Non so se avete seguito tutti, la sera
dell'ultimo dell'anno, il messaggio televisivo di auguri del
Presidente della Repubblica. Io, vi confesso, no. E non tanto
per motivi ideologici. Vi assicuro che mi ero accinto alla bisogna
con quello spiccato senso del dovere civico che da sempre mi
caratterizza, ma ho resistito pochissimo. Poche volte, in vita
mia, mi era capitato di ascoltare una tale sequenza di insignificanti
banalità e il tono con cui il Presidente le pronunciava, lo
ammetterete, non era tale da far prevedere degli sviluppi esaltanti.
Per cui, di fronte al rischio di piombare pesantemente nel sonno,
di dormire fino al secolo successivo e perdermi le lenticchie
e il brindisi di mezzanotte, mi sono affrettato a spegnere il
televisore, come suppongo avrete fatto anche voi, e con voi
la maggioranza dei nostri compatrioti, compresi i colleghi giornalisti
che di quel messaggio avrebbero dovuto riferire nei quotidiani
di due giorni dopo e che infatti se la sono cavata con dei resoconti
puramente di maniera. Anzi, il fatto che siano riusciti, nonostante
tutto, a riempire le sei sette colonne assegnate all'evento
dai loro redattori capo testimonia dell'ingegnosità e della
competenza professionale di una categoria troppo spesso calunniata.
Il Presidente, d'altra parte, più di tanto non poteva fare.
Tra tutti i generi letterari, quello del messaggio presidenziale
di auguri è senza dubbio il più precettivo. Uno non può fare
gli auguri ai concittadini dal Quirinale e dire, così alla buona,
ragazzi non facciamoci troppe illusioni, guardiamo in faccia
la dura realtà e rendiamoci conto che il sistema fa acqua da
tutte le parti. Non può dire, in quell'occasione festosa, che
l'economia va così e così, che gli imprenditori si dedicano
soprattutto all'accattonaggio istituzionale, che la classe politica
fa più schifo che altro e che il livello culturale è sempre
più basso, per cui le nuove generazioni non possono sperare
nulla di buono per il futuro e d'altronde, visti i loro atteggiamenti
correnti, si meritano ampiamente quello che gli capiterà. Non
suonerebbe bene e poi di quella classe politica fa parte anche
lui e se si mettesse a dire delle cose del genere sa che gli
aprirebbero una procedura d'impeachment prima ancora dell'Epifania.
Per cui, poveraccio, deve dire che, nel complesso, il bilancio
è positivo: che tutti stanno facendo il loro dovere, che ci
sono dei problemi, certo, e come potrebbero non esserci, ma
lavorando tutti insieme li supereremo senz'altro e i giovani,
che della nazione sono la speranza più bella, devono soprattutto
avere fiducia. Poi potrà aggiungere qualcosa d'altro, secondo
i tempi e le usanze, ma non più di tanto. La sostanza, non si
scappa, deve essere quella. E le aggiunte più succose, naturalmente,
se le potranno permettere quelli che sono d'indole, diciamo,
un po' birichina e non si fanno scrupoli a debordare dal ruolo
che costituzionalmente gli spetta, litigando tra le righe con
il Presidente del Consiglio in carica, come faceva Scalfaro,
o a lanciando, in forma più o meno dissimulata, complesse bordate
di lazzi e insulti ai nemici prossimi e remoti, come abbiamo
sentito fare all'inevitabile Cossiga. Ma chi birichino proprio
non è, come l'ottimo Carlo Azeglio, di possibilità ne ha ben
poche. Deve mettersi lì, dietro la sua scrivania, con le sue
brave bandiere di fianco, ad affliggere se stesso e chi lo sta
ad ascoltare con venti minuti di melensaggini, che, per essere
tranquillizzanti non sono meno tediose.
Lui
di là noi di qua
In realtà, Ciampi - gliene sia reso il dovuto merito - qualcosa
l'ha fatto. Ha ripristinato la scrivania. Il suo predecessore,
lo ricorderete, l'aveva abolita. Si faceva riprendere in poltrona
accanto al caminetto e fingeva di essere un buon papà, o un
buon nonno alla mano, di quelli a cui i nipoti vogliono tanto
bene perché dispensano la loro saggezza senza rompere veramente
le scatole a nessuno. Ed era un'immagine ovviamente falsa: tanto
falsa da far venire il voltastomaco ai telespettatori più incalliti.
Capirete: se proprio dobbiamo essere rappresentati al più alto
livello istituzionale da vecchi professionisti della politica,
usi a ogni intrigo e a ogni manovra di entrambe le repubbliche,
è sempre meglio che si presentino come tali, per quello che
sono. Di nonni e papà ciascuno ha avuto i suoi e, di solito,
gli sono ampiamente bastati. La scrivania, con il suo effetto
di separazione, lui di là e noi di qua, ha l'indubbio vantaggio
di rimettere le cose a posto. Nessuna persona normale si azzarderebbe
a intrattenersi in poltrona da pari a pari con uno Scalfaro,
mentre quella di trovarsi dall'altra parte di una scrivania
rispetto a una figura di potere (preside, capoufficio, giudice,
primario o che altro) è un'esperienza che, una volta o l'altra,
abbiamo fatto tutti. Purtroppo, non credo che il Presidente
Ciampi abbia scelto la scrivania in nome di questa, pur necessaria,
distinzione dei ruoli. Secondo me, lui l'ha voluta per metterci
sopra il monitor del computer. Un monitor, ricorderete, di quelli
di ultima generazione, ultrapiatto e, presumibilmente, ad altissima
risoluzione. E sfido: era quello, in fondo, il messaggio. Un
computer fa managerialità. Fa tecnico, fa esperto di qualche
cosa. Ciampi, si sa, è un gentiluomo, oltre che un e banchiere:
non direbbe mai una parola contro i suoi predecessori, ma non
poteva mancare di sottolineare il fatto di essere, diversamente
da loro, un mago delle tecniche economiche e finanziarie, uno
che ha portato il paese in zona euro e che è intenzionato a
tenercelo a costo di (farci) perire nel tentativo. è su questa
immagine che ha sempre giocato tutta la sua carriera politica,
mentre Cossiga, poveretto, organizzava i ruoli dei gladiatori
e Scalfaro prendeva a schiaffi nei ristoranti le signore troppo
scollate, e non si vede perché avrebbe dovuto rinunciarci. Ma
dato che si loda si imbroda, ha preferito affidare il relativo
memento a un oggetto: al muto, ma non per questo meno eloquente,
monitor del computer. Tanto è vero che, affinché a nessun cittadino
sfuggisse quella suggestiva presenza, ha fatto disporre lo schermo
rivolto verso le telecamere, in una posizione che, a prima vista,
si direbbe alquanto demenziale, perché non serve niente a nessuno
avere sulla propria scrivania un computer il cui monitor è rivolto
verso chi gli sta di fronte e su cui lui non può leggere, ma
che era in ultima analisi, perfettamente funzionale, allo scopo
che quella presenza si prefiggeva. Perché non è detto che un
monitor visto da retro si possa identificare per quello che
è e nella società del telespettacolo le parole volano, ma le
immagini restano ed è sempre meglio affidarsi alle icone che
alle espressioni verbali. Tanto, diciamocelo, i messaggi dei
politici chi li sta a sentire?
Carlo Oliva
Ha
fatto disporre
lo schermo
rivolto verso
le telecamere
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