Giornali da dentro
Il 3 e 4 dicembre 1999 si è tenuto a Firenze, (Auditorium del
Consiglio Regionale della Toscana, Via Cavour, 4) un convegno
sui giornali del carcere organizzato dall'Associazione Pantagruel
e dalla Regione Toscana, nell'ambito del progetto Informacarcere.
La mattina di venerdì 3 sono intervenuti: Orietta Lunghi, Presidente
della Commissione sul Disagio Sociale della Regione Toscana;
Ettore Ziccone, Provveditore Regionale Amministrazione Penitenziaria
e Franco Cazzola, Assessore Regionale alla Cultura e alla Trasparenza.
Vi sono state inoltre le relazioni delle Associazioni e dei
Giornali del Carcere, come l'Associazione Papillon di
Rebibbia; La Grande Promessa di Porto Azzurro; Mayday
di Bologna; Liberarsi dalla necessità del carcere di
Firenze; Magazine 2 di San Vittore e Ristretti Orizzonti
del carcere Due Palazzi di Padova.
Il convegno è proseguito nel pomeriggio con gruppi di lavoro
su argomenti specifici:
Come
far nascere un giornale del carcere e farlo vivere
Come
coinvolgere il territorio
L'informazione
fatta con strumenti diversi dai giornali
Dopo
il convegno quali prospettive future?
Gli
Ospedali Psichiatrici Giudiziari
Le
custodie attenuate
Istituti
Penali Minorili
Il
41 bis e i detenuti differenziati
La mattina di sabato 4 alcuni detenuti e detenute sono intervenuti
su temi particolari spesso dimenticati o non risolti come l'ergastolo
(La Grande Promessa); la detenzione politica (Pasquale
Abatangelo); i bambini e le mamme detenute (Marzia Belloli,
intervista registrata da Controradio); gli stranieri in carcere
(Imed Mejeri); la pena di morte in carcere (Adriano Sofri).
Hanno concluso i lavori gli interventi di Vincenza Bonifacio,
Responsabile della divisione Trattamento e Lavoro del D.A.P.
e l'On. Franco Corleone, sottosegretario al Ministero della
Giustizia.
Da sottolineare i motivi di fondo di questa iniziativa:
Esiste
una realtà positiva che è quella dei giornali del carcere, circa
40 esperienze (più di 10 solo in Toscana, con esperienze importanti
come La Grande Promessa di Porto Azzurro, il TG Galeotto
della Gorgona, Ragazze Fuori di Empoli, Il Ponte
di Massa, Spiragli dell'O.P.G. di Montelupo Fiorentino,
Espressioni di Lucca, Taita di Prato, Orti
Oricellari 18 dell'Istituto Penale Minorile, per fare alcuni
esempi) che impegnano un buon numero di volontari, operatori
e soprattutto detenuti e detenute; o
Queste voci, molto diverse tra loro, credono che l'informazione
sia un punto centrale per modificare la vita interna del carcere
e per incontrare la società esterna che circonda la struttura
del penitenziario;
Il convegno di Firenze ha dato l'opportunità a questi gruppi
che utilizzano la stampa di un periodico ma anche la radio,
la televisione, il cinema, il comunicato stampa ecc
di incontrarsi
e di dialogare tra loro e con le istituzioni;
Dal
convegno di Firenze nascerà una forma di organizzazione-coordinamento
che renda più incisiva, più seria e più vasta l'azione di questi
gruppi sparsi nelle varie regioni italiane
Il convegno ha visto la partecipazione di 200 persone a rappresentare
comitati (Silvia Baraldini e Horst Fantazzini), molte associazioni
di volontariato (Gruppo Abele, Razzismo Stop, Antigone, Caritas,
Centro Francescano di Ascolto, Insieme e altri); giornalisti
della R.A.I., emittenti radiofoniche come "Radio Sherwood" di
Padova, "Radio Popolare" di Milano, "Controradio" di Firenze
e altre.
Zlatomir Tadinac del "TG 2 Palazzi" ha ripreso tutto il convegno
per il "telegiornale prigioniero" di Padova.
Purtroppo alcuni detenuti e detenute che avevano chiesto di
ottenere un permesso di partecipare al convegno, si sono trovati
davanti la solita ottusità di taluni magistrati di sorveglianza
i quali sono sempre molto intransigenti quando a chiedere i
benefici della legge sono i soliti poveracci senza santi in
paradiso, e non i grossi rapinatori di tangentopoli (che peraltro
non ci vanno nemmeno in carcere)!
