Rivista Anarchica Online


Risposte che non sono mai risposte
di Nadia Agustoni

 

"Nel vagone piombato diretto ad Auschwitz ha ancora la forza di cantare".
Leggendo il diario di Etty Hillesum.

Le cose veramente primordiali in me sono i sentimenti umani, una sorta di amore e di comprensione elementari che provo per le persone, per tutte le persone.

Etty Hillesum

 

Di una vita giovane finita quasi subito, un tempo si usava dire che fosse cara agli Dei. Gli Dei sono tutt'altro che teneri e piuttosto egoisti, al meno dal mio punto di vista, ma chi abbia dimestichezza con i miti può rendersene conto e cercare magari di trarre conclusioni a sua volta da una prospettiva meno classica. Personal-mente ritengo che sia dura da mandare giù l'idea che chi viene annientato nel corpo e colpito duramente e indelebilmente nello spirito sia in qualche modo un favorito della sorte. È vero che le tragedie sono spesso preludio a un cammino spirituale e esistenziale intenso, ma anche una simile accellerazione psichica rende lecito il dubbio che ci sia uno sbaglio di fondo perché chi predica e vaticina su tanto nobilitante sofferenza e su povertà e umiltà come grandi valori, poi prende per sé i piani alti della vita.
Ci si sente ingannati dallo sperpero di fede che complice la fine del millennio, pare avere rintuzzato le corna.
Se il diavolo è menzogna nessuno è più diavolo dei preti e nessuno di loro ha una risposta da darci.
Del resto una risposta presuppone almeno una domanda vera e poche se ne formulano di queste domande.
Risposte che non sono mai risposte perché anche le sue domande sono aldilà di quanto generalmente è una domanda, affiorano dalle pagine del Diario di Etty Hillesum, una giovane ebrea di Amsterdam morta a 28 anni ad Auschwitz, che con il suo diario lascia testimonianza altissima di un percorso e di un intimo processo di partecipazione.
Un dire pieno e a tratti sconnesso e poi leggero ci rende partecipi a nostra volta, e nostro malgrado scorriamo le pagine come un breviario, un libro d'ore carico di un sognante diluvio di trascendenza il cui significato e le cui radici sono tutte il quel primitivo, elementare amore per tutte le persone, che Etty Hillesum non rinnegherà mai.
Nel vagone piombato diretto ad Auschwitz ha ancora la forza di cantare ed è il perno, la forza, il coraggio cui tutti attingono. Non tornerà mai da Auschwitz ma nei brevi scritti e nelle lettere c'è la traccia di quella parte profonda dell'anima, del cuore, che lei chiamava Dio. Né ebrea, né cristiana, né buddista ma profondamente se stessa e radicata in un sentire così essenziale che può spogliarsi di tutto e tranquillamente riconoscere che si può fare a meno di ciò che crediamo sia tutto.
Essere noi stessi è essere il mondo e il mondo forse ha un bisogno disperato di ciò che siamo e perciò non dobbiamo negarci né negare ciò che ci è possibile fare. Leggere in questo modo Etty Hillesum è avviccinarla, ma non è una figura facile, non si presta alle parole, piuttosto le scavalca, si fa specchio di una nostalgia così tremenda e umana che si può soltanto pronunciare come amore.
Infatti la sua comprensione, il suo percepire così totale, è amore. Testimone e vittima dell'olocausto lascia nei suoi scritti, oltre al Diario ci restano diverse lettere, una traccia di profonda e intensa originalità, una mappa dello spirito aliena alle classificazioni, alle definizioni alle stagnazioni a cui anche testi molto ispirati a volte non sfuggono.
Nel Diario, dove la voce pare pacata e sconfitta insieme, in alcuni punti, Etty Hillesum raggiunge una lucididità così vuota a quanto si usa chiamare speranza, che ci porta vicino al grido.
È questa lucidità sottratta alla speranza e che non si aggruma nell'attesa a farci dire NO! Non ci è possibile evitare di comprendere, non possiamo scappare di fronte a un denudamento totale perché diviene uno specchio della nostra stessa paura e della nostra stessa fragilità. Quindi il suo non sottrarsi fino in fondo diventa il nostro farci testimoni, atto di raccogliere questa memoria perché non resti memoria ma ridivenga vita, diventi di nuovo comunione, avvicinamento e avvistamento del nostro spazio inviolato.
