Rivista Anarchica Online


mobilità

Quanto costa muoversi
di Enrico Bonfatti

“Gli amici della Terra” hanno pubblicato un rapporto sui costi sociali ed ambientali della mobilità in Italia.

 

Cosa dice lo studio

È uscito nelle librerie il rapporto dell’associazione “Gli Amici della Terra” sui costi ambientali e sociali dei trasporti in Italia (PIER LUIGI LOMBARD, ANDREA MOLOCCHI: I costi sociali ed ambientali della mobilità in Italia; Franco Angeli edizioni, 1998). Scopo del lavoro è quello di quantificare i costi che le varie modalità di trasporto su rotaia, gomma e aereo, comportano per la collettività, cioè per chi non è utente del mezzo di trasporto in questione. Nello studio sono riportati i dati relativi al 1995, ma è disponibile in Internet il riassunto dell’aggiornamento relativo al 1997 (www.amicidellaterra.it).
Per ciascuna modalità di trasporto vengono analizzate cinque diverse categorie di costo: emissioni di gas serra, inquinamento atmosferico, incidentalità, congestione, rumore. Vengono escluse, perché ancora di difficile quantificazione, tutte quelle categorie di costo che non sono riferibili all’utilizzo in senso stretto del mezzo di trasporto quali: spese di rottamazione; consumo di territorio da parte delle infrastrutture dedicate ai trasporti; estrazione, trasporto e raffinazione dei prodotti petroliferi; danni al patrimonio architettonico, particolarmente rilevanti in Italia; costi sociali dell’esauribilità delle risorse.
Scopo dello studio non è tanto quello, come si potrebbe pensare di primo acchito, di una completa internalizzazione dei costi esterni (caricare cioè i costi dei danni di cui una modalità di trasporto è la causa sugli utenti della modalità medesima), quanto quello di fornire una valida base conoscitiva che indirizzi in maniera razionale le politiche della mobilità, che, accanto ad una parziale internalizzazione dei costi dovrebbero prevedere una riduzione delle esternalità attraverso la valorizzazione di modalità di trasporto alternative (riduzione indiretta) o la regolazione delle situazioni critiche con l’attivazione di zone a traffico limitato, osservanza di standard e limiti ambientali (riduzione diretta).
La somma dei vari costi per ciascuna modalità di trasporto è riportata nella seguente tabella in lire per passeggero al km o lire per tonnellata al km.
È quasi superfluo far notare che la modalità di trasporto che comporta le maggiori esternalità è il trasporto privato su gomma, che per quanto riguarda il trasporto passeggeri arriva intorno alle 300 lire per vettura al km, sia per le automobili sia per i ciclomotori, il che si traduce in un costo-passeggero minore per le autovetture, dato il maggior tasso d’occupazione rispetto ai motorini. Chi esce meglio è il trasporto pubblico, su strada o rotaia, con un costo rispettivamente di 54 £/km (lire per chilometro) e di 60 £/km. Per quanto riguarda le esternalità relative ai ciclomotori, come ammettono gli stessi autori, esse appaiono probabilmente sovradimensionate per quello che riguarda i costi relativi all’incidentalità (questi mezzi sono ritenuti responsabili di circa il 16% dei decessi da incidentalità pur contribuendo solo al 9% della mobilità in termini di passeggeri per chilometro), in quanto tali costi si riferiscono ai danni causati dagli incidenti di cui sono responsabili i ciclomotori e non ai danni di cui questi mezzi di trasporto sono direttamente responsabili; la differenza può apparire sottile, ma è sostanziale.
Per rendere meglio l’idea, nell’ipotesi che si volessero internalizzare tutti i costi relativi al trasporto automobilistico caricandoli sul costo del carburante per autotrazione, la benzina subirebbe un aumento di 3000 £ al litro. In totale le esternalità dei trasporti arrivano alla ragguardevole somma di circa 200mila miliardi, pari più o meno al 10% del PIL, dei quali 191mila, circa il 95% del totale, imputabili al trasporto su gomma. Se a questa cifra sottraiamo le esternalità relative al trasporto pubblico (bus e pullman), otteniamo la ragguardevole cifre di 186 mila e rotti miliardi di esternalità relative unicamente al trasporto privato su strada.

