ancora oltre è Alberto Meschi, che in un intervento dal titolo Gli anarchici e "Giustizia e Libertà", che appare sia ne La Lotta Anarchica (1° maggio 1932) che ne Il Martello (2 aprile 1932), non si limita ad indicare in "Giustizia e Libertà" il movimento che "ha scritto pagine splendide nella lotta contro il fascismo", ma, con riferimento al Programma di GL, apparso sul primo numero (gennaio 1932) dei Quaderni di Giustizia e Libertà e destinato a suscitare ampie discussioni e vivaci polemiche negli ambienti antifascisti, dichiara di apprezzare di esso quella componente rivoluzionario-spontaneistica rappresentata dall'ipotesi di comitati locali rivoluzionari cui sarebbe toccato, all'indomani della rivoluzione antifascista vittoriosa, di porre le basi della nuova organizzazione sociale indipendentemente e prima della convocazione di un'assemblea costituente; arrivando ad ipotizzare la partecipazione degli anarchici ai comitati in questione al fine di combattere e imbrigliare dall'interno il temuto ritorno delle tendenze autoritarie e statolatre.
Ve ne è a sufficienza per suscitare le reazioni di chi come Gigi Damiani sostiene che, riconosciuto il diritto a "Giustizia e Libertà" a darsi un programma, "che è un programma di Stato, di governo", e ferma restando la possibilità d'intesa tra forze diverse nella battaglia contro il comune nemico, occorre però guardarsi dal pericolo di una forma di compartecipazione, come quella ipotizzata dal Meschi, "che fatalmente si risolverebbe poi più che in una fusione di forze in una subordinazione nostra a movimenti non nostri ed al nostro antagonistici". Ancora più dura la reazione del gruppo redazionale de La Lotta Anarchica, che, dopo aver liquidato il Programma di GL alla sua apparizione come "di pura marca ed essenza piccolo-borghese", farà seguire all'articolo di Meschi ospitato nel quindicinale libertario una postilla redazionale in cui si sostiene che le proposte "collaborazioniste" dell'esponente anarchico sono rivelatrici di uno stato d'animo di sfiducia sul futuro della dottrina e della pratica libertarie.
Ben maggiore inquietudine e preoccupazione susciteranno di lì a poco tra gli anarchici intransigenti della newyorkese Adunata dei Refrattari e i rigorosi custodi dell'ortodossia libertaria raccolti attorno a La Lotta Anarchica di Parigi, i pronunciamenti "filogiellisti" di colui che, dopo la morte di Malatesta, è la più prestigiosa figura del movimento anarchico italiano in esilio: Luigi Fabbri. Questi già a metà del 1932 aveva dichiarato di aver guardato al sorgere e all'affermarsi del movimento giellista con viva simpatia perché, "facendola finita con le chiacchiere, scendeva sul piano dell'azione dove era più pericoloso ed utile insieme: in Italia", e che malgrado il carattere democratico-borghese, venato di riformismo socialista, di GL, "il sorgere di una forza così attiva sopra un terreno francamente antimonarchico e insurrezionale, non escludente neppure la rivolta individuale, costituiva lo stesso di per sé un fatto rivoluzionario nuovo e pieno di promesse per tutti quanti vogliamo una rivoluzione in Italia".
L'anno successivo, rispondendo ad un'inchiesta promossa dai Quaderni di Giustizia e Libertà sul tema del rinnovamento politico e ideale dell'antifascismo, Fabbri ribadisce la simpatia provata sin dal primo momento per GL, per "l'essersi essa posta sul terreno francamente insurrezionale, non escludente neppure la rivolta individuale, [per] il suo anelito di libertà, il suo volontarismo dinamico e i suoi propositi di azione diretta, di azione soprattutto in Italia". Fabbri mostra inoltre di apprezzare quelle parti del Programma di "Giustizia e Libertà" che, prevedendo una serie di radicali trasformazioni socioeconomiche immediate, scaturenti dalla spontaneità creatrice del processo rivoluzionario, conferiscono alla rivoluzione antifascista un carattere tendenzialmente libertario, di libera creazione dal basso, ben diverso dal modello autoritario e statalista della concezione marxista.