Si può essere timidi di fronte alla sopraffazione ma "la nascita di un'autentica autonomia interiore è un lungo e doloroso processo: è la presa di coscienza che per te non esiste alcun aiuto o appoggio o rifugio presso gli altri, mai. Che gli altri sono altrettanto insicuri, deboli e indifesi", pag. 68
E più sotto "Sei sempre rimandata a te stessa." La giovane donna che tra non molto verrà deportata, ha trovato in sè il raccoglimento per guardare con malinconia ma integralmente ciò che a lei come a tanti si prospetta e se capisce, se sa, che la vita non può essere semplificata né imprigionata, sa anche essere altrettanto vero che "... semplice potresti essere tu ...", pag. 69
E quì cominciamo a intuire la vastità straordinaria di quel Diario che solo dopo 50 anni arriverà a noi con l'inconfondibile impronta di ciò che è raro.
Etty Hillesum ha la grazia inerme di ciò che è grande. Quell'innocenza può far piangere o farsi respingere da chi non può sostenere il sentimento dell'ombra che è il limite tra possibile e impossibile. Possibile in quanto consapevoli e quindi tutti spesi nell'essere e impossibile in quanto soggetti che sono comunque in relazione col mondo. Se il mondo è ostile o se si fa nemico come rispondere al mondo? Quale giustizia chiedere e a chi? E se la pietas è morta a quale volto guardare che sia ancora un volto e non una maschera?
Etty Hillesum pare sottrarsi volontariamente, davanti alla sopraffazione, al giudizio sui carnefici. Il suo sguardo è impietoso, vede la parte ferita del carnefice e la parte crudele della vittima, vede da dentro.
Non salva e non condanna, sospende il criterio giudicante, rifiuta di usare la bilancia, di far capo alla giustizia bendata che non può restituire a nessuno ciò che hanno perduto e cioè la loro umanità, il loro essere autoritratto di Dio. In qualche modo la giovane ebrea di Amsterdam è "l'idiota" di Dostoevskij e con lo scrittore russo, che tramite il principe Myskin racconta la scena del condannato a morte che viene portato al patibolo, potrebbe dire "Ancora una eternità da vivere... tre vie da attraversare... dopo questa prima, la seconda, dopo la seconda, la terza..."
La sua giustizia, così come per Myskin, non è più uno spartiacque ma è com passione: attraversare il dolore fino a sentire la radice di ogni dolore.
È solo così che può dire ciò che Dio è: la tua parte profonda ma anche la parte di tutti e di tutto e la bellezza inestirpabile che può sopraffarci ovunque, in ogni strada, angolo, terra, in una frase, una parola, un gesto e ancora in noi stessi.
Il muro dietro cui l'umanità si rifugia è caduto dentro i suoi occhi e quello che ora vede è una piaga immensa, ma anche un bene immenso e purtroppo per tutti anche una confusione immensa. Non dice che non c'è il male, sa che c'è e che la annienterà come molti altri, ma al male risponde con l'innocenza che è il rifiuto del male estremo: l'odio. Nel meno conosciuto dei Vangeli, quello dell'apostolo Tommaso, è detto: "A chi bestemmia il Padre sarà perdonato - E a chi bestemmia il Figlio sarà perdonato - A chi bestemmia la INNOCENTESPIRITUALITÀ non si perdonerà nè in terra nè in cielo." L'innocenza di cui Etty Hillesum è portatrice, quella che versa negli altri, che dispiega a ogni incontro, è tutta in questi versetti; nel suo essere innocente e inerme c'è una totale presenza.
Annota senza amarezza: "Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Ora, lo so. Non darò più fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se altri non capiranno cos'è in gioco per noi ebrei. Una sicurezza non sarà corrosa o indebolita dall'altra."
Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato, anche se non ho quasi più il coraggio di dirlo quando mi trovo in compagnia.", Pag. 138. Continuare a vivere e a lavorare come se avesse davanti "ancora una eternità da vivere".
Cos'è questo? Come non chiederselo o fingere, come di solito fingiamo, che solo pazzia può essere un tale sentimento. Il fingere è la più grande delle paure, è un rifugio dalle mura così spesse che non un alito di vita può passare. È facile essere in questo modo, è ovvio, ma è terribile e intollerabilmente disumano. È la negazione di quanto a troppi piace chiamare bene. Ma il bene è la cosa più strana che si possa arrivare a conoscere, è quel: "Chi cerca non smetta di cercare finchè non trova e quando troverà resterà sconvolto, farà cose meravigliose e regnerà sul tutto." (Dal Vangelo dell'apostolo Tommaso).