Numerosi e molto complessi come si potrà vedere gli argomenti
trattati che meriterebbero ulteriori approfondimenti. Soprattutto
sono emerse in modo doloroso le urgenze del sovraffollamento,
della fatiscenza delle strutture, del divario nord/sud (ebbene,
esiste anche nel mondo carcerario !), degli abusi di potere
e di episodi di percosse e di violenze ai danni dei carcerati
soprattutto stranieri; della salute e dell'affettività negate;
della presenza di malati gravi, di handicappati e di bambini
con le loro madri in carcere; del lavoro (inteso come percorso
di autonomia economica che porta verso l'esterno, non come ulteriore
schiavitù carceraria), dei laboratori, della scuola per i carcerati:
esperienze che esistono in maniera difforme e che dipendono
unicamente dalla buona volontà di educatori e volontari, i quali
peraltro sono in numero esiguo rispetto a una corporazione di
agenti di polizia penitenziaria molto agguerrita e molto sostenuta
specialmente dai settori più reazionari e senza alcuna preparazione
(diciamolo: la maggior parte degli agenti ha un licenza media
scarsa: impossibile dialogare con loro!).
Il G.I.S.C.A. (Insegnanti carcerari) ha sollevato la questione
di croniche mancanze di materiale didattico, dai computer fino
a un semplice libro di testo.
La "pena di morte in carcere" è quella morte quotidiana, della
quale ha parlato a lungo e con passione Adriano Sofri.
A tutti i partecipanti è stato consegnato materiale documentativo
con presentazioni dei vari giornali del carcere e delle attività
svolte dai medesimi, nonché mozioni e denunce (come quella,
terrificante, proveniente dalla Sezione Alta Sorveglianza di
Parma, firmata da una trentina di prigionieri).
Questo materiale si può richiedere alla sede di Informacarcere
c/o Regione Toscana, Via G. Modena 13 - 50121 Firenze.
DOCUMENTO APPROVATO DALL'ASSEMBLEA DEL 4 DICEMBRE:
Si costituisce a Firenze formalmente il "Coordinamento Informazione
e Giornali del carcere" che è rappresentato fino al dicembre
2000 dalle seguenti esperienze: Mayday (Bologna),
La Storia di Nabuc (O.P.G. di Aversa), Ragazze Fuori
(Empoli), Ristretti Orizzonti (Padova), Liberarsi
dalla necessità del carcere (Firenze), Centro di Documentazione
Gruppo Abele (Torino) e un giornale di un Istituto Penale Minorile
(d'ora in poi IPM) che sarà designato tra i numerosi periodici
esistenti in queste realtà.
Al Coordinamento si possono iscrivere tutte le esperienze interessate
che producono periodici e che fanno informazione nel carcere
e sul carcere, versando una cifra simbolica di 20.000 lire sul
conto corrente dell'Associazione Pantagruel.
La segreteria sarà svolta per questo primo anno da Informacarcere,
presso la Regione Toscana, la stessa che ha curato il convegno.
Il Coordinamento insieme al Ministero della Giustizia organizzeranno
a Rebibbia in aprile un secondo incontro nazionale che servirà
a:
1) presentare i dati della ricerca/ censimento ragionato sui
giornali del carcere e sulle voci dell'informazione. Ricerca
coordinata da Luigi Cairola, detenuto in articolo 21 del carcere
di Massa, a cui daranno un aiuto i giornali che rappresentano
il Coordinamento e tutte le altre voci interessate.
2) Fare un ulteriore riflessione, individuare e articolare meglio
i compiti del Coordinamento.
3) Rinnovare e ridiscutere la segreteria e l'organo rappresentativo.
I giornali che in questo anno svolgono il lavoro di rappresentanza
di questo Coordinamento chiedono al Ministero
che
venga individuato un loro referente presso il DAP o di venire
consultati su quello che viene elaborato a livello del DAP sull'informazione
in generale e sui giornali in particolare. o
Che venga concessa un'autorizzazione ai delegati delle esperienze
dell'attuale rappresentanza per poter incontrare le redazioni
dei giornali esistenti nelle carceri e gruppi di detenuti che
volessero iniziare un'esperienza con nuovi periodici o utilizzando
altri strumenti di informazione.
Sarà compito di coloro che sottoscrivono il presente documento,
in questi mesi:
Aiutare
i giornali e le esperienze di informazione che ce lo chiedono
a superare i vari problemi che devono affrontare nella loro
quotidianità.