"Credo - scrive Fabbri - che se questo movimento conserverà il suo slancio iniziale e soprattutto il suo carattere di azione sul terreno cospiratorio e insurrezionale in Italia, subito, fin da ora e non solo come progetto per il domani, esso potrà essere un fattore di primo ordine per la rivoluzione italiana. Ciò che soprattutto approvo di esso è l'idea che la rivoluzione debba procedere immediatamente, fin dai primi passi, e senza rimandarle a più tardi e alle decisioni insicure di costituenti, plebisciti, governi ecc., a realizzazioni pratiche di demolizione, espropriazione e riorganizzazione che possano restare conquista acquisita del popolo italiano". Quindi, in conclusione - sostiene Fabbri -, niente confusionismi ideologici deleteri ma neppure rivalità meschine e settarismi ingiusti tra anarchici e giellisti, ma un atteggiamento equilibrato che nel "mentre non deve escludere la critica e discussione serene dei punti controversi del programma o degli eventuali errori di GL", non deve neppure escludere "dall'altro lato, volta a volta, per singole sue azioni determinate, il concorso spontaneo del proprio sforzo, senza patteggiamenti, né impegni per il poi, né pretese di contraccambio e rinuncia".
Posizioni che Fabbri riconfermerà in un successivo articolo in Studi Sociali, anche per rispondere alle ripetute obiezioni critiche dei compagni de L'Adunata dei Refrattari che, in un articolo a firma del direttore del quindicinale anarchico Raffaele Schiavina, non mancheranno di esternare la "dolorosa impressione" in essi suscitata dalle dichiarazioni "filogielliste" di Fabbri.
Ma l'attenta considerazione, e financo il franco apprezzamento di taluni aspetti del movimento giellista, non sono all'interno del movimento anarchico italiano prerogativa esclusiva di Fabbri, come staranno per l'appunto a dimostrare le discussioni che si sviluppano in occasione di quel Convegno d'intesa degli anarchici italiani emigrati in Europa che si tiene a Parigi nell'ottobre del 1935, proprio alcune settimane dopo la morte di Fabbri occorsa a Montevideo nel giugno dello stesso anno.
Avviene infatti che in una delle relazioni introduttive ai lavori del Convegno, imperniata sul problema dei rapporti dei libertari italiani con gli altri partiti e gruppi antifascisti, si indichi in "Giustizia e Libertà", oltre che in alcuni settori del repubblicanesimo e del sindacalismo rivoluzionario in esilio, l'interlocutore privilegiato per l'avvio di un leale e proficuo rapporto di collaborazione tra combattenti dell'antifascismo di orientamento diverso ma accomunati dall'avversione ai "partiti e gli uomini del passato, rimasti invariabilmente gli stessi aspiranti al potere, disposti a compromessi politici e sociali". Sono per l'appunto le componenti "eretiche" e minoritarie della sinistra italiana rimaste fuori dalla logica della politica di unità d'azione socialcomunista avviatasi nel 1934, le forze con le quali, come si ribadisce in un altro documento del Convegno, gli anarchici devono essere disposti al dialogo e, se possibile, all'intesa, anche al fine di controbattere la manovra tendente all'isolamento dei libertari tentata dai comunisti "bolscevichi". Con questi ultimi nessun dialogo è assolutamente possibile, perché significherebbe dimenticare "che per noi [anarchici] e per la rivoluzione sociale, il nemico più perfido e insidioso, dopo il fascismo, è il partito comunista ufficiale", stante la sua dichiarata intenzione di sostituire la tirannide fascista con quella "dittatura cosiddetta 'proletaria', la quale, in fin dei conti, diventa perniciosa e tirannica quanto l'autocrazia".


Luigi Fabbri

Ancora più esplicito l'intervento nel dibattito del Convegno parigino di Sabino Fornasari (che figura negli atti con lo pseudonimo Lambrusco), il quale motiva l'opinione per cui siano opportuni i contatti e, in qualche misura, anche la collaborazione con "Giustizia e Libertà", facendo osservare che "GL più che un partito è un 'movimento rivoluzionario', movimento sorto in un momento storico molto difficile ed animato da uno spirito rivoluzionario e cospirativo che raramente troviamo negli altri gruppi politici. Inoltre conviene tener conto che, mentre gli altri partiti hanno sempre calunniato e vituperato il movimento anarchico, anche in quello che ha avuto di più generoso ed eroico, GL non solo ha compreso ed apprezzato, in certe circostanze, il nostro apporto all'azione rivoluzionaria e cospirativa, ma ci ha pure, a volte, incoraggiati e forse aiutati".