"In una vita c'è posto per tutto"
"So tutto, tutto, in ogni momento".
(Diario - Pag. 136/137)

Dubito che Dostoevskji potesse immaginare che a qualcuno sarebbe toccato un abisso simile e che sarebbe arrivato un tempo, proprio nella civile Europa, dove umanità e barbarie vivendo fianco a fianco avrebbero devastato anche le intelligenze piu lucide. Adesso possiamo affermare che una intelligenza che non sia sensibile non vale niente, è un meccanismo che spinge alla follia, che rende marcio anche ciò che è acerbo.
Etty né angelo né demone, rimane vicino a chi è meno difeso, meno consapevole e per farlo impara a lasciar perdere la paura. A volte l'infinita paura che alcuni provano, il loro terrore espresso o inespresso, sfiniscono in noi la stessa paura, la fanno cessare. Questo essere toccati dal mondo è una benedizione, è il nostro dialogo con la luce. Ogni dialogo con la luce è poi un parlare con l'ombra. Le ombre, in noi, sono arcane; sono l'ostacolo e il raggiungimento. Le ferite che si aprono in questo avanzare sono l'accesso al Divino senza intermediari e ogni sofferenza è il primo vivere a occhi aperti.
Non essere vigliacchi è farsi quotidianamente dialogo con la luce.
Non farsi spostare è rifiutarsi al gioco dell'apparire che gli altri pretendono da noi. Chi abbraccia completamente è abbracciato, chi usa definizioni e ideologie crea l'inferno. La sofferenza che Etty Hillesum trova non è stata cercata ma non è rifiutata. La usa per vedere in tutti il dolore che fa impazzire perché è violando la norma della finzione che prende forma la grazia. E infatti se la sofferenza è toccata nell'attimo in cui accade, prima che si cristallizi, permette di riappropriarsi dentro degli opposti e di ricomporsi,
Non essere spostati da ciò che ci accade è questo: vivere come se ci bruciassimo le mani. È qualcosa di importante far sì che la sofferenza non si nasconda in noi, perché solo se brucerà e gelerà noi presenti, l'avremo compresa. "So tutto, tutto, in ogni momento." Non è che questo.
Mai si dovrebbe confinare la vita di qualcuno nell'enumerazione di ciò che gli è stato tolto. Spogliare altri della loro umanità è spogliarli di quanto hanno potuto amare ed è non capire che l'unica nudità vera è nell'amore.
Quello che non si può togliere a nessuno è lì e essere insensibili a questo è essere totalmente insensibili. A tal proposito il trattamento che le donne hanno subito per millenni partendo proprio dal dato di fatto che è stato considerato immondizia il loro sentire-amare, la dice lunga sul tipo di in-sensibilità dominante. Il Diario di Etty è una spogliazione dopo la pubblica umiliazione, il pubblico obbrobrio, il pubblico rifiuto che è anche il rifiuto, da parte di chi rifiuta, della propria paura. Non ci è dato conoscere gli ultimi mesi di vita di Etty ad Auschwitz, né è possibile immaginarli. Con rispetto mi fermo davanti alla certezza che i particolari della realtà dei campi non li conosceva, anche se voci circolavano sulla disumanità del trattamento (dell'annientamento sapevano).
Si affidava a parole belle e fragili in cui ogni giorno lasciava un granello di polvere per rimanere ultima. Sola com'era.
In occidente chiamiamo questo: perdere. Troppo temiamo l'umiliazione per saper ascoltare e non esserci ascoltati ci è costato molto di più dell'umiliazione: moriamo la nostra morte ogni giorno.
Essere ottimisti è non aver motivi per esserlo. Essere chi ama è non avere motivi per amare, è andare comunque fidandoci non degli altri/altre ma di noi. È anche sapere che "la gente non vuol riconoscere che a un certo punto non si può più fare, ma soltanto essere e accettare", pag. 247; o ancora "tutto avviene secondo un ritmo più profondo che si dovrebbe insegnare ad ascoltare, è la cosa più importante che si può imparare in questa vita.", pag. 254