Instaurare
un rapporto con l'ordine nazionale dei giornalisti per trovare,
anche in questo soggetto, persone disponibili ad appoggiare
corsi di formazione per rendere più alto il livello dei giornali.
Facilitare
la nascita di altre esperienze
Mayday, Marcello Mattè
La Storia di Nabuc, Claudio Flores
Ragazzi Fuori, Barbara Antoni
Ristretti Orizzonti, Ornella Favero
Liberarsi dalla necessità del carcere, Giuliano Capecchi
Gruppo Abele, Susanna Ronconi e Patrizia Brigoni, Giornale da
designare dagli IPM
Patrizia "Pralina" Diamante
Anticlericali a
Pisa
A conclusione di una serie di iniziative fra cui la mostra
Eppur si muove! La stampa anticlericale in Italia fra Otto
e Novecento, e lo spettacolo Storie di inquisizioni
curato da Mario Coglitore, Fabio Santin e Rino De Michele, si
è svolta sabato 27 novembre 1999 la giornata di studio organizzata
dalla Biblioteca Franco Serantini in collaborazione con la Domus
Mazziniana, dedicata a Galileo Galilei e Giordano Bruno nell'immaginario
sociale dei movimenti popolari fra Otto e Novecento. Un folto
pubblico ha riempito la sala convegni della Domus Mazziniana
ed ha seguito con attenzione e passione le varie e dense relazioni.
Adriano Prosperi dell'Università di Pisa ha aperto i lavori
con un'affascinante relazione dal titolo Note sulle ricerche
e l'edizione dei documenti processuali di Galileo Galilei e
Giordano Bruno, che ha ripercorso le vicende della scoperta,
davvero intricate e degne di un film di spionaggio, delle carte
processuali del tribunale del Sant'Uffizio relative ai casi
dei due "martiri del libero pensiero". Altre relazioni hanno
trattato gli aspetti artistici e culturali della diffusione
del mito di Galilei e Bruno, in particolare Federico Tognoni,
ha parlato dell'iconografia di Galileo nell'arte; Concetta
D'Angeli ha analizzato la produzione dei drammi e delle opere
teatrali in genere, dedicate a Galileo Galilei, prodotte a cavallo
del secolo; Fernando Mastropasqua, si è soffermato sul Galileo
di Brecht, mentre Maurizio Antonioli ha descritto l'ambiente
culturale libertario. Maria Turchetto e Alessandro Volpi hanno
presentato due interessanti relazioni sulla diffusione del razionalismo
e del materialismo in Italia. L'intervento di Volpi si è soffermato,
in particolare, sulla lettura dei testi positivisti, in particolare
le opere di Darwin, a Firenze immediatamente dopo l'Unità d'Italia,
con un'analisi accurata della composizione delle biblioteche
circolanti e popolari. Un altro gruppo di interventi ha analizzato
la storia dei movimenti sociali e popolari anticlericali riguardanti
in particolare la Toscana. Hanno presentato nuove ed inedite
ricerche Franco Bertolucci con una relazione su La geografia
dell'anticlericalismo in Toscana fra Otto e Novecento; Giorgio
Sacchetti, su gli Anticlericali in piazza. Le agitazioni
"pro Ferrer" in Toscana (1909-1910) - questo saggio sarà
pubblicato prossimamente su "A") - e Lorenzo Gestri, Galileo
versus la Madonna di Sotto gli Organi. Insorgenze anticlericali
e immaginario collettivo a Pisa tra '800 e '900. In ultimo
è stato presentato, da Pietro Finelli, uno studio sulle radici
del pensiero e dell'azione anticlericale del filosofo Giovanni
Bovio che tanta influenza ha avuto nella formazione dei movimenti
anticlericali e politici fra la fine dell'Ottocento e l'inizio
del Novecento.
Il particolare approccio metodologico e l'argomento sono state
le novità più interessanti di questa giornata di studi. Difatti
è la prima volta che veniva affrontato, con una comparazione
storica, il tema della diffusione popolare dei "miti" galileiano
e bruniano fra Otto e Novecento attraverso un'indagine multidisciplinare
che ha coinvolto studiosi e ricercatori di discipline diverse
che spaziavano dalla letteratura alla sociologia, dalla filosofia
alla storia sociale. Ora siamo in attesa di vederne pubblicati
al più presto gli atti.
