Rivista Anarchica Online



diario a cura di Felice Accame

Il collettivo diagnostico e le sue vittime

 

Nel 1850 fu diagnosticata la drapetomania. Le cose, più o meno, andarono così. La Louisiana State Medical Society si impegnò in un approfondito studio della razza nera da cui, fra l'altro, risultò che, fra gli schiavi, si andava diffondendo una brutta malattia, ovvero la tendenza a fuggire dai loro padroni. Presa una radice greca, era bell'e pronto un nome per la diagnosi e i drapetomani cominciarono a moltiplicarsi negli schedari degli psichiatri. Sembra una freddura e non lo è: ha tutto il diritto di far parte della storia della scienza.
Le diagnosi sono transitorie e qualcuna è più transitoria di altre. L'isteria, per esempio, negli ultimi vent'anni dell'Ottocento ha sia toccato l'apice che il fondo e, non fosse stato per la psicoanalisi, cui tornava drammaticamente comoda (l'isteria come analogo del coito, il rapporto fra isteria e ricordo, il rapporto fra isteria e sessualità prepuberale, il concetto di imitazione isterica, etc.) non se ne sarebbe più parlato né, tantomeno, sarebbe entrata nel linguaggio comune. I tentativi, effettuati nel 1887 dall'allievo di Charcot, Joseph Babinski, di trasferire i sintomi isterici da un paziente all'altro tramite una calamita, rappresenterebbero semplicemente una soluzione patetica ad un problema che aveva presto smesso di esser tale.
Nel 1995, il filosofo canadese Jan Hacking ha pubblicato Rewriting the soul: multiple personality and the sciences of memory (tradotto da Feltrinelli, nel 1996, con un titolo cui non avrebbe pensato neppure il Vaticano: La riscoperta dell'anima), dove si occupa dello straordinario successo - americano - della diagnosi di personalità multipla, passata da pochi casi rari a interessare una persona su venti (fra cui non poteva mancare il presidente Clinton, almeno a giudicare dalla deposizione resa da Monica Lewinski, così come riportato dal "Corriere della Sera" del 22 settembre 1998: "Monica Lewinsky ha detto che Clinton le ha confessato di aver avuto una doppia personalità sin da quando era bambino" (...) "il presidente ha detto che, a partire da quando era in terza o in quarta elementare, faceva il bravo con la mamma e il patrigno, ma nello stesso periodo cominciò anche a raccontare bugie e a condurre una vita segreta"), soprattutto a partire dal 1980, anno in cui è stata "ammessa" fra le diagnosi "ufficiale" dall'American Psychiatric Association.
Con il recente I viaggiatori folli (Carocci, Roma 2000), Hacking affonda il coltello in una piaga che, più si indaga, più appare in tutta la sua purulenza. Fra il 1887 e il 1909 nacque, imperversò e morì la diagnosi di automatismo o determinismo ambulatorio, o dromomania, ovvero il nome scientifico per designare "viaggiatori folli", gente che, senza preavviso, prendeva e partiva, perlopiù a piedi, nessuno ne sapeva niente per giorni o per mesi, fino a quando si ritrovavano, dimentichi di sé, in qualche galera a centinaia di chilometri di distanza. Dal momento che l'epicentro di tale epidemia fu la Francia, Hacking analizza con acume mai disgiunto da straordinaria passione etica il caso del povero Albert Dadas (che ne La riscoperta dell'anima, lo sa Dio perché, era citato come "Dad"), operaio di Bordeaux, fugueur incallito e paziente compiacente sul quale, già nel 1887 - a diagnosi calda -, lo psichiatra Philippe Tissié ci fece un libro, Les aliénés voyageurs.
La ricostruzione del perché e del percome è semplicemente stupenda. Hacking sa che una diagnosi nasce in un contesto e che non rispecchia affatto uno stato di cose ben separato da chi la fa. Per cui non si accontenta né di rilevare le concomitanze con la patologia turistica (la Thomas Cook and Son vendeva sette milioni di biglietti turistici l'anno già negli anni dell'Ottocento), né di individuare la struttura urbana o il paesaggio ideologico in cui si muove il suo viaggiatore folle - e neppure si accontenta di ricostruirne la storia più intima -, ma, consapevole del fatto che una diagnosi è comunque il frutto di una relazione, non perde un colpo di chi al malato sta di fronte, ovvero del medico - con i suoi problemini, con le sue manie (a volte non meno "folli" di quelle del malato) e con l'intero apparato di quell'ideologia scientifica che ne pregiudica le percezioni e le categorie con cui sistemarle. L'apparato che, negoziato dopo negoziato, decreta sulla necessità e sui destini di una diagnosi. Sarà anche "accademicamente corretto", sembra dire Hacking, considerare impossibile una "diagnosi retroattiva", ma starsene zitti e buoni avvalorando l'obiettività della scienza - ecco la piaga purulenta - non sembra né moralmente possibile né metodologicamente sensato. Come si potrebbe escludere, per esempio, che alla diagnosi e alla sua diffusione epidemica non abbia contribuito la stigmatizzazione sociale del vagabondaggio? Con il che la "malattia" stessa comincia a ricomporsi manifestamente nei suoi elementi costitutivi.

Felice Accame

P.s.: Ad ogni malato che si rispetti tocca una terapia. Ad Albert Dadas, protomartire dei viaggiatori folli, è toccato: ipnosi a iosa, applicazioni di vescicanti all'altezza dei polmoni (per la diagnosi complementare di "tubercolosi isterica"), pozioni emostatiche, olio di fegato di merluzzo e pediluvio alla senape. Se leggiamo i libri di storia della scienza veniamo invece a sapere che quella era l'epoca del positivismo.


Foto di Gianluca Chinnici