Rivista Anarchica Online


Veneto & dintorni

Passaggio a Nord-Est
di Francesco Codello

Una terra senza disoccupazione, ricca e piena di "sior paron". Ma anche...

 

Siamo nel "mitico" nord-est dell'Italia, l'area geografica che ha avuto il più forte sviluppo economico del Paese, il Giappone dell'Europa, quella più votata, ancor prima della caduta del muro, a relazioni privilegiate con il mercato emergente degli ex paesi dell'est. Siamo in città e paesi dove non esiste la disoccupazione, dove vi è una altissima percentuale di proprietà edilizie, dove non si contano mai le ore che si lavora, dove "el paron" ha preso il posto del "commenda" del boom economico.
Ci troviamo di fronte ad una realtà che ha attratto giornalisti, analisti, sociologi e commentatori vari, da ogni parte del mondo, dove anche il piccolo artigiano si è abituato a vendere i suoi prodotti in ogni paese possibile, dove vi è una grossa concentrazione di investimenti in borsa (tanti e piccoli ma diffusi), dove non si contano più il numero di sportelli bancari che hanno preso il posto di bar, negozi, ecc. dai piccoli paesi di montagna ai capoluoghi di provincia.
In questa parte dell'Italia sono concentrate anche industrie che segnano fortemente il marketing dell'intero paese, offrono un'immagine di innovazione e di creatività industriale unica nel suo genere e che ha fatto scuola nel mondo intero.
Nessuno emigra più in cerca di lavoro e il tessuto economico si regge soprattutto su un'industrializzazione diffusa e un'agricoltura ricca e caratterizzata da vere e proprie aree prodotto.
Prevale la religione del lavoro come strumento principe per l'accumulazione di denaro che a sua volta serve soprattutto per permettersi tanti "status symbol" che psicologicamente costituiscono l'affrancamento e l'affermazione di una nuova identità da esibire nelle occasioni giuste.
Accanto a questa vitalità ed energia economico-imprenditoriale diffusa assistiamo ad una pigrizia politica delle forze tradizionali tanto che dal '92 in poi, in modo preponderante e forte, trionfano formazioni politiche assolutamente nuove sul panorama politico come la Lega e Forza Italia, che si impongono nella stragrande maggioranza delle amministrazioni e quando la sinistra tradizionale vuole cercare di concorrere deve nascondersi dietro liste civiche o cercare candidati in un'area tradizionalmente non certo progressista.
All'interno della grande industria si assiste ad una rivendicazione spinta di potere ("contare di più") rispetto alle sedi tradizionali e alle figure storiche del capitalismo italiano.
Emblematici in questo senso sono da un lato le scelte politiche dei Benetton, che inventano uno strumento scientifico di sfruttamento senza avere alcun contraccolpo ad ogni possibile ristrutturazione (la produzione nei laboratori gestiti da dipendenti fidati) e, attraverso specifici accordi sindacali, un'assenza totale di conflitto interno alle aziende. Accanto a ciò gli stessi Benetton anticipano la globalizzazione trasferendo sempre più la produzione in paesi poveri, dove la manodopera si compra a basso costo, mentre il cervello e il terziario aziendale vengono lasciati in loco. Dall'altro lato le ultime elezioni in Confindustria portano alla ribalta nazionale con la vicepresidenza il presidente degli industriali veneti, Nicola Tognana.
Questi successi locali però trovano fondamento in un tessuto sociale ed economico che non ha visto seguire a questo sviluppo un altrettanto successo politico (in termini di rappresentanza) e soprattutto è evidente l'arretratezza delle infrastrutture viarie, di servizi, di rete che costituiscono un vero e proprio limite allo sviluppo economico del locale capitalismo. Intorno a queste rivendicazioni si è andato formando un blocco sociale e politico trasversale alle logiche politiche tradizionali che punta a dare alla propria terra, quindi a se stessi, un nuovo ruolo all'interno del sistema-paese.