L'eretico
Biblioteca Franco Serantini
Largo Concetto Marchesi 56124 PISA
Tel. 050 570995 Fax 050 3137201
e-mail: bfspisa@tin.it
Toulouse e dintorni
Dopo 16 ore e mezzo di viaggio in treno eccoci alla stazione
di Toulouse. Sono le cinque e mezzo del mattino e la seconda
giornata del convegno L'anarchismo ha un futuro? inizierà
solo verso le nove. Dopo un paio di caffè per riprenderci, sacco
in spalla partiamo alla scoperta della città. Tutto è buio e
immerso nel sonno. Le visite di rigore: il Pont Neuf (che comunque
ha qualche secolo), la cattedrale, le piazze, le vetrine delle
librerie, ecc.
La giornata è serena, la temperatura mite, ma il sole tarda
a levarsi (ma che ora è? da noi è già chiaro!). Poi in metrò
fino all'università.
Siamo in perfetto orario, ancora un caffè e poi dentro al chiuso
delle aule.
Una visita rapida nella sala di ricezione dove troviamo i dossier
delle relazioni, le bancarelle dei libri e delle riviste, altri
caffè, succhi di frutta, ecc. e soprattutto compagni e compagne
che si danno da fare per far funzionare tutto nel migliore dei
modi.
Nell'aula magna le relazioni sono già iniziate. Tra il pubblico
attento vedo facce conosciute, nella pausa ci sarà il tempo
per i saluti. Alla fine delle esposizioni, richieste di chiarimenti,
puntualizzazioni, contestazioni,... Mi chiedo sempre come fanno;
il mio tempo di digestione di un intervento è lungo, migliora
se lo vedo scritto. Cerco di indovinare le ragioni di chi partecipa
alla discussione: chi è, a cosa si riferisce, chi sta citando...
Mi informerò più tardi.
Nella pausa di mezzogiorno (ottimo il pranzo, buono il vino
fatto da non so quali frati, che comunque sono riusciti a trovare
il paradiso in terra) i saluti, le nuove conoscenze, i progetti,
le attività...
Nel pomeriggio si riprende, puntuali, il che non può che far
piacere a noi svizzeri, sempre a disagio con i ritardi endemici
degli incontri italiani. Altre relazioni (sulla "rivoluzione",
sull'economia), altri interventi che cercherò di assimilare
ai miei ritmi.
Alla sera, con una buona compagnia internazionale, torniamo
in città per la cena. Scarpiniamo dappertutto, come stamattina
presto, alla ricerca del ristorante tipico di cui qualcuno ha
sentito tessere le lodi. Alla fine ci rendiamo conto di essere
stati s... Carrozzati in giro alla ricerca dell'ideale di bellezza
femminile, incarnato in una giovanissima e graziosa cameriera.
Comunque il cibo si dimostra buono e abbondante, all'altezza
del vino locale, la compagnia pure.
Il giorno dopo, non devo mancare assolutamente al seminario
su Anarchia e Internet. Le relazioni buone, molto dense,
documentate, interessanti, sono seguite da una discussione molto
accesa in parte ideologica in parte tecnica sui sistemi di controllo,
che posso seguire solo parzialmente (chissà perché i francesi
devono sempre stravolgere i termini tecnici o renderli incomprensibili
foneticamente?). A mezzogiorno altro momento conviviale, sempre
buoni il cibo, il vino, la compagnia e l'organizzazione.
Nel pomeriggio mi perdo una relazione che ha suscitato un vivace
dibattito (ne vedo solo la coda), ma sono stato a chiedere aiuto
per cercare di risolvere un problema per il sito anarca-bolo
e le spiegazioni sono state lunghe. Comunque non voglio mancare
l'intervento finale di Mimmo, un po' l'anima del convegno, inserito
nel ciclo Liberare l'anarchia, che inizierà dopo quello
di Salvo, cattedratico e chiuso nella parte letta, bello e arioso
nella risposta a braccio. Un anticipo della relazione di Mimmo,
che di suo vi aggiunge pure una gestualità che tiene viva l'attenzione
dei presenti, ormai stremati dal terzo giorno del convegno.
Gustoso negli aneddoti, puntiglioso nelle polemiche, l'esposizione
suscita molti interventi da parte dei compagni presenti. Un
buon finale per tre giornate intense. Un interrogativo resta
da sciogliere: ma i compagni tedeschi, inglesi, scandinavi,
austriaci, e dell'est e del sud dove sono?
