Rivista Anarchica Online


a cura di Mario Bossi

 

Non me n'ero accorto. Eppure tutti gli anni lo facevano dalle mie parti. La prima volta che ho frequentato l'Isola Folk è stato nel '95, e quasi non credevo ai miei occhi. Un festival di musica popolare, completamente gratuito, dotato di diversi palchi e differenti stage di danza.
Tutto questo avveniva a Suisio, paesello della bergamasca. Un torrente di persone invadeva le strade, dove alloggiavano spine che smazzavano birra a fiumi, bancarelle pacifiste e di finalità solidali, bonghisti stacanovisti in overdose da cannabis, musicisti in vena di sessions acustiche, (talvolta gli stessi che hanno appena terminato un concerto e che desiderano improvvisare con chi trovano per strada), punkabbestia in calore, vecchine gerovital che danzavano a manetta, e una fiumana di eterogenea gioventù che si dimenava al ritmo di musiche tradizionali di ogni tipo: dal tarantismo fino ad arrivare alla tradizione celtica, senza distinzioni di sorta. Certo, detta così sembra uno "sfogatoio" tradizional popolare, ma la proposta dell'Isola Folk non si limita a questo. Ci trovi anche mostre di strumenti popolari, spesso ricostruiti da appassionati che hanno speso anni in ricerche sul territorio per poterli recuperare e fabbricare ex novo; Vi sono rassegne di canto popolare dove vecchi e giovani scambiano i loro saperi e la tradizione mostra il suo lato più conservativo. Roba da tempi andati, non c'é dubbio, e forse anche un po' fricchettona nello spirito.
Ho cominciato a chiedermi il perché di quel miracolo, cresciuto e sviluppatosi lontano dalle morbose et mefitiche identità padane di stampo leghista; in una zona, elettoralmente parlando, fagocitata dal carroccio con insana voracità. Da quell'anno ne ho seguito assiduamente le edizioni successive, e tutto questo non ha fatto che crescere. I tre giorni di concerti si sono allargati ad altri due paesi: Solza e Bonate Sotto. Dopo averne seguite sei edizioni, mi è venuto spontaneo cercare di contattare gli organizzatori di questo popò di festival, che si ostinano a mantenerne la gratuità ad oltranza, al di fuori di qualunque legge di mercato. Il primo approccio talvolta è esplicativo della natura di chi sta dall'altra parte della cornetta: "Ok, dai, vieni qua a mangiare una sera che chiacchieriamo assieme...". Gli proponi un'intervista e ti offrono una cena: cacchio si può volere di più? In compenso, da bravo cafonazzo inabile alla comprensione dello stradario bergamasco, sono giunto alla loro dimora in pesantissimo ritardo. Vabbeh, ma andiamo oltre. Di fronte al mio piatto di polenta coi funghi chiedo a Massimo Bonfanti e Fabrizio Ghisleni (rispettivamente direttore artistico e presidente del comitato Isola Folk) come è iniziata tutta la vicenda:
"Eravamo un gruppo di amici che seguiva la musica popolare. È nato tutto spontaneamente, ed abbiamo cominciato ad organizzare attività culturali. Inizialmente organizzammo un festival rock qui ad Almenno S. Bartolomeo (dove abita Fabrizio, N.d.A.), che si chiamava Rockolone. Lo chiamavamo così perché si teneva al parco del Roccolone qui ad Almenno, e quest'esperienza ci ha permesso di imparare come organizzare e strutturare una manifestazione musicale: richiesta dei permessi, gestione del palco, del service dedicato all'amplificazione, etc. Lo abbiamo fatto per cinque anni, fino al '92. Abbiamo cominciato a pensare ad Isola Folk durante il viaggio ritorno dal festival di Lautembach "Liutherie dancerie met musik", che si tiene tutti gli anni in Alsazia. Vi avevamo partecipato col gruppo della Roncastalda, e la maggior parte di noi era di Suisio. Pensavamo: 'Potremmo farlo al rione Castelletto (frazione caratteristica piena di corti, che attualmente ospita ancora il festival, N.d.A.)'. Ma per lungo tempo non fummo sicuri della sua ubicazione: per questo lo abbiamo chiamato Isola Folk. Così decidemmo subito che , indipendentemente dalla risposta che ci avrebbe dato Suisio, l'avremmo organizzato comunque in un paese della isola bergamasca."