Morti per inquinamento

Fino a qui le nude cifre, che spesso però non riescono a dare l’idea di quello che sta loro dietro. Per esempio, per quanto riguarda i costi da inquinamento, il dato finale non ci dice che i morti presunti in Italia sono almeno 6000 (stima di minima utilizzata per calcolare i costi delle esternalità da inquinamento) e che con ogni probabilità sono, più realisticamente, almeno tre volte tanto; nell’aggiornamento disponibile in rete è stato fatto anche il calcolo degli anni di vita persi, sui quali l’inquinamento incide di più che l’incidentalità, che pure colpisce in misura maggiore persone giovani e in salute (per inciso: 8000 l’anno) che non le emissioni tossiche, le cui vittime sono esclusivamente persone malate con aspettative di vita sicuramente ridotte rispetto alla media.
Gli organi di stampa che, all’inizio dell’ultima estate hanno reso noti i risultati dello studio, così solerti nel riportare le cifre finali in termini finanziari, si sono però dimenticati di riportare queste valutazioni; i casi sono due: o vige una sorta di censura o di autocensura, oppure i giornalisti sono pigri e non avendo voglia di perdere tempo per una cosa che non interessa (o non deve interessare) a nessuno, sono saltati direttamente alle conclusioni senza sforzarsi di dare qualche occhiata alle tabelle in mezzo alle pagine del libro (ipotesi probabilmente più inquietante della prima).
Un altro messaggio, che arriva dal confronto tra lo studio relativo al 1995 e quello relativo al 1997 è la bocciatura secca delle politiche degli incentivi alla rottamazione attuate dal governo Prodi: il risultato è stato quello di un aumento delle emissioni di CO2, che contrasta con gli impegni presi dall’Italia al vertice di Kyoto, nel quale i paesi industrializzati si erano impegnati a drastiche riduzioni delle emissioni di gas serra nei prossimi anni. Anche i costi per congestione e per emissione di particolato (una delle emissioni più pericolose per la salute umana) sono aumentati in maniera consistente. Probabilmente rinnovare il parco auto, anche stimolando l’acquisto di auto catalitiche, quindi meno inquinanti, ha incentivato il trasporto privato su gomma (lo sappiamo tutti che se la nostra auto è un vecchio macinino la lasciamo più volentieri in garage e ci rivolgiamo più facilmente a modalità di trasporto alternativo), cosa che ha annullato i minori costi marginali, in termini di inquinamento e di emissione di gas serra, caratteristici dei motori nuovi e catalizzati.
Per quanto riguarda i costi legati all’incidentalità, il confronto tra i due anni in esame fa registrare un calo dei decessi di fronte ad un aumento degli incidenti. Questo può essere dovuto a due fattori: il primo, quello senz’altro più sbandierato dalle case automobilistiche, è legato alla maggiore affidabilità dei nuovi veicoli, il secondo, è legato alla diminuzione della velocità delle autovetture che viene automaticamente a crearsi in situazioni di traffico intenso o di congestione: in altre parole, l’aumento delle percorrenze delle vetture favorisce le possibilità di incidenti, ma questi occorrono sempre più spesso in situazioni di traffico intenso o congestionato, a velocità che non “bastano” ad uccidere, ma “solo” a ferire (il numero dei feriti registra un sensibile aumento).
Questa potrebbe essere la risposta delle lobby dell’automobile al problema dell’incidentalità: siccome dell’auto non potete fare a meno, usatela più che potete che così crepate di meno; per quel che riguarda l’aumento dell’inquinamento prima o poi il motore elettrico o ad acqua riuscirà ad avere la diffusione che merita. Per questo motivo non bisogna dimenticarsi che i problemi legati al traffico automobilistico non sono solo quelli dell’inquinamento o dell’incidentalità, ma anche la quantità enorme di tempo di lavoro che dedichiamo a questo mezzo di trasporto, la cementificazione del territorio, la sottrazione dello spazio urbano ad usi alternativi alla viabilità automobilistica, lo spreco di materie prime, la produzione di gas serra etc.
Fino a qui, in termini molto succinti, quello che dice lo studio, che ha il grandissimo merito di essere il primo del genere per quello che riguarda la realtà italiana. È anche interessante, però, riflettere su quello che non dice, essendo, come tutti gli studi, compilato da espertissimi tecnici, cioè da persone che “sanno moltissimo su pochissimo”.