Ancora una visita alla sala per l'acquisto di libri e riviste,
lo scambio di indirizzi e impressioni e poi via verso la stazione,
col peso del sacco che si è triplicato, per le 16 ore e mezzo
del viaggio di ritorno. Sul treno il tempo trascorre leggendo,
discutendo degli interventi uditi e degli stimoli ricevuti,
parlando dei compagni conosciuti, e preparandoci all'impegno
del giorno dopo: la visita in Ticino dei "bulgari" (si può dire?)
di Reggio.
Sabato, il ritorno a casa, frastornati dalle tante ore di viaggio
e dalle poche di sonno.
Domenica mattina, tempo splendido, le ultime verifiche, tutto
dovrebbe funzionare al meglio.
I compagni di Reggio arrivano puntuali (toh! comincia a essere
un'abitudine) a Mendrisio e iniziamo la visita i luoghi "storici"
dell'anarchismo in Ticino. Passando da Capolago, giungiamo a
Lugano, poi al CSOA Il Molino al Maglio, dove mangiamo un piatto
di pasta assieme ai prodotti portati dai compagni di Reggio
(in Ticino non riusciremo mai a competere con l'organizzazione
anche solo culinaria di S. Martino in Rio, ma abbiamo fatto
del nostro meglio). L'ambiente è ottimo, le occasioni per fare
amicizia molte.
Nel pomeriggio visita nel Locarnese (il museo Casa Anatta al
Monte Verità di Ascona, La Baronata a Minusio), poi il ritorno
al Maglio per il bicchiere della staffa e i saluti di rito.
Tutto è andato bene. A un'altra occasione, qui o giù.
Riflessione finale: L'anarchismo ha un futuro? Il nodo non
è stato sciolto, ma finché ci saranno individui, compagni, gruppi
che avranno piacere a stare assieme, discutere, sognare, agire
per un mondo più giusto e più libero, ci sarà almeno la possibilità
perché questo futuro possa avverarsi.
Zampanò
Il premio Ciampi
a Lalli
Prima o poi qualcuno se ne doveva accorgere: Lalli ha ricevuto
il premio ciampi 1999, ed è francamente un tributo obbligato
nonché dovuto. In mezzo alle macerie del cantautorame italico
si è fatta largo con tenacia senza svendere un minimo della
sua integrità artistica, ed il mondo non ha potuto fare a meno
di accorgersi di lei. Il buon Massimo Pirotta le ha letto la
motivazione (scritta di suo pugno) con la voce rotta dall'emozione.
La riportiamo qui sotto:
ALL'ATTENZIONE DI FRANCO CARRATORI / PREMIO CIAMPI
Un meritato riconoscimento a Lalli, musicista capace di più
sguardi, vocalist di sicuro talento e performer dalle multiple
raffigurazioni sonore.
Alla sua più che decennale carriera, lontana da odierni sovraccarichi
multimediali, da falsi orpelli decorativi e posizionata nei
percorsi autoproduttivi.
Un'artista a tutto campo che differenziandosi sa dar sfoggio
ad indelebili pentagrammi nel raccontare e nel raccontarsi.
I tragitti nella memoria, il battito della poesia, il solido
ponte fra plurime tradizioni e nuove istanze divulgatrici.
Una sintesi di parole e suoni che è nitida fotografia e che
immediatamente diviene storia.
Musica capace di più espansioni, ricca di particolari e di soffi
ideali, fra passioni, ricordi, desideri, gioie, forme di vita
in movimento.
Seppur con le dovute differenze, un agire artistico votato alla
massima libertà espressiva come quella del nostro amato Piero
Ciampi.
Vorremmo anche sottolineare che, nonostante un'attività concertistica
sempre più intensa, Lalli ci fece gradita sorpresa improvvisando
un'esibizione al Bloom di Mezzago a sostegno della rivista assieme
a Stefano Giaccone (che era temporaneamente in Italia per lo
spettacolo teatrale con Ferdinando Bruni "Urlo a Kaddish").
Se mi si consente un appiccicoso et mieloso sbrodamento finale,
direi proprio che noi le vogliamo bene...
Mario Bossi
Il sogno dei Saharawi
Sono ormai sette anni che la popolazione saharawi attende
lo svolgersi del referendum di autodeterminazione e per l'ennesima
volta è stato rinviato. Ultima data: dicembre 1999. L'opinione
internazionale era convinta che quella sarebbe stata la volta
decisiva. Invece no. Il processo di identificazione degli aventi
diritto al voto non riesce a trovare una via d'uscita e la situazione
d'impasse si protrae vanamente.