Già, l'isola bergamasca, trattasi di quell'area delimitata dai fiumi Adda e Brembo: il secondo affluisce nel primo in prossimità di Trezzo d'Adda, località dove si 'chiude' l'isola. I bergamaschi l'hanno chiamata così proprio in virtù del suo isolamento geografico dettato dall'essere circondati da due fiumi che decorrono piuttosto vicini uno all'altro.
Il comune di Suisio fu comunque il primo a dare la disponibilità ad organizzare il festival: "Così formammo subito un comitato informale per l'organizzazione di Isola Folk, e fin dalla prima edizione le cose funzionarono bene: Suisio era il paese più idoneo perché aveva gli stall molto vicini fra di loro, a volte quasi comunicanti. Le edizioni successive hanno poi visto un maggior coinvolgimento delle realtà di paese, e questo ha ulteriormente facilitato le cose". Dimenticavo: gli stall sono le corti dove si tengono gli spettacoli e le danze. Sono chiaramente spazi privati che i cittadini di Suisio "aprono" alla tre giorni di musica popolare. L'anno scorso il comitato promotore Isola Folk ha preso le vesti ufficiali di una ONLUS: "Per la tutela della conservazione, la promozione, lo sviluppo del patrimonio di musica popolare e delle sue espressioni linguistiche, di costume e di tradizioni locali; per stimolarne la conoscenza favorendo scambi culturali con enti, gruppi e persone di altre realtà territoriali, regionali, nazionali ed europee", e potete scaricare integralmente questa dichiarazione di intenti direttamente dal loro sito Internet: www.bitbit.it. Il loro commento a riguardo è lapidario: "Era un atto dovuto. Siamo sempre stati un gruppo informale, ma ormai le dimensioni del festival erano troppo grosse: c'è servito per risparmiarci un po' di beghe legali".
I quattrini sono ovviamente uno dei problemi più grossi: "Tutti i gruppi, senza distinzione alcuna, ricevono soltanto vitto, alloggio e un rimborso spese proporzionale alla distanza che devono percorrere per raggiungere il festival. La nostra manifestazione ha una gran visibilità e permette ai giovani di mettersi in luce; funziona anche come incontro, poiché vi suonano molti gruppi e per i musicisti è possibile confrontarsi, conoscersi. Sono nate anche nuove band grazie ad Isola Folk, e speriamo che ciò possa continuare in futuro. Comunque Isola Folk è fatta in maniera tale che nessuno deve guadagnarci, pensa che all'inizio il compenso per i musicisti era addirittura di proporzioni simboliche, 100.000 lire o giù di lì". È bene calcolare che l'afflusso popolare nelle strette stradine e nelle varie corti sfiora la ragguardevole cifra di 30.000 persone in tre giorni! È il clima della festa che attira la gente ed i musicisti dalle regioni più disparate di Italia e d'Europa, ed alla gratuità dei concerti e degli stage di danza si aggiunge anche la possibilità per chi viene da fuori di disporre di un'area attrezzata per il campeggio libero. Ed infatti "Gruppi come la Moresca e Riccardo Tesi hanno suonato anche al festival di S. Chartier, uno dei più grossi eventi di musica popolare al mondo, che dispone di ben altri budget rispetto a noi, che godiamo di finanziamenti cosiddetti 'istituzionali' di dimensioni ridicole. Ma nonostante tutto sono venuti a suonare da noi con il solo rimborso spese. I Ludas Ensemble sono ungheresi, e l'anno scorso abbiamo dovuto insistere parecchio per farli venire, la formula del rimborso spese non gli andava bene. Quando però hanno visto la situazione non credevano ai loro occhi, hanno capito subito lo spirito della festa, ed ora sono nostri grandi amici". E così una trentina di gruppi folk invadono l'isola bergamasca rinunciando al proprio cachet. Va comunque precisato che la quantità e la qualità del pubblico è tale che spesso i musicisti riescono comunque ad incassare forti somme di denaro con la sola vendita diretta dei loro dischi. Altro particolare interessante: esiste un palco "libero" a disposizione di coloro che vogliono esibirsi al di fuori della programmazione musicale. Chiunque voglia suonare può salirvi con la sua band o improvvisare con musicisti di passaggio. Possono essere anche musicisti alle prime armi, è aperto a tutti.