 

Valori arcaici

Ma accanto a questa realtà ve ne è un'altra significativamente evidente: l'arretratezza culturale, che si evince dalla scarsezza di servizi sociali, dal basso numero di laureati e diplomati (a cosa serve infatti studiare quando a quattordici anni puoi facilmente trovare lavoro e realizzare subito i sogni che l'immaginario ti propina e ti fa conquistare), dal persistere di tradizioni e valori assolutamente arcaici o peggio in una diffusa delega alle altre istituzioni da parte degli individui e delle famiglie su tante e vitali questioni.
Significativo a questo proposito l'aumento enorme di problematiche fino ad oggi marginali come le grosse "fette" di disagio giovanile, che si manifestano all'interno delle scuole e nelle varie associazioni, rispetto a difficoltà relazionali, bullismo, disturbi di comportamento, ansia e depressione, vandalismi, ecc.
Insomma in parallelo ad uno sviluppo economico accelerato, una situazione sociale e culturale di estrema povertà, una caduta di stimoli intellettuali, una ricerca affannosa e in tempi brevi di successo e potere, un'insoddisfazione esistenziale sempre più diffusa.
Il lavoro come mito ha preso il posto del lavoro come necessità. Attenzione però, perché cresce enormemente la richiesta di coprire i lavori più umili e faticosi con manodopera importata dai paesi più poveri e marginali. Insomma coesistono, come in tutte le fasi di accelerata trasformazione, tendenze e spinte contrastanti che sono di difficile decifrazione ed interpretazione se non si coglie l'insieme del processo in atto.
Questa schizofrenia sociale contempla al suo interno punte estreme di globalizzazione ed estreme rivendicazioni autonomistiche; disponibilità avanzate di apertura economica con paure e ansie tipiche di chi si trova a temere la diversità.
In questo quadro così frammentato, disgregato, coesistono iniziative di imprenditoria culturale (privati e banche che promuovono la nascita di Università ad esempio; imprese che reclamano a Roma quote maggiori di manodopera a bassa qualificazione e forniscono "gratuitamente" i relativi servizi sociali) con una paura inconscia di tutto ciò che l'industria del crimine e dello sfruttamento schiavistico porta con sé: furti, stupri, violenze, prostituzione, droga, ecc.

 

Globalizzazione e localismo

Ecco che nascono fenomeni significativi come il sindaco di Treviso, che si fa interprete e portavoce delle insicurezze di chi è stato abituato a vivere dentro cornici sicure e ben delimitate, che pesca negli aspetti più vergognosi dell'animo umano (xenofobia, nazismo, razzismo, difesa di privilegi, paure inconsce, ecc.) e costruisce una governabilità a furor di popolo fondata su attenzione agli arredi e al maquillage di facciata e su "battute" proprie della cultura del totalitarismo piccolo-borghese (vestire gli extra-comunitari da leprotti per far esercitare i cacciatori, ripristinare i carri piombati, ecc.) dando voce esplicita ad una difesa arroccata e alla conferma di privilegi e sicurezza alle paure del nuovo. Ecco che sale il mito della giustizia locale e pratica, diretta e da caccia alle streghe, impersonata proprio dal primo cittadino che si autoproclama "il sceriffo Gentilini" (anche la grammatica scorretta fa parte del personaggio popolare), che dà la caccia personalmente a ladruncoli, toglie le panchine perché non si possano sedere "i negri", dota i vigili di manganelli e presto di pistole, dà la caccia alle puttane e deride e insulta gli omosessuali. Insomma un vero e proprio clima di irrazionalità, di guerra senza armi (per il momento), un lavoro continuo ed incessante di agitazione degli spettri delle paure: di esistere, di essere defraudati, dei diversi di ogni tipo. La sua popolarità si fonda quindi sui timori di chi si sente minacciato dalla globalizzazione e sull'agitare sistematicamente la ricchezza e la purezza del localismo, del particolarismo, in sostanza dell'egoismo.
Questo sembra dunque essere il famoso nord-est del paese, combattuto tra due facce della stessa medaglia, globalizzazione e localismo, dilaniato tra due tendenze che apparentemente sembrano diverse, ma che in realtà si tengono unite da una comune logica di dominio.
L'alternativa va costruita quotidianamente esaltando l'altro aspetto della realtà, quello della solidarietà diffusa, del volontariato autonomo e silenzioso, dei tanti esempi di micro-società alternative nei fatti al sistema dominante, intorno ad un progetto di etica libertaria.

Francesco Codello