Chi sono i Saharawis, questo popolo che ci evoca luoghi lontani,
grandi distese e uomini blu? Perché il Marocco persegue nella
sua politica di invasione ed occupazione illegittima di un territorio
che non gli appartiene?
La vicenda ha inizio nel secolo scorso e rappresenta uno dei
casi più emblematici per il diritto internazionale perché riguarda
sia aspetti politici che giuridici e mette in crisi - non era
necessario attendere i bombardamenti della Nato sulla Serbia
- il ruolo e l'efficacia dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Ma è bene procedere con ordine ed introdurre storicamente l'esistenza
e le sventure di questo popolo così orgoglioso da definirsi
"gente del deserto".
Con la Conferenza di Berlino del 1884, convocata dalle potenze
europee per concordare la spartizione del continente africano,
veniva riconosciuta la sovranità spagnola sul Rio de Oro che
verso la fine degli anni cinquanta, era trasformato in due province
del tutto equiparabili a quelle spagnole. Questa forte presenza
straniera ebbe in realtà l'effetto di indurre nuove forme di
organizzazione sociale, diverse da quelle tradizionali, che
si formarono sulla base di un sentimento anticoloniale.
Il primo atto giuridico a sostegno della lotta del popolo saharawi
è la risoluzione n. 1514 adottata dall'Assemblea Generale delle
Nazioni Unite il 14 dicembre 1960, cd. 'Dichiarazione sulla
concessione dell'indipendenza ai paesi ed ai popoli coloniali';
essa sanciva la fine del colonialismo ed invitava le potenze
coloniali a far in modo che le popolazioni ed i territori non
ancora autonomi potessero pervenire all'indipendenza attraverso
un processo di autodeterminazione. Nel 1963 veniva creato dalle
Nazioni Unite il Comitato Speciale per la Decolo- nizzazione
- per favorire l'applicazione della risoluzione n. 1514/1960
- che inscriveva il Sahara Spagnolo nella lista preliminare
dei territori ai quali concedere l'indipendenza. Ogni anno l'Assemblea
Generale delle Nazioni Unite adottava una risoluzione per sollecitare
lo svolgimento di un referendum per l'autodeterminazione del
popolo saharawi. Nel 1972 veniva adottata la risoluzione n.
2983 che affermava esplicitamente "il diritto inalienabile del
popolo saharawi all'indipendenza" e "l'appoggio (delle Nazioni
Unite) alla lotta che esso porta avanti per l'esercizio di questo
diritto" pregando tutti gli Stati "di offrire ogni aiuto morale
e materiale per questa lotta".
Nel 1973 nasceva il Fronte Polisario (Fronte Popolare per la
liberazione del Sakiet el Hamra e Rio de Oro) definito in conformità
al diritto internazionale 'movimento di liberazione nazionale'.
Esso 'è l'Ente che rappresenta il popolo saharawi nell'esercizio
del diritto all'autodeterminazione e possiede una personalità
giuridica internazionale che gli consente di essere il titolare
di quel diritto'.
Il Fronte Polisario partecipa oltre che alle sedute dell'Assemblea
Generale delle Nazioni Unite, anche a quelle di altre organizzazioni
internazionali ed è ad esso, che le Nazioni Unite fanno riferimento
in tutte le loro risoluzioni.
Il 1975 è un anno chiave per il popolo saharawi. Alla Corte
Internazionale di Giustizia (organo delle Nazioni Unite) veniva
richiesta, dall'Assemblea Generale, l'emissione di un parere
al fine di accertare quale fosse lo status del Sahara Occidentale
al momento della sua colonizzazione e quali fossero i legami
giuridici di questo con il Regno del Marocco e con l'insieme
mauritano. Alle due domande la Corte Internazionale di Giustizia
dava risposta il 16 ottobre 1975: in merito alla prima questione
la Corte affermava che 'sulla base degli elementi che le erano
stati forniti, al momento della colonizzazione spagnola il Sahara
Occidentale era abitato da popolazioni nomadi, socialmente e
politicamente organizzate in tribù e situate sotto l'autorità
di Capi che le rappresentavano' ritenendo che il territorio
non rivestisse lo status di terra nullius (terra di nessuno).
Alla seconda domanda la Corte rispondeva in modo più articolato
e complesso concludendo che 'tenuto conto della particolare
struttura dello Stato cherifien, gli elementi che le erano stati
sottoposti circa un esercizio effettivo di autorità da parte
del Marocco non stabilivano alcun legame di sovranità tra questo
Stato ed il Sahara Occidentale'. (...) Nonostante la chiara
indicazione favorevole all'autodeterminazione del popolo saharawi
contenuta nel parere appena citato, il 6 novembre 1975 una marcia
di civili marocchini penetrava indisturbata nel Sahara Occidentale
realizzando una vera e propria invasione di territorio altrui
e suscitando una forte riprovazione formale delle Nazioni Unite.
