Rivista Anarchica Online


dossier essico

I fratelli Magòn
di El Censurado

Un pezzo di storia messicana poco conosciuta.
Non a caso.

Il brano qui riportato, scritto da un redattore della bella rivista anarchica di Montevideo "Alter", costituisce l'introduzione al testo "MAGONISMO E MOVIMENTO INDIGENO NELLA RIVOLUZIONE MESSICANA", in via di edizione a cura di 'Zero in Condotta' (V.le Monza 255, 20126 Milano, fax 022551994, e-mail zeroinc@tin.it ). Il corpo centrale del libro è rappresentato dalla relazione preparata da Juan Carlos Beas e da Manuel Ballesteros per il seminario dedicato alla grande figura di Ricardo Flores Magon, tenutosi in Messico nel giugno del 1986, e mai tradotta in italiano.

Scorrendo l'indice si può avere un'idea dei vari argomenti trattati:
- La lunga resistenza contro la barbarie occidentale
- La guerra contro gli stranieri
- Le prime battaglie
- Il magonismo, corrente radicale della rivoluzione messicana
- La tradizione comunalista nel magonismo
- Magonisti ed indigeni uniti nella rivolta armata
- I contadini dicono 'basta!' e lo dimostrano coi fatti.

Un lavoro, in sostanza, teso ad evidenziare sia il forte legame esistente tra ribellione indigena ed i magonisti che l'originalità della proposta magonista, alimentata dalle tre componenti basilari del processo rivoluzionario messicano: il liberalismo autoctono, l'influenza dell'anarchismo europeo ed il comunalismo indigeno.
È la storia di una lotta che è non mai terminata: i 'vinti' di allora continuano a lottare sulle montagne, nelle foreste, nei 'barrios' di città; le idee magoniste non sono morte, anzi sono germinate e fanno ormai parte della memoria, della storia viva di un popolo che si rifiuta di morire, come d'altronde le attualissime vicende del Chiapas zapatista stanno ampiamente a dimostrare.

Massimo Varengo

Oggi come oggi, in cui ci si rapporta all'altro come a un rivale, o lo si guarda come un modello o come possibilità di ascesa, mossi da arrivismi individuali, parlare di essere umani che hanno dato la loro vita per i loro ideali, quasi 80 anni fa, in una storia in cui le stelle (anche quelle del cinema) erano altre (Zapata e Villa), è da pazzi, è da pazzi anarchici.
Commettiamo allora questo grande peccato, cioè dar loro spazio sulla stampa (chi li conosce, infatti?), spazio che non ebbero neanche tra gli anarchici, e chi scrive ammette di aver conosciuto i loro nomi, ma non molto più di questo.
Ogni gruppo umano (e ovviamente anche quello anarchico) ha i suoi codici, i suoi requisiti, i suoi princìpi, ecc.; molti sono espliciti e molti altri impliciti.
I Flores Magòn ebbero due grandi "difetti" per l'immaginario anarchico dell'epoca: 1) non provenivano da una tradizione anarchica (erano liberali e divennero anarchici nel corso della lotta), e 2) non agivano di preferenza nel sindacalismo, bensì nelle comunità indigene. Il sindacalismo è stato sopravvalutato dai libertari nel loro credo fondamentalista, in quanto ambito dei lavoratori, ritenuti questi gli unici possibili creatori della nuova società.
Questa è allora una buona occasione, dopo tanti anni, per vedere gli errori commessi come movimento nella valutazione dei fatti, che è stata il prodotto dei nostri pregiudizi, ma è ancor più importante sapere che oggi ne abbiamo degli altri, che è necessario sviscerare per non cedere a due tentazioni opposte: dalla convinzione passare o alla necessità (la verità è solo nostra!), o, con un discorso libertario, adattarci individualmente e/o collettivamente alla società.
Quanto segue, quindi, in questo secondo Dokumenta di Alter, non è uno studio esauriente della lotta dei compagni in Messico, ma solo un modo per scoprirli insieme nel loro momento, quasi 80 anni fa (non è che un dettaglio).

