È strano, ma da qualche tempo
mi capita di rivivere, a intervalli sempre più brevi, un episodio
ricorrente. Incontro un amico, un conoscente, qualcuno, comunque,
con cui sono in rapporti cordiali e con cui condividevo, fino
a quel momento, la mancanza (se si può condividere una mancanza)
di quella singolare protesi tecnologica che è il telefono cellulare.
Uno, spesso, che con me condivideva anche il giudizio su chi
del telefonino non sa fare a meno, uno che si faceva beffe dell'abitudine
di portarne sempre un esemplare con sé, che la bollava come
una forma di dipendenza e un chiaro esempio di asservimento
alle mode e alle imposizioni della società dei consumi. Bene,
costui ora impugna (o è costretto a impugnare, quando viene
tradito da uno squillo rivelatore) un telefonino dell'ultima
generazione. Mi guarda e, chiaramente, si vergogna un po', tanto
è vero che sente il bisogno di giustificarsi. Talvolta invoca
uno stato di (penosa) necessità: ha una vecchia mamma malata
che può avere bisogno di lui da un momento all'altro; sta seguendo
una delicatissima pratica professionale dei cui sviluppi deve
essere continuamente informato; aspetta, da un momento all'altro,
per qualche degno motivo, delle comunicazioni importanti. Ma
più spesso quel telefonino glielo ha regalato qualcuno e lui
se lo porta dietro solo per far piacere a costui. E come biasimarlo?
Di solito si tratta del coniuge, della fidanzata, del fidanzato:
di qualcuno, comunque, con cui si è in una qualche intimità
e cui non si può fare l'inutile sgarbo di respingere un dono,
o di mostrare di non apprezzarlo. Ma tanto lui quel telefonino
non lo usa mai. O meglio, lo usa solo per rispondere quando
lo chiama qualcun altro e solo in casi di assoluta e provata
necessità. Non è come uno dei tanti poveri diavolacci dipendenti
o asserviti di cui fino a ieri ci facevamo beffe insieme.
Manifestazione rituale
Be', io non mi permetto mai di mettere in dubbio quello che
mi raccontano amici e conoscenti, anche se vi confesso che trovo
un po' strano il fatto che ci siano in giro tanti mariti e tante
mogli, per non dire di fidanzati, fidanzate e affini, pronti
a regalare al partner un oggetto di cui lui non sente il bisogno
e che anzi gli procura qualche evidente fastidio ideologico.
Ma è certo che, solo pochi minuti dopo avermi ammannito la giustificazione
di cui, quel tale è lì che parla bello e contento al suo telefonino,
senza, per quel che ne posso capire io, che la comunicazione
sia dovuta a qualcuna delle necessità appena invocate e senza
dimostrare la minima riluttanza alla bisogna. Chiacchiera come
una gazza, si sposta qua e là con degli strani saltelli alla
ricerca, come mi hanno spiegato, del "campo", e mi rivolge ogni
tanto quella tipica occhiata falsa che dovrebbe significare
scusa un momento torno subito da te, ma vuol dire invece statti
buono brutto bestione che ho delle comunicazioni importanti
da affidare a questo prezioso gingillo ultrapiatto e ultraleggero,
dotato di monitor a colori, di due terabyte di memoria, di quarantaquattro
sonerie a scelta, di un'agenda personalizzata, della possibilità
di ricevere messaggi fino a diecimila parole con disegni e fotografie
e, last but not least, di un programma per investire
direttamente in borsa senza passare dal via. E io sono lì imbarazzatissimo,
perché quella conversazione, che mi sforzo, per discrezione,
di non ascoltare, ma come si fa, e mi sembra, detto tra noi,
piuttosto cretina, ha interrotto il dialogo che il neo-telefonatore
intratteneva con me fino a poco prima, mi ha messo, in un certo
senso, tra parentesi, a sua disposizione, che è una cosa che,
lo devo ammettere, non mi entusiasma affatto. E in ogni caso
so che quella telefonata, con la conversazione giustificatoria
che l'ha preceduta, rappresenta, in realtà, una manifestazione
rituale, una cerimonia promossa per sancire agli occhi di qualcuno
(nello specifico ai miei) l'avvenuta promozione esistenziale
e sociale dell'interlocutore, che è passato dalla categoria
degli esclusi a quella degli eletti, e in via assolutamente
definitiva, tanto è vero che da quel momento in poi del fatto
che quell'oggetto sia un regalo, o il portato di una necessità
spiacevole ma ineluttabile, non si parlerà più e io saprò che,
per scambiare lazzi e battute su chi è tanto stolto da dipendere
dal suo cellulare dovrò rivolgermi a qualcun altro.