Successivamente, il 14 novembre 1975, veniva stipulato l'Accordo
Tripartito tra Spagna, Marocco e Mauritania con il quale la
Spagna abbandonava definitivamente il Sahara Occidentale e si
realizzava la cd. 'colonizzazione africana' di uno Stato africano
su di un'altra entità africana.
Nonostante le risoluzioni dell'As- semblea Generale delle Nazioni
Unite, legittimo l'esercizio del diritto all'autodeterminazione
per il popolo saharawi e nonostante il parere consultivo della
Corte di Giustizia delle Nazioni Unite, neghi l'esistenza di
una sovranità del Regno del Marocco sul Sahara Occidentale,
il popolo saharawi non ha ancora avuto la possibilità di esercitare
il proprio diritto all'autodeterminazione, per rendersi definitivamente
indipendente od annettersi al Marocco. Mentre imperterriti gli
amministratori marocchini perseguono la politica di occupazione,
non curanti delle continue sollecitazioni delle Nazioni Unite
e di numerosi Stati. (...) Non rimane che prolungare l'attesa
fino al mese di luglio 2000 - nuova data per lo svolgimento
del referrendum - e sperare che si realizzi le volontà dei saharawis,
in un clima di libertà e sicurezza.
Sempre che gli Stati Uniti non ritengano necessario intervenire
militarmente per risolvere la controversia: ormai le norme della
Carta delle Nazioni Unite non hanno più senso e la guerra è
divenuta l'unico strumento per risolvere le controversie internazionali.
La diplomazia ha lasciato il posto agli armamenti e la ragionevolezza
è stata sostituita dalla corsa al profitto.
C'è un buon motivo per ritenere che i saharawis potranno stare
tranquilli: nonostante la forte presenza di fosfati nel loro
territorio sarebbe sconveniente aggravare lo squilibrio politico-sociale
esistente in quella zona.
Il peso politico del Marocco è tale da far prevalere la scelta
di tenere soggiogato un popolo piuttosto che rompere gli schemi
internazionali. Immaginate la scelta strategica del governo
marocchino di aprire le frontiere all'intera popolazione che
inevitabilmente si riverserebbe sulle coste del Mediterraneo,
con grave preoccupazione dei governi europei.
Non resta che sperare. Sperare nella ragionevolezza, nella supremazia
del diritto e nel buon senso.
Cos'altro dire quando si ha notizia che quest'anno il Marocco
riceverà dall'Unione Europea un aiuto di 281 milioni di dollari
mentre ne spende un milione ogni giorno, per occupare illegalmente
buona parte del Sahara Occidentale?
Nulla, solo buona fortuna!
Giulia Fumagalli
Per
informazioni e contatti rivolgersi a:
Associazione di solidarietà con il popolo Saharawi
Ban Slout Larbi
via Risorgimento, 61
50019 Sesto Fiorentino (Fi)
tel. 055/4210030
fax 055/4496369 |
Il silenzio dei
pacifisti
Ci avete fatto caso? Per la guerra che i russi hanno scatenato
contro i ceceni, con i furiosi combattimenti a Grozny, non si
è mosso nessuno. Ma proprio nessuno. Sarà che la Cecenia è lontana,
sarà che i ceceni non riscuotono grandi simpatie, sarà che sono
famosi per le loro mafie che intrallazzano a Mosca, però questo
silenzio è impressionante. Soprattutto se si pensa al "rumore"
per la guerra in Kosovo. Allora tutta, ma proprio tutta, la
sinistra italiana si è mobilitata: volantini, manifesti, cortei,
articoli sui giornali, bandiere americane bruciate... Adesso
nemmeno uno straccio di manifestazione, neppure una conferenza
stampa. Di bandiere russe bruciate neanche a parlarne. Viene
il sospetto che i pacifisti italiani non abbiano superato l'estate
e siano tutti morti. Misteri d'Italia.
La stranezza è resa ancora maggiore se si pensa alle analogie
tra i due conflitti.
I "ribelli" ceceni vogliono l'indipendenza da Mosca così come
i "ribelli" kosovari volevano staccarsi da Belgrado. Una piccola
regione (in entrambi i casi) voleva la sua autonomia rispetto
al grande stato. E le armate del grande stato sono intervenute
per soffocare la rivolta. È la logica che tutti conosciamo.
