Rivista Anarchica Online


dossier militarismo

Abolizione della leva e "creatività" antimilitarista
di Andrea Dilemmi

 

Prosegue il dibattito su naja e dintorni. Dopo gli interventi (sullo scorso numero) della Lega Obiettori di Coscienza e di Franco Pasello, interviene ora Andrea Dilemmi.

Il dibattito sulle pagine di "A" a riguardo dei recenti provvedimenti governativi in vista della professionalizzazione delle Forze Armate cade a pennello: è evidente infatti che non solo l'antimilitarismo più marcatamente libertario ma anche un più generico pacifismo sono in difficoltà a fronte della crescente militarizzazione nella società e del ritorno della guerra nell'agenda politica del nostro paese e dell'Europa in generale.
Come è stato ricordato su queste pagine, l'opposizione alla coercizione della leva militare, prima della legge del 1972 che ha istituito il servizio civile, e poi alla leva militare e civile, è stata per anni una importante possibilità di lotta al militarismo perché, attraverso delle pratiche di disobbedienza - in Italia sempre più che minoritarie -, è stato possibile svelare l'essenza intrinsecamente autoritaria di ogni esercito indicando una strada concreta - se pur generalizzata - per combatterne l'esistenza. L'opposizione alla leva ha quindi storicamente rappresentato uno dei campi principali di azione degli antimilitaristi, anche se non è stato l'unico: opposizione ai missili ed alle basi militari, alla produzione bellica, alle spese militari_, mentre l'abolizione della leva obbligatoria ne è stato un naturale obbiettivo.
La prospettiva, nel giro di alcuni anni, dell'abolizione della leva obbligatoria militare e civile segna quindi anche la fine di un terreno di scontro fra gli antimilitaristi da una parte, le Forze Armate e lo Stato dall'altra. Si tratta di un processo in corso già da qualche anno, come sottolinea Franco Pasello ("A" 259 del dicembre 1999), con la diminuzione del livello di repressione nei confronti del rifiuto della leva, a tal punto che gli stessi nonsottomessi, nella loro maggior parte, hanno finito in questi anni per sottovalutare le potenzialità della propria scelta, scegliendo di occuparsene solo marginalmente.

 

Ma quali conquiste?

Ci sono però alcune considerazioni di Franco che non condivido.
Innanzitutto non credo che si possa parlare delle decisioni del Governo D'Alema come "conquiste di libertà": proprio perché non si tratta di conquiste. Una ristrutturazione delle Forze Armate in senso efficientista e mercenario non può permettersi, oggi, di evitare l'abolizione dell'obbligo di leva. La funzione degli eserciti nel nuovo mondo multipolare è proprio quella di difendere privilegi strategico-economici e l'"immagine" dei paesi coinvolti negli interventi: se la partecipazione italiana alla guerra in Serbia e Kosovo può avere finalità geopolitiche riconoscibili, quella alla missione a Timor ha un'esclusiva finalità pubblicitaria: "ci siamo anche noi, quindi dobbiamo contare di più nelle stanze dei bottoni". Per questo servono Forze Armate in dimensione ridotta ma ben armate ed addestrate, e rapidamente spostabili ovunque. Solo un esercito di professionisti risponde a questi requisiti.
Le nuove funzioni delle Forze Armate (molto oltre la "difesa dei confini nazionali di un paese che ripudia la guerra come metodo di risoluzione dei conflitti", se qualcuno ci ha mai creduto sul serio) hanno quindi bisogno di un'adeguata legittimazione a livello di opinione pubblica. Non c'è dubbio che l'abolizione della leva risponde anche alla necessità di creare consenso rispetto alle nuove Forze Armate professionali.
Infine, come era prevedibile, anche "i preti laici", le lobby dei gestori del servizio civile e "i due partiti comunisti", hanno avuto la loro con l'approvazione, il 26 novembre, da parte del Consiglio dei Ministri, di un disegno di legge per l'istituzione di un Servizio civile volontario. Fortemente voluto da enti come Caritas, Arci, Legambiente, WWF, Gavci_, questo provvedimento prevede l'istituzione, accanto al Servizio militare volontario, in un prossimo futuro unica fonte prevista di reclutamento per le Forze Armate, anche di un Servizio civile volontario, che rimpiazzerebbe il vuoto causato dalla fine della leva obbligatoria e dalla conseguente fine del Servizio civile come oggi lo conosciamo.
Il provvedimento prevede la possibilità di svolgere un servizio in ambiti quali la solidarietà sociale e la cura del patrimonio culturale ed artistico, sia presso enti pubblici che privati. Sarà aperto a uomini e donne tra i 18 ed i 26 anni, durerà un anno e si potrà esplicare anche all'estero.
Il futuro volontario civile riceverà uno stipendio, non ancora esattamente quantificato, e potrà godere di una serie di "crediti" e di agevolazioni per i concorsi pubblici e le graduatorie.
Il motivo alla base del provvedimento è, lo abbiamo visto, molto semplice: sfumato il progetto Prodi di Servizio civile obbligatorio parallelo alla professionalizzazione delle Forze Armate e passati quindi all'opzione Scognamiglio-D'Alema, che prevede l'abolizione della leva obbligatoria, gli Enti e le Associazioni che basano la loro esistenza sullo svolgimento di servizi progressivamente abbandonati dalla gestione pubblica statale, svolgimento reso possibile e competitivo dall'utilizzo di manodopera coatta a basso costo, si sono visti all'improvviso nel pericolo di perdere la fonte principale della materia umana di cui si nutrono: il servizio civile garantito dalla leva obbligatoria.
Abbiamo visto quindi queste Associazioni (di ispirazione "pacifista") prendere improvvisamente le difese dell'esercito di leva contro l'esercito professionale, con motivazioni peraltro molto deboli (più "garanzie democratiche" e "funzione educativa"). Vista l'inevitabilità della decisione governativa, sono tornate all'attacco per riguadagnare in qualche modo la manodopera di cui necessitano.
Il servizio civile volontario, per come si prospetta, assume l'aspetto di un'ulteriore forma di lavoro giovanile precario e sottopagato che si va ad aggiungere alle forme già oggi in ampia diffusione: lavoro interinale, LSU, largo utilizzo dei contratti di formazione_ In particolare, prende la forma di un necessario "contratto di formazione" nei settori dell'assistenza, della cultura, dell'ambiente.
Solo chi avrà svolto questo anno di lavoro sottopagato potrà accedere con buon punteggio a graduatorie e concorsi negli enti pubblici, meta sempre più lontana di schiere di giovani disoccupati e sottoccupati.
Il Servizio civile volontario è quindi l'ultimo anello "politically correct" dell'adeguamento delle Forze Armate italiane al ruolo di piccola potenza mondiale a cui aspirano militari, governanti, padroni. Un ulteriore elemento di legittimazione degli eserciti, come lo è tutt'ora il servizio civile per la leva obbligatoria: il militare di professione potrà "portare la pace" con le sue armi intelligenti mentre i volontari civili professionisti si occuperanno degli ospedali, dei vestiti, dei campi profughi: la Missione Arcobaleno in questo è un precedente importante, anche a livello simbolico.