"Non sono magonista, sono anarchico. Un anarchico non ha idoli"
(Ricardo Flores Magòn)

Pur ammettendo la nostra ignoranza sul Magonismo, questo stesso termine ci risvegliava una certa antipatia, fino a che scoprimmo in questo movimento, proprio il rifiuto del personalismo, cosa che riteniamo fondamentale in un genuino movimento di liberazione.
Il Magonismo è la forma peculiare in cui appare l'anarchismo in un dato movimento, in un dato luogo, attraversato da circostanze e varianti che sono sempre uniche.
Ideologicamente si nutre fondamentalmente di tre correnti: il liberalismo messicano, l'anarchismo europeo e il comunitarismo indigeno.
Storicamente è tra le espressioni più chiare di un movimento di resistenza popolare (fondamentalmente indigeno) dai tempi della conquista dell'America.

"Morte a tutti quelli che portano i pantaloni"
(Grido di guerra dell'Esercito Indio, 1877)

Questo slogan dimostra la peculiarità della storia messicana che arriva fino ai giorni nostri con gli avvenimenti del Chiapas; e che a noi, discendenti europei dal punto di vista genetico e culturale, ci sorprende al punto che non comprendiamo, sottovalutiamo e inconsciamente rifiutiamo l'indio e persino la sua lingua (chi può ricordare parole come: zacapoaxtlas, Tuxtepec, Huaxtecos, Miahuatlan, Oaxaca, ecc.?).
Dai tempi della conquista la resistenza india non è mai venuta meno, forse favorita dalla segregazione subita, che consentì tuttavia di conservare la propria identità culturale. In questa lotta alcuni popoli furono sterminati, come i Cazcanes e gli Acaxes. Nella guerra d'indipendenza, i baluardi e i cosiddetti eroi di queste gesta furono intimamente legati ai popoli indios: Hidalgo parlava otomì, Morelo si formò nei villaggi parepechas, un esercito di indios e di negri accompagnava Vicente Guerrero.
In questa guerra furono redatti i "Contratti di Associazione per la Repubblica degli Stati Uniti di Anahuac", il primo progetto di organizzazione politica federale, in cui si rivendicava l'importanza della proprietà comune dei villaggi indios.
Naturalmente, contro le invasioni francesi e nordamericane furono di nuovo in prima fila.
Nel 1876 Porfirio Dìaz prende il potere e, alleandosi con gli interessi capitalistici stranieri, impone un processo di modernizzazione che si scontrerà con gli interessi delle comunità indie.

"Biba Atoha"
(Ribellarsi!)

Gli Indios dovevano ribellarsi per sopravvivere, non solo culturalmente ma anche fisicamente prima contro gli stranieri, ora contro i criollos alleati con gli stranieri.
Già nel 1850, tra uno sterminio e l'altro, Benito Juarez diceva: "Solo la razionalità può estirpare da questi popoli, i vizi e l'immoralità che li domina e che li porta a compiere atti di disordine che il governo ha dovuto reprimere con la forza delle armi" (niente di nuovo sotto il sole!)
Nel 1877 ad Hidalgo e a Sierra Gorda, nel 1882 a Ciudad del Maìz e a Istmo, dal 1875 fino al 1901 a Los Yaquis nel nord del paese.
Puntualmente, in un luogo o nell'altro, alternando le vittorie con le sconfitte, gli indios si giocavano (e si giocano) la vita.