Che dovrebbe far scattare in piedi tutti quelli che si riconoscono
negli ideali della sinistra. E invece la sinistra (perfino gli
anarchici e i libertari) fa distinzioni poco comprensibili.
Perché i serbi vogliono essere dominatori tanto quanto (fatte
le debite differenze quantitative) i russi. I ceceni non sono
né peggiori né migliori dei kosovari: mafiosi i primi (passate
la banale generalizzazione), trafficanti di droga i secondi.
Comunque sempre di guerra si parla e lo slogan che ha avuto
tanto successo per il Kosovo (questa guerra è ingiusta perché
è una guerra) dovrebbe valere anche per la Cecenia. E invece
no, nessuno urla contro l'ingiustizia della guerra. Perché questo
diverso atteggiamento? Beh, la differenza tra i due conflitti
c'è ed è molto chiara: per difendere i ceceni non sono intervenuti
gli americani. E sì, la differenza è tutta qua. Quando ci sono
di mezzo gli "odiati yankee" il sangue ribolle e (per non lasciare
dubbi) giustamente. È ovvio che il primo obiettivo per chi vuole
cambiare la situazione esistente è l'opposizione a chi esercita
il maggiore potere in Occidente. E gli italiani fanno parte
dell'Occidente. E gli americani (cioè Casa Bianca e Pentagono)
sono i padroni dell'Occidente. Fin qui tutto chiaro. Ma gli
anarchici, i libertari, vale la pena di ricordarlo in questi
tempi di grande amnesia, sono contro tutti i poteri. Quindi
contro il potere americano come contro quello russo. Perché
come cantava l'amico Fabrizio De André "non ci sono poteri buoni".
Eppure si nota un certo "codismo" degli anarchici e dei libertari
verso le parole d'ordine della sinistra ex, post, sempre comunista.
Misteri d'Italia.
Ma, fatto ancora più incomprensibile, l'attuale dirigenza russa
non è certo comunista, i dirigenti di partito sono stati sostituiti
da mafio-affaristi (in molti casi sono sempre le stesse persone
soltanto riciclate nelle funzioni sociali), l'esercito russo
non è più l'armata rossa. Perché allora la sinistra marxisteggiante
italiana ha ancora questa reverenza verso il Cremlino? E perché
perfino gli anarchici e i libertari vengono influenzati da questa
reverenza e si accodano al silenzio della sinistra? E scendono
in piazza quando la sinistra marxisteggiante decide che una
guerra è ingiusta? Misteri d'Italia.
Arriviamo al nocciolo del problema: gli anarchici sono di sinistra?
Fanno parte di "questa" sinistra? La risposta è duplice: sono
di sinistra se per sinistra si intende la lotta contro l'oppressione
sociale, lo sfruttamento, per l'eguaglianza, per il rispetto
(meglio sarebbe dire la completa accettazione ed esaltazione)
delle differenze, per la libertà di tutti. Gli anarchici sono
di sinistra anche quando sono contro il capitalismo. E non soltanto
come sistema economico, ma anche come sistema di dominazione.
Ma si possono collocare in "questa" sinistra, quella con cui
scendono in piazza? La risposta non può che essere negativa.
La critica al "principio di autorità"li differenzia in modo
inequivocabile. La critica allo stato come forma istituzionalizzata
del dominio li rende estranei al vocabolario di questa sinistra
e di tutta la sinistra. Che è statalista. E allora come si può
manifestare contro una guerra condotta dagli americani e tacere
su quella fatta dai russi?
Ed è poi vero che gli anarchici sono contro "tutte" le guerre?
Nel 1936 gli anarchici spagnoli cercarono di costruire una rivoluzione
sociale, ma contemporaneamente facevano la guerra contro l'esercito
di Francisco Franco. E tanti anarchici (non solo loro certo)
accorsero in Spagna per combattere. Cioè per fare una guerra.
Sbagliavano? Non sembra.
Altro nocciolo del problema: si deve avere la lucidità per distinguere
tra guerra e guerra, senza cadere nello sloganismo, nelle parole
d'ordine ripetute per conformismo sinistrese. Meglio lasciare
il conformismo (che poi significa ottusità) a questa sinistra.
E ovviamente alla destra. Ma agli anarchici, proprio per le
idee di cui sono portatori, questa stupidità non è concessa.
Luciano Lanza
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