Rivista Anarchica Online


dossier immigrazione

Discriminati per i diritti

ricercati per il lavoro nero
di Claudio Frugoni

 

Il segno della situazione dei cittadini stranieri in Italia è la precarietà, che spesso sfocia nello sfruttamento vero e proprio.

Se L'intera disciplina dei fenomeni migratori è stata interessata nell'ultimo biennio da un deciso riordino che ha modificato, sin nelle fondamenta, l'intera costruzione giuridica precedente.
L'emanazione del testo unico Turco-Napolitano n. 40 del 6 marzo 1998 (la cui elaborazione è stata "segretata" sino alla presentazione del relativo disegno di legge nelle aule del parlamento) rappresenta, infatti, un tentativo di disciplinare organicamente i fenomeni migratori e la condizione giuridica del cittadino straniero in Italia (con l'unica eccezione della regolamentazione del diritto di asilo, che è oggetto di uno specifico progetto di legge ancora bloccato in parlamento), in seguito alle forti critiche sollevate da un lato nei confronti della legge Martelli e della sanatoria approntata dal passato governo Dini, dall'altro nei riguardi della disomogeneità determinata dal vasto numero di fonti (dalla legge alla circolare ministeriale) preordinato alla disciplina di questo settore.
Correlati a questa legge, che costituirà l'impianto sul quale si struttureranno tutte le politiche migratorie dei prossimi anni, sono stati predisposti un regolamento attuativo emanato nel novembre dello scorso anno (pubblicato sulla G.U. n. 258 del 3 novembre) e una "sanatoria" che prevedeva la regolarizzazione di una parte del fenomeno "clandestini". Della possibile definizione a titolo di sanatoria di quest'ultima, approvata con un decreto legge nell'ottobre 1998, si è fortemente dubbiosi per la natura dei requisiti richiesti (una sistemazione alloggiativa, un lavoro, la presenza sul territorio dello stato prima del 27 marzo del 1998) che sono lontani dal carattere di universalità che dovrebbe caratterizzare provvedimenti di questa natura. Non solo, non è da dimenticare che tale sanatoria sta ancora oggi dispiegando i suoi effetti: infatti, non sono ancora stati rilasciati tutti i permessi di soggiorno relativi lasciando in una situazione di estrema precarietà i richiedenti.
L'analisi dei criteri informatori di tale normativa evidenzia immediatamente che i reali obiettivi del legislatore risultano essere differenti da una semplice sistemazione di una materia oggettivamente inestricabile e disomogenea. Infatti, inserita pienamente nella più complessiva logica degli accordi europei di Schengen (che prevedono la creazione di uno spazio unico europeo nel quale sia garantita ed incentivata la libera circolazione delle merci e del capitale, ma non delle persone), tale normativa è caratterizzata dal disegno di operare una sostanziale chiusura e militarizzazione delle frontiere nei confronti dell'esterno, permettendo l'ingresso - ancora una volta utilizzando il fallimentare strumento della previsione di flussi annuali - a limitate quote di cittadini stranieri annualmente previste dal governo in appositi decreti (il primo dei quali è stato emanato proprio in questi giorni). Regolarizzazione dei flussi che, come dimostra la cronaca dell'ultimo decennio, produce e costringe alla clandestinità e che disvela i reali interessi sottesi a questa dinamica ipocrita: i clandestini sono dei "pericolosi criminali" da utilizzare come comodi capri espiatori buoni per ogni "emergenza" criminalità, da incarcerare nei centri di permanenza temporanea (non centri di accoglienza come li dipingono stampa e politici), vere e proprie istituzioni totali create ad hoc per uomini e donne colpevoli solo di cercare condizioni di vita migliori alimentando così quel muro di gretta diffidenza che respinge culture differenti individuando in esse un pericolo per la propria identità.