 

"La costumbre"

"È evidente che il popolo messicano è preparato all'arrivo del comunismo,
perché lo ha praticato da secoli, almeno in parte"
(Ricardo Flores Magòn)

La lotta quotidiana degli indios intende mantener viva la Costumbre, cioè il loro modo di vivere e la loro visione del mondo.
Questa Costumbre, che, grazie alla loro determinazione di resistere, esiste tuttora, propone certe forme di proprietà e di rapporto tra le persone e con la natura, che sono un ostacolo per il capitalismo.
La comunità, come costumbre dei popoli indios e contadini, propone la proprietà sociale, forme di rappresentazione diretta e in assemblea, così come un profitto dal lavoro e dalle risorse, che non comprende il concetto di mercato.
Inoltre, interpreta il funzionamento del mondo come risultato dell'intervento collettivo degli uomini e delle forze soprannaturali.
I Flores Magòn procedono dunque naturalmente verso l'incontro e la sintesi perfetta tra il comunitarismo e l'anarchismo, dopo esser passati per il liberalismo.

 

I Flores Magòn

Sono figli di Margarita Magòn, meticcia e dell'indio Teodoro Flores, ufficiale che svolse un ruolo decisivo nella vittoria di Porfirio Dìaz contro i conservatori.
Come tutti gli indios, il loro padre lottò per la libertà, fino a quando sembrò che la libertà coincidesse col nome di Porfirio Dìaz.
È stato capo di diversi villaggi, ma capo alla maniera degli indios, giacché "in realtà non occorre che ci impongano un'autorità, perché sappiamo vivere in pace tra di noi, trattandoci da amici e da fratelli", come Enrique ricordava di avere sentito dire dal padre.
"Non lasciate che il tiranno spenga il vostro coraggio", avrebbe detto loro in punto di morte; e dieci anni dopo, prigionieri, avrebbero saputo che anche Margarita Magòn, nell'agonia avrebbe detto ad un emissario del dittatore, che permetteva la visita dei figli in cambio della loro rinuncia alla lotta: "Dite al presidente Dìaz che scelgo di morire senza vedere i miei figli. Ditegli che preferisco vederli impiccati ad un albero o in garrote, piuttosto che saperli pentiti o rinnegando quanto hanno fatto o detto." Questi erano i genitori dei Flores Magòn.

 

Il magonismo: dai venti liberali alle tempeste anarchiche

In termini di lotta, questo movimento sorse nel 1892 come un grido spontaneo e vigoroso. Successivamente si lega ad altri processi rivoluzionari, legame che porterà il movimento a fondersi con essi e ad assumere un carattere peculiare.
Vi parteciperanno uomini e donne di diverse regioni, di diverse razze e categorie professionali. Dal maestro Librado Rivera, agli indios come Fernando Palomares, a donne come Modesta Abascal, a operai come Hilario Salas, o al poeta guanajuatense Praxedis Guerrero. Molti moriranno nella lotta, altri arriveranno a governare i loro stati o saranno deputati, alcuni aderiranno allo zapatismo, altri moriranno vecchi e in miseria.
Il movimento magonista, come altre correnti popolari, verrà sconfitto. La rivoluzione, diventata governo, morirà. E come succede sempre, alcuni princìpi saranno deliberatamente stravolti; nel caso dei princìpi magonisti, saranno ridotti e sviliti, fino ad affermare che il magonismo è stato "l'espressione culminante del liberalismo messicano."

 

Il partito liberale messicano

Dal 1892 al 1903 il Partito Liberale Messicano difenderà apertamente la Costituzione del 5 febbraio 1857, riconoscendo così la grande influenza dello spirito riformatore sui liberali, che si caratterizzano anche per l'anticlericalismo e antimperialismo.
Ma nel 1901, nel 1° congresso liberale, l'influenza di Ricardo Flores Magòn determinerà una svolta antiporfirista nel discorso liberale.
Agli inizi, gran parte delle energie si spendono per l'elaborazione di diverse pubblicazioni, che sono un attacco al governo, non solo perché lo criticano e lo denunciano, ma anche per il carattere propagandistico e perché trasmettono idee ed informazioni.