Il comitato non ha comunque le forze sufficienti per gestire l'intera macchina organizzativa della tre giorni: "Abbiamo coinvolto gruppi ed associazioni locali per la gestione dei bar e della ristorazione, con i quali dividiamo il ricavato. Ad esempio il gruppo giovanile "Peter Pan", che persegue una politica di tematiche sociali per i giovani, è solito finanziarsi con l'isola folk: poi investono questi soldi nei loro progetti durante l'anno. Poi c'è una parte della ristorazione che è gestita direttamente dal comitato, è quel bar dove si fa la polenta, quello più tradizionale".
La chiacchierata prosegue a briglia sciolta, mentre la polenta soccombe sotto le mie inesorabili fauci. Gli faccio notare che gli ultimi 50 anni di sviluppo economico sono stati devastanti: ritmi e ritualità che accompagnavano la nostra vita, che erano l'humus della produzione culturale popolare, sono stati in gran parte cancellati da un modello di sviluppo sempre più invasivo ed asfissiante. Gli chiedo dunque quale speranza di sopravvivenza può avere la musica tradizionale e popolare al di là una semplice, seppur meritoria, opera di conservazione: "Ci sono due aspetti della cultura popolare: uno può essere quello leghista, reazionario, che la vede come qualcosa di statico che genera soltanto un senso di appartenenza di stampo razzista, l'altro invece intravede nella tradizione una rivincita di un modello culturale in estinzione, una nuova rivalutazione della cultura popolare come espressione delle masse. Oggi ci sono molti gruppi che suonano canzoni popolari con basso e chitarra elettrica, ma anche con strumenti tradizionali. Vi è una contaminazione col rock ed altri generi musicali che si innestano con le identità locali, si riscoprono vecchie canzoni e si interpretano in maniera differente. È un periodo di contaminazione, e così ad esempio succede che musicisti arabi e bretoni si mettano a suonare assieme. Queste cose sono già successe 10 anni fa in Francia, e cinque anni fa in Piemonte, dove ad esempio band come i Gai Saber, un gruppo pieno di giovanissimi musicisti, hanno riscoperto la musica tradizionale occitana e hanno fatto qui ad Isola Folk dei concerti infuocati (un po' come i Lou Dalfin dal vivo, N.d.A.), tradizionali ed "elettrici" allo stesso tempo. Vi è un recupero identitario in tutto questo. Qui da noi questa cosa sta cominciando a prendere piede adesso, c'è una specie di contagio tra i giovani, la musica popolare non tende a sparire, ma a modificarsi sempre". Concludiamo parlando, tra le altre cose, delle rovine longobarde: "Ogni volta che scavano qui ad Almenno scoprono qualcosa, e allora richiudono perché non vogliono fare nulla per la conservazione del patrimonio archeologico (alla faccia dell'identità celtica del senatùr.)", dei loro amici di Lautembach: "vengono tutti gli anni, e se non hanno un palco a disposizione si mettono a suonare per strada.". Oppure dell'esibizione di Giulio Donadoni: "È uno che costruisce strumenti con le pietre, le lattine e vari materiali di scarto. Ha fatto un concerto incredibile, alla fine erano tutti in lacrime." (lo spettacolo si chiamava "Il suono delle campanine", N.d.A.). Infine Fabrizio mi confessa che l'alimento più anarchico, secondo lui, sono i funghi: "Crescono ovunque, senza preavviso, in modo libero ed imprevedibile", un vero romanticone. Piccola nota finale: Isola Folk non finisce mai con i concerti. Esaurita la programmazione 'ufficiale' uno stuolo di organetti, violini e quant'altro si distribuisce in giro per il paese. Mi ricordo, una domenica di quattro anni or sono, che camminando verso l'automobile alle tre di notte trovai una cinquantina di sciamannati nello spazio davanti alla chiesetta: ballavano al suono di tre organetti diatonici, sotto uno spettacolare cielo stellato. La mattina dopo si andava a lavorare, ma sono rimasto lì per un po'.

Mario Bossi


Il gruppo Narbapedana. Foto di Monica Frigerio