Leggi divine

Lo studio riferisce che la mobilità privata su auto ha subìto, negli anni precedenti al 1995, un incremento medio del 2% annuo (tra il 1995 e il 1997 è stato ben maggiore ma, come gli autori avvertono, il paragone tra i due studi non è sempre appropriato in quanto sono state utilizzate metodologie di studio diverse nei due casi; inoltre nel biennio in questione ha giocato moltissimo l’incentivo alla rottamazione che ha sicuramente “drogato” il mercato e le abitudini degli italiani); questo dato viene presentato come un dato di fatto, sul quale si può incidere nella stessa misura in cui riusciamo a modificare una giornata di brutto tempo; gli autori si limitano a proporre di incentivare la mobilità di trasporto pubblica, su rotaia e su gomma, sperando in questo modo di assorbire gli incrementi di una domanda di mobilità che viene vissuta come una legge divina. In nessun punto dello studio sorge la domanda: come fare a invertire, bloccare o al limite contenere la costante tendenza all’aumento di distanze necessarie a soddisfare bisogni che fino a qualche anno fa richiedevano come unica disponibilità finanziaria quella sufficiente all’acquisto di un paio di scarpe?
Come si vede da questa tabella (tab. 1) l’utilizzo delle varie modalità di trasporto è cresciuto in termini assoluti sia per quanto riguarda il parco macchine, per il quale sono disponibili dati relativi alle percorrenze, sia per quanto riguarda le altre tipologie di trasporto per le quali sono disponibili dati relativi ai consumi energetici, spie del reale utilizzo del mezzo di trasporto in questione.
Questo fenomeno può essere visto, come fanno i pianificatori del traffico, come un fatto positivo: più mobilità = più produzione e benessere; questo si traduce, per esempio, nei Piani Urbani del Traffico (uno strumento recentemente adottato dai comuni più grandi per programmare biennalmente la mobilità urbana) nella soddisfazione dei tecnici nel constatare che i flussi di traffico in direzione del centro cittadino aumentano, segnale che la città “non ha perso la sua attrattività”, attrattività intesa probabilmente di tipo gravitario e non di tipo estetico (questo vuol dire che chi si reca in città è libero di sceglierlo nella stessa misura in cui un grave sospeso nel vuoto è libero di non cadere sulla terra). A nessuno di questi tecnici viene in mente che probabilmente tale fenomeno potrebbe essere il sintomo di un progressivo dilatarsi della necessità di trasporto legato alla concentrazione di funzioni, come quella del commercio, prima presenti in modo molto capillare e diffuso sul territorio.
L’aumento continuo delle distanze tra i luoghi di lavoro, di abitazione, di soddisfacimento di bisogni primari (la spesa), di svago non è sicuramente un fatto positivo, sia che queste distanze vengano coperte a piedi (impossibile), in bici, col mezzo pubblico o in auto; serve unicamente alle grandi concentrazioni di capitale per nascondere costi che adesso si sobbarca il cliente dell’ipermercato o il pendolare che si fa 100 km al giorno per andare al lavoro; che questi costi vengano contenuti attraverso l’utilizzo del mezzo pubblico invece che di quello privato non cambia di una virgola il problema che c’è alla radice, anche se può servire a limitare i danni.
Le esternalità legate alla presenza sul territorio di un interporto (infrastruttura destinata a trasferire merci dalla modalità di trasporto su gomma a quella su rotaia, sostenuta anche da tanta parte del mondo ambientalista e della sinistra), sono da addebitare al trasporto tout-court e non alla ferrovia piuttosto che ai TIR; quando le comunità locali insorgono contro l’insediamento di queste infrastrutture, popolari al pari di una discarica, vengono subito tacciate di particolarismo egoista, un modo come un altro per non mettere in discussione il problema di base, che è quello del trasporto sempre più lontano a costi sempre più bassi.
Questo punto di vista un tantino reificante e distorto si riflette anche in quella parte dello studio che analizza i costi del tempo perso per congestione, nei quali non vengono inclusi (e nemmeno menzionati come esternalità non quantificabili con precisione) quei costi legati alle perdite di tempo causate non tanto alla congestione in sé quanto dall’allungamento delle distanze necessario a consentire sia la circolazione delle vetture su percorsi sempre meno in linea retta sia a concentrare capitali e quindi potere nelle mani di pochi big della finanza e dell’industria, che grazie anche ai bassi costi dei trasporti su gomma riescono a decentrare le produzioni in lontanissime periferie del pianeta dove il costo del lavoro è infinitamente più basso, riuscendo a ricattare i lavoratori sia del nord che del sud del mondo.
A quando una fiscalità proporzionata alla distanza dell’esercizio commerciale o della fabbrica dall’utenza, dai fornitori, dalle abitazioni dei dipendenti? Forse in questo modo la nostra sgangherata sinistra potrebbe recuperare un pochino di voti da quei ceti che adesso vengono strumentalizzati dalla destra, come i piccoli commercianti (cosa che ai lettori di questa rivista non credo interessi un granché, ma ai mandarini di partito magari sì, ma non credo che avranno mai il coraggio per proporre un punto di vista del genere).