 

Le idee anarchiche

Le idee socialiste europee arrivarono in Messico già nel XIX secolo; dai tempi della curiosa "Escuela del Rayo y el Socialismo", fino alle unioni mutualistiche degli artigiani.
Ma l'antistatalismo, l'ateismo e l'ugualitarismo, così come il disprezzo anarchico per i meccanismi elettorali, insieme alla persecuzione, il carcere e l'esilio, hanno fatto sì che il magonismo nella sua evoluzione ideologica, aderisse ai princìpi anarchici.
La Junta Organizadora del Partito Liberale non adotta nel suo discorso una posizione apertamente anarchica fino al 1906; ma dal 1904 promuove la creazione di gruppi armati in più di 12 stati.
Questa evoluzione darà origine, da una parte ad un profondo avvicinamento con gli anarchici di diversi paesi (soprattutto con la IWW nordamericana), dall'altra al passaggio di diversi liberali al gruppo di Panchito Madera.
Nei manifesti del 1911, il nucleo anarchico del PLM punta a colpire la trinità maledetta: il capitale, l'autorità e il clero, invitando alla ribellione e all'espropio.
Nel maggio del 1918 verrà lanciato l'ultimo manifesto magonista, che esorta gli anarchici del mondo alla rivolta dopo la barbarie della Prima Guerra Mondiale. Termina al grido di : "Viva la Terra e la Libertà!", slogan adottato già dal 1910 e che Praxedis Guerrero aveva ripreso dai populisti russi.
Questo manifesto costò il nono arresto di Ricardo, che morì in carcere.

 

La tradizione comunitaria nel magonismo

Il magonismo non è un'elocubrazione teorica europea poi trapiantata in Messico: si arriva all'anarchismo grazie alle caratteristiche proprie della sua gente; la maggioranza è di indios e di meticci che hanno una grande tradizione di vita comunitaria, di solidarietà, di appoggio reciproco.
La forza di questo principio è ancora evidente quasi un secolo dopo, quando il subcomandante Marcos, in Chiapas, riconosce di essersi dovuto adattare alla vita indigena e ai suoi metodi.
Vediamo ora, due curiosi e indicativi modi di vedere il ruolo del popolo nella società:
"Per quanto riguarda la popolazione meticcia, che costituisce la maggioranza degli abitanti della Repubblica Messicana, a parte le grandi città o i paesi di una certa importanza, essa contava sulle terre, sui boschi e sull'acqua liberi, in quanto in comune, come la popolazione indigena. Anche l'aiuto reciproco era una regola; le case si costruivano in comune, il denaro quasi non serviva, perché vigeva lo scambio dei prodotti; ma si è fatta la pace, l'autorità si è rafforzata e i banditi della politica e del denaro hanno rubato sfacciatamente le terre, i boschi, tutto; è evidente, quindi che il popolo messicano è adatto al comunismo, perché lo ha già praticato, almeno in parte, già da diversi secoli, e ciò spiega perché, anche quando la maggioranza è analfabeta, comprende che piuttosto che prender parte alle farse elettorali per metter su dei boia, è preferibile prendere possesso della terra, e lo sta facendo con grande scandalo della borghesia ladrona" (Ricardo Flores Magòn)

"Il popolo ignorante non avrà una parte diretta nella scelta di coloro che dovranno essere i candidati per gli incarichi pubblici... Anche nei paesi molto avanzati, non è il popolo basso a scegliere quelli che terranno le redini del governo. Generalmente i popoli democratici sono governati dai capi di partito, che si riducono a un esiguo numero di intellettuali."
(Panchito Madero)

Ogni commento è superfluo

 