 

Ri/pensare l'antimilitarismo

Lo stato sembra essere così forte da potersi permettere di rinunciare quindi ad uno dei più potenti strumenti di educazione all'obbedienza in cambio del consenso necessario a perpetuare ed aumentare la sua sfera d'influenza.
Certo, forse in quanto democrazia occidentale non poteva permettersi di mantenere in piedi un sistema coercitivo che veniva vissuto come insensata ed inutile imposizione dalla società ed in particolare dalle sue fasce giovanili, ma non mi sentirei di parlare di conquista di libertà: casomai, di una diminuzione del livello di coercizione individuale. La "società civile", in questo caso, influenza le decisioni statali "in passivo", non attraverso una mobilitazione attiva. Ma il problema non è questo: come è stato sottolineato, il problema è quello di come gli antimilitaristi possano reinventare uno scontro con il militarismo a partire dalle sue nuove trasformazioni. Anni fa si era detto che occorreva "Ri/pensare l'antimilitarismo". Oggi è di questo che abbiamo bisogno.
Senza la presunzione di dare risposte omnicomprensive, il lavoro che ci troviamo di fronte come antimilitaristi è imponente. Su queste stesse pagine ("A" 259 del dicembre 1999), la Lega Obiettori di Coscienza, critica non solo l'ipotesi Servizio civile obbligatorio ("il nostro impegno sarà ancora una volta quello di diffondere informazioni e saperi che permettano al maggior numero di giovani di far valere il loro diritto a sottrarsi a coazioni che continuiamo a ritenere illegittime. A noi è sempre stato chiaro e lo è ancor oggi che la partecipazione popolare a forme alternative di difesa non si può ottenere con la coscrizione obbligatoria") ma anche un Servizio civile retribuito ("un'altra ricetta, basata sulla solidarietà, condita con il fondamentalismo della famiglia e applicata con il fondamentalismo dell'educazione. Peccato che il risultato, forse buono rispetto al dettaglio del problema, sarebbe una versione moderna del "Dio-Patria-Famiglia" che sicuramente non fa parte della migliore tradizione pacifista") e propone un Servizio civile volontario non retribuito ("30 buoni pasto e le sigarette"), che garantirebbe la limpidezza e la professionalità del servizio stesso. Oltre a questo, campagne di opinione contro il Nuovo Modello di Difesa e per ascrivere nella Costituzione il diritto all'obiezione di coscienza.
Dal nostro punto di vista, il problema non può essere ancora una volta affrontato inseguendo le scelte istituzionali con l'irraggiungibile proposito di "riempirle di contenuti": la parabola del servizio civile e dell'obiezione di coscienza dal 1972 ad oggi ne è una chiara dimostrazione e dà ragione a quanto hanno sostenuto i nonsottomessi all'obbligo di leva in tutti questi anni.