Un impresa, detto tra di noi, sempre più difficile. Leggo sui
giornali che il telefonino è presente tra noi da ben dieci anni
(ed è strano: mi sembravano molti di meno) e che se ne avvalgono
oltre venticinque milioni di utenti: poco meno di un italiano
su due, anche se suppongo che nell'area urbana in cui sono solito
muovermi la percentuale sia parecchio superiore. Sono cifre
che possono stupire (e, per quanto mi riguarda, non cessano
mai di stupirmi), ma di fronte alle quali non si discute. Se,
come qualsiasi prassi sociale, l'uso del telefonino ha un suo
preciso valore di scelta ideologica, deve trattarsi di un'ideologia
di massa, molto più massiccia di quelle di cui, qualche anno
fa, si annunciava drammaticamente la crisi.
Prodotto inutile
Stando così le cose, forse è ora di smettere di considerare
gli adepti del telefonino come dei minus habentes, come dei
poveri nevrotici angosciati dall'idea che qualcuno non possa
mettersi in contatto immediato con loro e viceversa. Sì, Umberto
Galimberti ha scritto su Repubblica (domenica 5 marzo)
che per loro "il telefono è la spina che li tiene legati al
mondo" e che "così perdono il mondo circostante e soprattutto
il loro mondo interiore", che non sanno più cos'è il silenzio
e cos'è l'attesa, che non hanno più rispetto dell'atmosfera
e che "il loro presenzialismo al mondo esterno non concede all'interlocutore
alcun privilegio", ma queste sono cose da filosofi. I venticinque
milioni di proprietari di telefoni mobili sono venticinque milioni
di cittadini che prendono quello che offre il mercato. Perché
dovrebbero privarsi di un manufatto di cui tanti altri liberamente
dispongono? Non sono né dei trogloditi né dei pezzenti, ma dei
figli del loro tempo. Se la tecnologia corrente offre il telefonino,
perbacco, allora lo vogliono anche loro.
Certo, si potrebbe obiettare che quel manufatto, con le complesse
strutture di sostegno che gli stanno alle spalle, è un tipico
esempio di prodotto inutile, l'estrinsecazione di una tecnologia
affatto superflua, nel senso che, fatte salve le speciali esigenze
di pochi, gli impianti di telefonia fissa bastano ad abundantiam
per soddisfare le necessità di comunicazione orale a distanza
e che tutti i quattrini investiti sullo sviluppo ad oltranza
dei sistemi portatili possono essere considerati soldi buttati
al vento, risorse sottratte a ben altre necessità sociali. Si
potrebbe obiettare che il bisogno di acquisire quell'oggetto,
per quanto diffuso, è comunque dovuto, in gran parte, al bisogno
che altri hanno di venderlo, che si tratta, cioè, di un tipico
bisogno indotto, il cui soddisfacimento determina una perdita,
non un aumento, di libertà in chi lo realizza. Si potrebbero
persino tracciare, volendo, dei paralleli suggestivi, ancorché
imprecisi, con il mercato della droga. Ma chi ce lo fa fare?
Sappiamo tutti che oggi non si investe in nome delle necessità
sociali, che si investe in nome della remuneratività dell'investimento
e da questo punto di vista nessuno può negare che quella scelta
sia stata molto, ma molto oculata. Sul breve periodo, chi si
compera il telefonino giova senz'altro, se non a se stesso,
al sistema economico vigente e le preoccupazioni per il lungo
periodo lasciamole pure ai vecchi barbogi. Di fronte alle esigenze
del mercato non si può che chinare la testa. La prossima volta
che vedrete un amico esibire, incerto tra orgoglio e vergogna,
il suo nuovo telefonino, abbiate compassione di lui. La sua
esibizione, oltre che un rito di passaggio, è un rituale di
resa.
Carlo Oliva Box " " dida
Carlo Oliva
Se
la tecnologia
corrente offre
il telefonino, perbacco,
allora lo vogliono
anche loro.
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