La rivolta india e magonista

I delegati della Junta Organizadora del PLM hanno viaggiato in tutto il paese per stabilire forti legami con le lotte degli indios.
Si è diviso militarmente il paese in 5 regioni e il giornale Regeneraciòn circolava in diverse regioni arrivando a più di 30.000 copie.
Hilario Salas incitava alla rivolta nella Sierra de Soteapan, a Veracruz. Nello Yucatan i magonisti incitavano i maya alla guerra. E succedeva lo stesso nelle Sierras di Oaxaca, nei chontales di Tabasco e nei yaquis di Sonora.
A nordest dell'istmo di Tehuantepec, nello stato di Veracruz e nella Chontalpa di Tabasco si verificò uno degli episodi di rivolta antiporfirista più radicali e profondi, in cui magonisti ed indios agirono insieme.
In questa regione il porfirismo ha reso possibile il vecchio sogno capitalista di mettere in comunicazione, attraverso la ferrovia, l'oceano Pacifico col Golfo del Messico.
Questo, insieme ad altre opere, ha acutizzato in modo violento l'espropriazione di terre e di boschi alle comunità della regione.
Centinaia di migliaia di ettari furono registrati come proprietà di stranieri, i boschi di legna tropicale tagliati, fino ai territori storici dei villaggi mixes di Mazatlàn e Guichicovi, così come quelli degli zoques dei Chimalapas di Oaxaca.
Inoltre subirono l'imposizione della schiavitù, di ordini e misure repressive; chi protestava era mandato nella selva o assassinato dai rurales.
Dopo tre anni di lotta rivoluzionaria, nel 1906 gli indigeni si ribellano in varie regioni, lotta che durerà otto anni.
Ma questa è solo una delle ribellioni in cui gli indios e i magonisti agirono insieme.
Dappertutto ci sarà la bandiera rossa con la scritta: "TERRA E LIBERTA'".

 

La fine del principio

La lotta dei magonisti e la sua radicalizzazione ideologica li portò sempre più all'isolamento. Ciò fece sì , insieme alle sconfitte militari, che alcuni di loro, tra i quali Ricardo, dovessero "rifugiarsi" negli Stati Uniti, dove continuarono la loro lotta soprattutto dal punto di vista tattico-militare e nella stampa propagandistica.
Il "rifugio" non fu tale, perché la collaborazione tra i due Stati ha portato i magonisti in carcere in moltissime occasioni, fino alla morte di Ricardo Flores Magòn nel 1922.
Va citato l'appoggio che ebbe dal socialista Eugene Debbs e dall'anarchica Emma Goldman in denaro e in termini di agitazione. In questa fase, Ricardo esprime la sua simpatia, non senza riserve, per lo zapatismo e la sua antipatia per il villismo.
Il magonismo in qualche modo ha rappresentato l'inizio della rivoluzione messicana, a cui forse è mancata una chiarezza ideologica.

 

Alcuni dati

Anche se il magonismo è stato un movimento collettivo, oggi, che vi siamo lontani sia geograficamente che temporalmente, ci sembra, che malgrado le sue volontà, Ricardo Flores Magòn fosse il centro, il referente del gruppo radicale. Dai pochi dati che conosciamo, possiamo intuire la sua grande personalità, che a volte lo porta ad inconsapevoli atteggiamenti personalistici.
Ciò sembra essere avallato da alcuni suoi scritti e anche da lettere critiche di suo fratello Jesas.
Ma stiamo parlando di un uomo, con tutto quello che ciò significa, coi suoi pregi e i suoi difetti, in un determinato contesto, che ha sempre un ruolo proponderante.
Riscattiamo il rivoluzionario che ha avuto il coraggio, in un paese privo di tradizioni anarchiche, di definirsi tale fino alla fine, quando avrebbe potuto "accomodarsi" (e le offerte non gli sono mancate) nel panorama politico messicano.
Dal 1892 al 1922 è stato fatto prigioniero per 13 anni dopo 9 arresti, tra il Messico e gli Stati Uniti.
Ha sempre lavorato alla stampa rivoluzionaria e alla propaganda nelle classi popolari. Dei suoi innumerevoli articoli, dedicati generalmente a problemi relativi al Messico, estrapoliamo quanto segue come dimostrazione delle sue convinzioni; questi concetti d'altronde li ha ribaditi, in modi diversi, ogni volta:

"Viva l'unità di tutti in un solo uomo! La serenità, il benessere, la libertà, il soddisfacimento di tutti gli appetiti sani sono nelle nostre mani; ma non lasciamoci guidare da capi; che ognuno sia il padrone di se stesso; che ogni cosa venga risolta col consenso degli individui liberi. A morte la schiavitù! A morte la fame! Viva la Terra e la Libertà! (...) La libertà e il benessere sono alla portata di tutti noi. Lo stesso sforzo e lo stesso sacrificio che servono per eleggere un governante, che è un tiranno, servono per espropriare i beni dei ricchi. Bisogna dunque scegliere; o un nuovo governante, cioè un nuovo giogo, o l'espropriazione che è salvezza e l'abolizione di qualsiasi imposizione religiosa, politica o di qualsiasi altro tipo. TERRA E LIBERTA'!" (23 settembre 1911)

 

Epilogo di un prologo

"I tiranni ci sembrano grandi perché noi li vediamo stando in ginocchio; alziamoci!" (Scritto sulla porta dell'Università, Messico)

Questo modesto lavoro che oggi presentiamo, intende far conoscere militanti anarchici di 80 anni fa. Non semplicemente per commemorare in modo formale un passato, ma perché questo sia un prologo, un insegnamento per il nostro presente. Sono dovuti passare 80 anni perché in Chiapas si rivivessero gli ideali magonisti e zapatisti. Ciò significa che a volte dimentichiamo, o che vogliono farci dimenticare: fino a quando ci sarà chi domina, il conflitto sociale (sempre latente) prima o poi, si manifesta.
E non c'è scelta. Si può addormentare, si può rimandare, ma non si può evitare e l'unica scelta è di tipo personale, cioè sul ruolo da svolgervi. In quale trincea combattere. In quella dei dominatori o dei loro ruffiani, che significa disumanizzazione. O in quella dei dominati, aspettando magari qualche messia, oppure si può agire autonomamente tra persone uguali, preparandosi, organizzandosi alla creazione di un mondo nuovo.
Scelta delle più difficili, oggi più che mai, che richiede dignità, capacità, creatività, volontà. Ma non c'è scelta. Il mondo procede verso un futuro irreversibile, in cui non ci sarà lavoro e la ricchezza si concentrerà sempre di più (secondo le Nazioni Unite nel 1960, il 20 % dei ricchi aveva degli introiti 30 volte maggiori dell'80% di poveri; oggi questo stesso 20% guadagna 150 volte di più dell'80% di poveri. El Observador, 12/09/1999, p.25)
Che il ricordo, dunque dell'esperienza dei magonisti, con i loro errori, i loro difetti, i risultati ottenuti e i pregi, ci aiuti ad inventare spazi di resistenza, di riflessione, di creatività, di organizzazione, cercando un mondo da inventare.

El Censurado
(traduzione di Fernanda Hrelia
dalla rivista uruguayana "Alter" n° 5,
Primavera/estate '99)

 