Ma l'aspetto più interessante della questione, per alcuni aspetti ancor più rilevante e significativo delle ripetutamente manifestate simpatie filogielliste di Fabbri e delle prese di posizione fatte registrare dal Convegno d'intesa dell'ottobre 1935, è il mutamento che, a metà degli anni Trenta, si registra nell'atteggiamento di Berneri nei confronti di "Giustizia e Libertà". Nessuna incondizionata apertura di credito né deroghe dall'ortodossia libertaria, ma un atteggiamento di grande interesse, di vigile attenzione verso gli sviluppi interni del movimento giellista. Ad esso contribuiscono diversi fattori.
Concorre indubbiamente la constatazione dello spazio e della risonanza che sulla stampa giellista hanno gli interventi di un intellettuale dalle spiccate connotazioni socialiste-libertarie come Andrea Caffi, le cui penetranti analisi dei meccanismi degenerativi, in senso sempre più marcatamente illiberale e autoritario, delle società di massa non possono non suscitare l'interesse di un osservatore dell'acutezza di Berneri.
Va poi ricordato come le più volte ricorrenti critiche di Rosselli agli aspetti più opprimenti della moderna organizzazione statale siano sfociate nel celebre articolo del settembre 1934 Contro lo Stato, destinato a suscitare non poche polemiche all'interno del stesso movimento giellista, nel quale Rosselli spinge la propria provocazione politico-intellettuale sino ad espressioni del tipo: "vi è un mostro nel mondo moderno - lo Stato - che sta divorando la Società [...]. L'alternativa è ormai chiara: o lui, lo Stato, schiaccia noi, la Società, o noi abbattiamo lo Stato moderno liberando la Società". Per giungere alla conclusione che "la rivoluzione italiana, se non vorrà degenerare in una nuova statolatria, in più feroce barbarie e reazione, dovrà, sulle macerie dello Stato fascista capitalista, far risorgere la Società, federazione di associazioni quanto più libere e varie possibili".
Non si può inoltre prescindere dal fatto che il dibattito interno a GL, sviluppatosi nel corso del 1933, sull'opportunità della trasformazione o meno del movimento in partito, si è, almeno provvisoriamente, risolto con la prevalenza della tesi di Rosselli che intende GL non come organismo partiticamente strutturato ma come "libera federazione dei nuclei che saranno i partiti di domani e che hanno già in comune un certo numero di principi fondamentali (lotta rivoluzionaria, rivoluzione non solo politica ma sociale, autonomie, rispetto del metodo della libertà)"; una libera federazione non escludente la costituzione, all'interno di essa, di gruppi di studio e di tendenza marxisti, federalisti, socialisti liberali, sindacalisti, comunisti, liberali, anarchici, tenuti insieme dalla disciplina del lavoro rivoluzionario, i quali discutano ed elaborino le idee e i programmi per la nuova Italia.
Più in generale, è l'insieme del dibattito e del travaglio politico e culturale interno a GL che denota la prevalenza, attorno alla metà degli anni Trenta, di un socialismo dalle spiccate connotazioni autonomiste e federaliste.
Autonomismo non solo e non tanto nel senso dell'autonomia quale criterio gestionale delle aziende delle quali il Programma del 1932 prevedeva la socializzazione, ma nel significato politico più ampio, per come gobettianamente inteso dal gruppo giellista torinese raccolto attorno a Leone Ginzburg, dell'autonomia quale principio ispiratore e criterio informatore del libero sorgere e dello spontaneo costituirsi di una pluralità di formazioni democratiche nelle quali si sarebbe articolata la futura vita politica e sociale dell'Italia liberata dal fascismo.
A sviluppare il tema dell'autonomia intesa essenzialmente quale spontaneità rivoluzionaria creatrice di forze non imbrigliate negli schemi di un rivoluzionarismo dottrinale, contribuisce per l'appunto Rosselli sostenendo che, "una volta scatenate le forze di libertà alla base della vita sociale e abbattute le forze del privilegio e dell'oppressione di classe al vertice dello Stato, allora la vita riprenderà, si riorganizzerà. Sarà il popolo, allora, a decidere attraverso le nuove istituzioni sorte dalla rivoluzione (comitati rivoluzionari, consigli, comuni, cooperative ecc.) le sue forme definitive di vita. Sarà il popolo che si autogovernerà".