 

In Spagna per esempio

Occorrerà riflettere a fondo sul da farsi ma è possibile segnalare fin da ora alcuni elementi su cui pensare un intervento sia per quanto riguarda scelte di disobbedienza individuale sia per azioni di contestazione e rivendicazione collettive.
In Spagna, paese che ha conosciuto il più ampio sviluppo della nonsottomissione alla leva civile e militare (quasi 10.000 nonsottomessi in dieci anni, con centinaia di persone incarcerate), la risposta alla professionalizzazione delle Forze Armate, in anticipo di alcuni anni rispetto al nostro paese, ha trovato risposte forti anche se minoritarie, possibili grazie alla rete di solidarietà ed allo spazio pubblico che l'insumisión ha saputo conquistarsi in questi anni. Alcuni antimilitaristi hanno quindi deciso di attuare la "nonsottomissione nelle caserme", ovvero l'arruolamento come volontari e la diserzione pubblica dopo alcuni giorni di caserma. Questa scelta, che comporta condanne al carcere militare per due anni e quattro mesi, trova la sua ragione nella volontà di mantenere alto il livello di scontro con l'istituzione militare per evidenziarne il carattere oppressivo e repressivo, rovinandogli il lifting umanitario in corso. È abbastanza evidente il poco senso che avrebbe una scelta simile qui da noi, per la mancanza delle condizioni che là rendono invece possibile pensare che scelte di questo tipo "valgano la pena" di essere prese. Ci sono state però anche iniziative interessanti di altro tipo, come le manifestazioni di contestazione promosse dai sindacalisti della CGT e della CNT del settore trasporti contro un treno propagandistico dell'esercito professionale oppure la nascita di un coordinamento di insegnanti contro la propaganda militare nelle scuole.
Come ha segnalato Franco Pasello, l'abolizione della leva non sarà totale: la leva obbligatoria rimarrà come possibilità in casi "speciali". È possibile quindi che meccanismi di arruolamento come la visita di leva rimangano in vigore, con la conseguente presenza di rifiuti: occorrerà attrezzarsi per supportare questi rifiuti come è stato fatto negli anni con i nonsottomessi.
Le figure del militare di professione o del volontario di professione incideranno sensibilmente nelle dinamiche future del mondo del lavoro: entrambe saranno "cerimonie di passaggio" per garantire una relativa sicurezza del proprio futuro lavorativo. Da parte del sindacalismo di base c'è quindi l'opportunità di contrastare l'allargamento delle quote di posti riservati nell'amministrazione pubblica agli ex militari in ferma prolungata come anche al sistema di agevolazioni e crediti. Occorre contrapporsi alla nascita del Servizio civile volontario come nuova forma di precarizzazione del lavoro.

 

Periodo di transizione

La creazione di Forze Armate professionali reca con sé alcune conseguenze su cui è possibile intervenire: da una parte, il più che probabile aumento delle spese militari a fronte di una riduzione di quelle sociali; dall'altra, lo sforzo pubblicitario e propagandistico dell'esercito a caccia di carne umana non sempre prontamente disponibile. Sempre più spesso le Forze Armate sono presenti in ambiti nuovi ed inconsueti. A Verona, ad esempio, sono fra gli sponsor di eventi culturali organizzati dal Comune come concerti o feste della tifoseria della locale squadra calcistica, oppure sono presenti con propri stand in eventi come "Job", la fiera sulle nuove forme di lavoro per i giovani. Questa invasività della presenza militare non deve diventare scontata: è possibile contestarla ricordando quali sono le reali ragioni dell'esistenza e dell'utilizzo degli eserciti nel nuovo scenario nazionale ed internazionale: una forza di polizia a difesa dei privilegi degli stati e delle imprese dominanti, come dimostrano gli interventi all'estero di questi anni e la creazione di una "cortina di ferro" contro l'immigrazione in Europa.
Non dimentichiamo che i processi di professionalizzazione, sebbene siano ben avviati sia a livello propagandistico che come ipotesi legislative, sono ancora agli inizi. Vi sarà un periodo di transizione di qualche anno in cui la leva obbligatoria sarà ancora presente e le norme che regoleranno i servizi militare e civile volontari saranno ancora in via di definizione. Qualcosa, insomma, si può fare.

Andrea Dilemmi

 

non sottomessi nelle carceri Spagnole

incarcerati in Spagna:
Rafael Fernández, Ignacio Ardanaz Ruiz, Raul Alonso, Javi Gómez, Joseph Ghanimede, Alberto Naya

Potete scrivergli presso:
Establecimiento Penitenciario Militar de Alcalá de Henares, Carretera de Meco, km. 5, 28805 ALCALÁ DE HENARES (MADRID).