Emiliano Zapata
di Claudio Albertani

A differenza di molti altri rivoluzionari del ventesimo secolo, Emiliano Zapata (1879-1919) non è stato un intellettuale né un transfuga della classe dominante, ma un leader popolare di origine indigena.
Nato l'8 agosto del 1879 nel villaggio di Anenecuilco, frazione di Villa de Ayala, Stato di Morelos, Emiliano è il penultimo dei dieci figli di una delle tante famiglie impoverite dalle haciendas, le grandi aziende agricole divoratrici di terre che sono l'asse della modernizzazione promossa dal dittatore Porfirio Díaz. Nel Morelos, terra di paradossi e di contraddizioni, si scontrano allora due civiltà: quella degli imprenditori capitalisti imbevuti di positivismo e quella degli indigeni legati alla terra e al villaggio (pueblo) che conservano uno spirito indomito e un forte senso della solidarietà.
Emiliano, che parla spagnolo e nahuatl, la lingua degli antichi messicani, riceve l'istruzione elementare fino a quando, rimasto orfano all'età di 16 anni, comincia a lavorare distinguendosi ben presto come buon agricoltore e gran conoscitore di cavalli. Dotato di una mente inquieta e di una natura indipendente, non tarda a conquistarsi una posizione di prestigio all'interno della comunità, diventandone al tempo stesso la sua memoria vivente. All'inizio del secolo, lo troviamo chino su antichi documenti coloniali che dimostrano la legittimità delle rivendicazioni del pueblo.
Negli stessi anni, conosce due personaggi che giocheranno un ruolo importante nella sua vita: Pablo Torres Burgos e Otilio Montaño. Entrambi sono maestri di scuola, entrambi divoratori di letteratura incendiaria. Il primo gli mette a disposizione la propria biblioteca dove vi può leggere anche "Regeneración", la rivista clandestina dei fratelli Flores Magòn; il secondo lo introduce alla letteratura libertaria e in particolare all'opera di Kropotkin.
Il battesimo politico avviene nel febbraio 1909 quando, eletto sindaco di Anenecuilco, Zapata appoggia il candidato a governatore dell'opposizione, Patricio Leyva. La vittoria dell'aspirante ufficiale, Pablo Escandón, provoca ad Anenecuilco dure rappresaglie e nuove perdite di terre. Verso la metà del 1910, dopo un'infruttuosa intervista con il presidente Díaz e vari tentativi di risolvere i problemi del pueblo per la via legale, Zapata e i suoi cominciano a occupare e a distribuire terre.
Nel frattempo, il 20 novembre 1910, un gruppo di liberali democratici ostili a Díaz, capeggiato da Francisco Madero, fa appello alla resistenza contro la dittatura, promettendo fra l'altro la restituzione delle terre usurpate. Nel Morelos i tempi sono maturi: passato un primo momento di esitazione, Zapata si lancia nella lotta armata.
Dopo la morte di Torres Burgos per mano dei federales, egli diventa il capo indiscusso della rivoluzione del sud. Appoggiato dai pueblos, riesce a tenere in scacco le truppe governative fino alla rinuncia del dittatore nel maggio del 1911. Il 7 giugno ha un deludente incontro con Madero il quale, venendo meno alle promesse, si mostra insensibile alle rivendicazioni contadine. L'inevitabile rottura si produce in novembre quando, ormai esasperato, Zapata riprende le armi, lanciando il Plan de Ayala dove si definisce Madero un traditore e si decreta la restituzione delle terre. La rivoluzione del sud ha ormai una bandiera: "sono disposto a lottare contro tutti e contro tutto" scrive Zapata a Gildardo Magaña, suo futuro successore.
Ha inizio una guerra lunga e difficile, prima contro Madero, poi contro Huerta e infine contro Carranza. I soldati dell'Ejército Libertador del Sur combattono in unità mobili di due o trecento uomini comandati da un ufficiale con il grado di "colonnello" o "generale". Applicando la tecnica della guerriglia, colpiscono i distaccamenti militari per poi abbandonare la carabina 30/30 e scomparire nel nulla. Invano, i federales mettono il Morelos a ferro e fuoco: gli zapatisti sono inafferrabili.