Capita di vedere a volte, che di fronte alla sofferenza interi sistemi costruiti di valori, indietreggiano. In questo nostro presente è così. Si lascia solo chi soffre perché osiamo dire che lo merita, ma è un grande torto. Essere toccati dalla miseria, è essere troppo toccati dalla vita e chi si rifiuta alla vita si desensibilizza anche in modo sofisticato. Sostituire la vita con la realtà, con quella che diciamo realtà, è il trucco più usato. È un alibi per nascondere l'inadeguatezza e la paura. In ultima analisi e disonestà. E non attenzione. Questa è la giustizia bendata che rifiuta Etty Hillesum ed è la giustizia di chi rifiuta di sapere il proprio e l'altrui dolore. Questa giustizia è un contenitore che ci imprigiona e ci nega tutti ed è il più grande inganno con cui ci hanno tartassato testa e cuore. Quello che più di tutto ci è negato da un simile sistema è la nostra ispirazione e la nostra integrità. Ci spaccano e trovano il buono e il cattivo ma non chi ce li ha messi. Pertanto la situazione è che i più deboli e i meno privilegiati finiscono con il conoscere il lato duro della giustizia, la sua implacabilità con chi sbaglia o si presume abbia sbagliato, senza avere i mezzi adeguati per una difesa, mezzi che invece ha chi facendo parte di quel sistema che fra le tante cose amministrate, amministra anche l'apparato giudiziario, può usufruire di complicità e benefici ad altri interdetti. Un simile sistema si riproduce inevitabilmente anche se apparentemente viene sconfitto perché è la cultura che lo permea a sopravvivergli. È la stessa cultura che può, dopo essere stata complice e accondiscendente con i torturatori e gli assasini che erano al potere, bandirli o condannarli, se non sono già scappati, usando il metodo della mostrificazione, cioè il più facile degli esorcismi che consiste nel lasciare che prima facciano di tutto indisturbati e poi quando non è più possibile far altro, intervenire e fermarli, ma senza toccare una virgola tra quello che non va nell'apparato che li ha prodotti. La colpa è di gente che ha perso la testa e non di un sistema che può vendere e comprare tutto e non può ammettere vengano messi in discussione seriamente i cardini su cui poggia la sua autorità e legittimazione. I ribelli vengono uccisi e fatti sparire e i mostriciattoli legittimi delegittimati per abuso di Potere e congelati nella memoria in attesa di riutilizzarli.
Quello che può rassicurare non andrebbe mai cercato, perché inganna. Per questo è più facile che chi cammina da solo senza appoggiarsi a niente trovi il filo interiore che lo guida all'essere e alla "perenne riserva, che mi aiuterà a vivere senza stentare troppo.", Pag. 107
Julius Spier, amico e maestro di Etty, fondatore della psicochirologia e allievo di Jung, dopo aver letto il diario dirà alla giovane allieva che ora è sicuro che non potrà succederle nulla. Intuiva quanto ci fosse di raro in quelle pagine e a quale processo di trasformazione fossero dovute. Le parole sono fatte più d'ombra che di luce, perché il linguaggio è umano ed è un mezzo per indagare le nostre oscurità, i nodi e il potenziale che abbiamo, ma proprio per questo a volte la luce che da lì traspare, quell'improvviso accadere di luce, ferisce. Allora qualcosa erompe, ci raggiunge, sfigura le nostre sicurezze, affonda le nostre pretese sulla vita.
È così, senza avvertimenti che la vita ci attrae, con le sue cartoline dal paradiso a cui possiamo rispondere o no, ma non ci permettono di rimanere mummificati. Il guscio del dolore si spacca e il dolore non è più l'idea del dolore ma quella forza che sprigionandosi costringe all'intensità e poi alla libertà. È il dolore oltre la sofferenza e chiede tutto: perdersi interamente e trovarsi interamente.
Dovremmo non dimenticare che "soltanto le emozioni non vissute... possono sopprimerci" (Alice Miller), soltanto il non vivere crea la morte. Scappare da qualcosa è scappare da noi e comporta un non attraversamento di noi che alla fine è letale. La libertà richiede talento e coraggio e dedizione: talento di vivere e coraggio di guardare. L'unico pericolo che corriamo, pare dire Etty Hillesum, è non credere in noi.