In virtù di questa sottolineatura spontaneistica, l'autonomismo si riconnette al federalismo, quest'ultimo inteso non tanto in senso territoriale quanto nei termini di una libera aggregazione tra gli istituti politici, economici, sociali cui avrebbe dato vita la spontaneità creatrice del processo rivoluzionario.
E non è certamente un caso che Rosselli sia stimolato ad approfondire e sviluppare temi siffatti proprio nell'ambito del serrato confronto dialettico che egli ha con Berneri nel dicembre del 1935 sulle colonne di Giustizia e Libertà settimanale sul tema dell'apporto che dagli anarchici italiani sarebbe potuto venire a una rivoluzione antifascista imperniata su ideali non antitetici a quelli del socialismo libertario. È proprio allora che, stimolato da Berneri a precisare i termini del federalismo e dell'autonomismo giellisti, Rosselli enuclea nei seguenti termini i punti salienti di una concezione per cui "gli organi vivi dell'autonomia non sono gli organi burocratici, indiretti, in cui l'elemento coattivo prevale, ma gli organi di primo grado, diretti, liberi o con un alto grado di spontaneità, alla vita dei quali l'individuo partecipa direttamente o è in grado di controllare. Quindi il comune, organo territoriale che ha in Italia salde radici e funzioni; il consiglio di fabbrica e di azienda agricola, organo o uno degli organi dei produttori associati; la cooperativa, organo dei consumatori; le camere del lavoro, i sindacati, le leghe, organi di protezione e cultura professionale; i partiti, i gruppi, i giornali, organi di vita politica; la scuola, la famiglia, i gruppi sportivi, i centri di cultura e le innumerevoli altre forme di libera associazione, organi di vita civile". Ne consegue che "è partendo da queste istituzioni nuove o rinnovate, legate tra loro da una complessa serie di rapporti, e la cui esistenza dovrà essere presidiata dalle più larghe libertà di associazione, di stampa, di lingua, di cultura, che si arriverà a costruire uno stato federativo orientato nel senso della libertà, cioè una società socialista federalista liberale [...]".
Un confronto di elevato profilo politico e culturale, che vede Berneri controbattere, con l'orgoglioso richiamo e la fiera rievocazione delle migliori tradizioni dell'anarchismo italiano e internazionale, alla pretesa di Rosselli di autodefinire se stesso e i suoi compagni i "libertari del XX secolo"; che lo vede rivendicare puntigliosamente l'autonomia politica e organizzativa degli anarchici contro ogni tentativo di assorbimento che li porterebbe "a fare, in seno a GL, la parte che il rosmarino fa nell'arrosto", ma nello stesso tempo a non escludere la possibilità che ulteriori sviluppi inducano GL ad evolvere decisamente verso il socialismo libertario.
È un confronto quanto mai serio e rigoroso quello che, all'insegna di un sincero spirito di tolleranza e di rispetto reciproco, si va sviluppando tra posizioni di socialismo liberale (Rosselli) e socialismo libertario (Berneri) distinte ma non antagoniste.
Un confronto che - giova notarlo - si produce proprio nell'imminenza dello scoppio della guerra civile spagnola e da cui non si può prescindere per comprendere le ragioni, tutt'altro che occasionali, dei rapporti di stretta collaborazione che nelle prime fasi di essa si producono, anche sul piano dell'intervento militare, tra giellisti e anarchici italiani e spagnoli.
Un confronto che si sarebbe con ogni probabilità ulteriormente approfondito se un diverso ma comune destino di vittime della barbarie totalitaria non avesse di lì a poco investito i protagonisti: Berneri assassinato il 5 maggio 1937 a Barcellona dagli agenti di Stalin; Rosselli trucidato il 9 del mese successivo in terra di Francia dai sicari di Mussolini.

Santi Fedele

Santi Fedele (Messina, 1950) insegna Storia Contemporanea nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Messina. Fa parte del Comitato Scientifico della Fondazione Turati di Firenze ed è direttore dell'Istituto Salvemini di Messina.


Umberto Marzocchi