Verso la fine del 1913, grazie anche alle spettacolari vittorie di Villa al nord, l'antico regime traballa. Dopo la fuga di Huerta (15 luglio), nell'autunno 1914 si celebra ad Aguascalientes una Convenzione tra le differenti frazioni rivoluzionarie che però non riescono a trovare l'accordo. Tra la costernazione dei presenti, il delegato zapatista, Antonio Díaz Soto y Gama, strappa la bandiera nazionale proclamando la necessità di "farla finita con tutte le astrazioni che opprimono il popolo".
In dicembre, in seguito alla rottura con Carranza, che rappresenta la borghesia agraria del nord, le truppe contadine di Villa e Zapata entrano trionfanti a Città del Messico inalberando i vessilli della vergine della Guadalupe, patrona dei popoli indigeni. Gli abitanti della capitale hanno paura dell'Attila del Sud, però i rivoluzionari non commettono saccheggi né atti di violenza. In un gesto poi diventato famoso, Zapata rifiuta l'invito a sedere sulla poltrona presidenziale: "non combatto per questo. Combatto per le terre, perché le restituiscano". E torna nel Morelos, territorio libero dopo la fuga dei proprietari terrieri e dei federales.
Nel 1915, prende forma quel grande esperimento di democrazia diretta che è stato chiamato la Comune di Morelos. Affiancati da una generazione di giovani intellettuali e studenti provenienti da Città del Messico, gli zapatisti distribuiscono terre e promulgano leggi per restituire il potere ai pueblos. Tuttavia il loro destino si gioca più a nord, nella regione del Bajío, dove le strepitose vittorie di Obregón su Villa capovolgono nuovamente la situazione. A quel punto, la rivoluzione contadina entra in una fase di declino progressivo da cui, salvo per brevi momenti, non si riprenderà più. Quasi invincibile sul piano militare, Zapata è attirato in un'imboscata - lui, che aveva sempre temuto il tradimento - e assassinato il 10 aprile 1919, presso l'hacienda di Chinameca. Non ha compiuto 40 anni.
La storia non finisce qui. Ancora forti, gli zapatisti eleggono loro capo Gildardo Magaña, giovane e abile intellettuale con doti di conciliatore. Questi continua la lotta fino al 1920, quando aderisce al Plan de Agua Prieta, lanciato contro Carranza da un gruppo di generali del Sonora. Ormai stremati, i guerriglieri del Morelos accettano di deporre le armi in cambio della promessa di una riforma agraria. La pace è fatta: sorge così un regime che considera Zapata tra i propri fondatori accanto a coloro che lo hanno assassinato. Tuttora i militari messicani - gli stessi che combattono i neozapatisti del Chiapas - venerano il caudillo del sur, il cui ritratto si può vedere in ogni caserma.
Quale può essere, oggi, il bilancio dello zapatismo? Più volte, gli storici si sono chiesti se quella del Morelos sia stata un'autentica rivoluzione sociale. Alla domanda molti, sia marxisti che liberali, hanno risposto di no, etichettandola come una ribellione conservatrice, localista e perfino reazionaria. Tuttavia, è facile osservare che il movimento andava oltre la semplice rivendicazione delle terre. Possedeva, ad esempio, una chiara concezione del potere e del governo. Secondo il caudillo del sur, la nazione si doveva costruire a partire da un'organizzazione decentralizzata di pueblos liberamente federati, sovrani ed autonomi nelle decisioni politiche, amministrative e finanziarie. Altro aspetto importante era la preminenza delle autorità civili su quelle militari, una concezione assai avanzata per il Messico di quel tempo.
Al contrario di quanto sostengono i suoi detrattori, Zapata comprese anche la necessità di non rimanere isolato. Per questo mandò rappresentanti all'estero (tra gli altri, Octavio Paz Solorzano, padre del poeta) e aprì le porte del Morelos a tutti coloro che erano disposti a unirsi alla sua lotta. Nel 1913, chiamò anche Ricardo Flores Magón, allora esiliato negli USA, il quale, per motivi mai del tutto chiariti, non poté accettare l'invito.
Combinazione contraddittoria di passato, presente e futuro, il movimento zapatista marca l'irruzione delle civiltà indigena nel Messico contemporaneo: la sua sconfitta ha solo rimandato il problema. A fine secolo, Zapata cavalca di nuovo, rivendicando i diritti dei più piccoli.

Claudio Albertani
(dal bollettino n°14 del Centro Studi Libertari di Milano)