Trazione animale (bipede)

Altra osservazione: nello studio non viene mai presa in considerazione, nè nella parte dedicata allo studio delle esternalità, nè in quella, assai più concisa, dedicata alle possibili soluzioni, la bicicletta, per il motivo che attualmente non copre più dell’1% del trasporto urbano (motivazione addotta in una conversazione telefonica da uno degli autori); in altre parole: siccome chi va in bici è già sfigatissimo, vessato com’è da un codice della strada che lo costringe a sottostare alle stesse regole di chi guida un fuoristrada, lo eliminiamo completamente anche dalle rappresentazioni della realtà in quanto statisticamente irrilevante (il mito dei grandi numeri, assieme all’ammirazione incondizionata per la sofisticazione e la complicazione delle tecnologie fa danni in luoghi impensabili, oltre che nell’ex grande partito comunista e nei seguaci di sondaggi più o meno forzaitalioti).
Seguendo questa logica, è normale proporre come alternativa al trasporto privato urbano su strada una modalità, quella del trasporto pubblico su rotaia o su gomma, che in termini di velocità di spostamento porta a porta si aggira sui 15 km/h in condizioni ideali (senza tenere conto di eventuali coincidenze e del fatto che i percorsi dei mezzi pubblici non sono mai ottimali rispetto ad un’eventuale linea retta congiungente punto di arrivo e di partenza), ma che comporta costi altissimi, garantendo in questo modo, più che libertà di spostamento, introiti duraturi a qualche categoria di professionisti più o meno parassiti.
Sempre per quello che riguarda il calcolo dei costi relativi alla congestione, nello studio vige un’inconsapevole accettazione della legge del più forte: non vengono prese in considerazione le perdite di tempo che modalità di trasporto più “all’avanguardia” impongono a chi si serve di modalità di trasporto più semplici; in questo modo l’aumento della congestione sulla tratta Milano-Malpensa conseguente alla costruzione del nuovo aereoporto non viene imputato al mezzo di trasporto aereo, ma al traffico automobilistico; nello stesso modo il ciclista che si trova costretto a continui rallentamenti nel caotico traffico cittadino non vede riconosciuto questo danno imputabile a chi si serve dell’automobile; danno che, se dal punto di vista sociale può essere considerato irrilevante (ma non lo è poi tanto se pensiamo a tutti gli spostamenti che potremmo compiere a piedi o in bicicletta e per i quali invece, per motivi di sicurezza, preferiamo utilizzare l’autovettura), dal punto di vista di chi lo subisce costituisce una costrizione non indifferente.
Ricordo che una mobilità urbana basata su mezzi di trasporto più leggeri e meno ingombranti avrebbe il pregio di costare infinitamente meno di qualsiasi tram o metropolitana, di inquinare pochissimo o di non inquinare affatto, di garantire a tutti tempi di trasporto ragionevoli in qualsiasi ora del giorno e della notte (e non, come fa l’auto, tempi da pedone nelle ore di punta contro velocità assassine per quei “fortunati” frequentatori della notte, o, come fa il trasporto pubblico, costrizione a spostamenti secondo orari e percorsi rigidamente prefissati da altri e dall’alto, e che correrebbe ancora una volta il rischio di favorire l’urbanesimo concentrazionario quasi nella stessa misura del trasporto automobilistico).
In molti paesi dell’Europa del Nord è un mezzo di trasporto considerato alla pari degli altri, arrivando a coprire anche il 10% della domanda di mobilità; è chiaro quindi che se venisse valorizzato nella giusta misura anche da noi potrebbe coprire una domanda anche maggiore, data la situazione climatica più favorevole; e se noi abbiamo più salite della Danimarca o dell’Olanda questo non è un buon motivo per rinunciare alla bicicletta, semmai dovremmo ingegnarci per dotarla di motori ausiliari che aiutino i nostri polpacci o che li sostituiscano, garantendo tempi di spostamento ragionevoli e non da Nembo Kid (bici elettrica o miniscooter elettrico).

Enrico Bonfatti

 

Confronto mortalità dei trasporti su strada
da inquinamento atmosferico e da incidenti,
anni attesi di vita perduti, Italia, 1997

Anni attesi di vita perduti

Mortalità da inquinamento
301.133
di cui per cause non tumorali
293.599
di cui per cause tumorali
7.534
Mortalità da incidenti
273.735
 
Totale
574.868

Fonte: Elaborazione Amici della Terra in base
a Externè e Censis (1997)

 

Tab. 1 - Principali dati di base utilizzati

Autovetture   1997
1995
parco milioni 30.986
31.026
percorrenza media km 11.47
9.695
percorrenza totale milioni di km 355.440
300.789

Consumi di energia veicoli su strada
   
passeggeri ktep 23.962
22.650
merci ktep 11.854 11.550

Consumi di energia rotaia
   
passeggeri ktep 1.04 1.018
merci ktep 298 284

Consumi di energia aereo
passeggeri ktep 2.437 2.399 (m+p)
merci ktep 238