"È dunque così che vivono gli uomini:
usano gli altri per farsi convincere
di qualcosa in cui in fondo non credono;
cercano negli altri uno strumento per
coprire la propria voce interiore."

(Diario - Pag. 226 - 227)

La voce interiore non si trova facilmente. Anche chi l'ha trovata, può averla solo sfiorata e poi persa. È la voce silenziosa che non conosce l'ambizione dell'orgoglio ed è connotata soltanto dalla naturalezza. È una voce che ha già rischiato tutto e non chiede niente ma si cala in sè come per mettere radici e scompare e riappare toccando le corde della guarigione, sanando ciò che non potrebbe mai ricomporsi né essere riattraversato e creato di nuovo. È senza vanità questa voce e sa solo quanto è necessario. Quando la vanità sparisce non diventiamo piccoli, intuiamo che non c'é differenza tra mente e cuore e nel cuore-mente non c'è sottrarsi nè sottrazione possibile. Imparare a non sentire unilateralmente vuol dire non porsi un limite, non porre in noi un limite e perciò fare spazio, quello spazio vuoto necessario all'amore. La vita per cui non si deve più pagare tributi è questa, è quel "lasciare che le cose si compiano in me (noi)". Pag. 230

"... lasciatemi essere il cuore
pensante della baracca ..."

(Diario - Pag. 239)

 

Senza limitatezza il cuore diventa eloquente e quell'eloquenza è il silenzio dove libertà, sentimento e altruismo si incontrano. Se non siamo liberi fatalmente diamo solo catene, ma se siamo liberi siamo esseri preziosi. Per questo è necessario essere sensibili e non avere capogiri davanti all'inconsueto. Dovremmo sempre ricordare che non saremo amati per i dettagli compromessi e nemmeno per gli atteggiamenti, ma per la nostra integrità, il coraggio, l'onestà, l'amore e la nudità che ci riportano a noi.
Spogliarsi di tutto e morire a tutto è non finire. Questi li chiamo eroi.

Nadia Agustoni

Le citazioni nel testo sono dal Diario Etty Hillesum, edizioni Adelphi. Indico per comodità quasi sempre la pagina, ma dove (pochi casi non l'ho fatto è perché quanto è detto si sussegue nel diario nella stessa pagina). Altre citazioni dall'Idiota di Dostoevskji , in pratica, la stessa citazione è ripetuta nel secondo caso solo a metà. Infine già segnalata Alice Miller da Il bambino incompiuto, edizione Garzanti.

Illustrano l'articolo alcune bambole esposte ad una mostra in corso a Gerusalemme, nel Museo di Yad Vashem, in cui sono esposte bambole e giocattoli fortunosamente costruiti (e trovati) nei lager nazisti.