L'altra faccia della medaglia di quest'immane ipocrisia è ben rappresentata dal fatto che gli stessi uomini e le stesse donne sono invece tollerati se accettano di contribuire con lavoro nero o sottopagato a generare e riprodurre il continuo processo di precarizzazione delle condizioni di vita per milioni di lavoratori, precari, disoccupati, donne e uomini nel nostro paese ed essere utilizzati come elemento di pressione e ricatto sull'abbassamento generalizzato dei livelli salariali. Quest'ultima dinamica, che introduce un concetto chiarissimo di selezione attraverso la discriminazione della cittadinanza (ovvero lo straniero anche se regolare e provvisto di un'occupazione, sarà destinato sempre a lavori dequalificati), sta passando anche a livello di intese locali per "incentivare" e sostenere il rilancio di singole aree attraverso l'implementazione degli spazi di flessibilità offerti dalla legislazione ordinaria in materia di lavoro. Tipico esempio di ciò è offerto a Milano dalla stipulazione del cosidetto Patto per il lavoro firmato dal comune, dalle associazioni padronali, dalla CISL e dalla UIL (la mancata sottoscrizione della CGIL è frutto unicamente di una scelta politica, non certo per una contrarietà ai contenuti del patto stesso visto che accordi simili li ha firmati in altre aree del paese) e da numerose associazioni del volontariato cattolico (Caritas in testa) per l'assunzione agevolata con contratti atipici, salari di circa 800.000 lire mensili e con la libera licenziabilità di immigrati, disoccupati di lungo periodo, lavoratori over 40 espulsi dal mercato del lavoro e cittadini in situazioni di disagio psicofisico. La finalità espressa della prospettiva di una limitazione forzata degli ingressi, principalmente attraverso lo strumento giuridico, è accompagnata dall'inasprimento di tutta la normativa relativa alle espulsioni (attraverso il combinato disposto della riduzione dei termini di impugnazione dei vari provvedimenti e della mancata previsione di ogni effetto sospensivo dell'esecuzione dell'espulsione in caso di ricorso contro la stessa), al respingimento (prevedendo, tra l'altro, il reato di favoreggiamento e di sfruttamento dell'immigrazione clandestina) ed alla repressione dell'immigrazione "illegale" che, come precedentemente accennato, adotta lo strumento anticostituzionale e fortemente coercitivo del centro di permanenza temporanea, vero e proprio lager di stato (al quale, tra le altre cose, non si capisce che tipo di normativa sia applicabile) nel quale vengono rinchiusi cittadini stranieri "colpevoli" unicamente di illeciti amministrativi (per fare un veloce paragone è come se un cittadino italiano, fermato per eccesso di velocità, venisse arrestato e recluso per trenta giorni).
Accanto a ciò, vi sono tutte quelle fattispecie che prevedono la possibile revoca del permesso di soggiorno nei casi di condanna, anche solo in primo grado (violando così il principio costituzionale di non colpevolezza che prevede una condanna definitiva per l'accertamento della stessa), per reati di media gravità: per esempio furto con scasso, spaccio... È palese come questo sia ulteriore causa di precarietà della vita di un immigrato, soprattutto se si hanno ben presenti le difficoltà di sostentamento e d'integrazione che incontrano e la facilità di cadere nelle mani di organizzazioni criminali. Da questa breve disamina si capisce come la situazione del cittadino straniero in Italia sia caratterizzata da un'estrema precarietà che spesso sfocia nello sfruttamento vero e proprio (quando le due situazioni non siano addirittura presenti contemporaneamente, cosa altamente probabile!), entrambe, ad ogni buon conto, previste ed anzi incentivate dalla legislazione attualmente vigente.

Claudio Frugoni

 

 

La FILEF offre....

La FILEF, individuando al centro della propria attività politica e di servizio la figura multietnica e multiculturale del migrante, con i suoi bisogni e i suoi diritti, pratica un'azione politica diretta verso una libera società senza frontiere di popoli e culture, di cittadini del mondo intero. Tra i servizi offerti dalla FILEF ci sono lo sportello informativo e di orientamento, lo sportello legale, lo sportello donna. Per ulteriori informazioni contattare

FILEF 02/58302112
via G. Bellezza - 20136 Milano