In un liceo scientifico dellhinterland
torinese, a Venaria, un paese che è ormai un sobborgo
urbano, gli studenti organizzano due ore di assemblea sulla
guerra nei Balcani, invitando un esponente dei DS e una, la
sottoscritta, della Federazione Anarchica. Un evento, in sé,
senzalcun particolare rilievo che tuttavia è servito
a confermare alcune ipotesi sulle modalità di costruzione
del consenso intorno ad una guerra combattuta a pochi chilometri
dalle "nostre" coste, che vede il governo e le forze
armate italiane attivamente impegnati. Particolarmente indicativa
dellatteggiamento della maggioranza dei circa 200 studenti
intervenuti è la sostanziale apatia ed il sin troppo
evidente disinteresse nei confronti di un tema, assunto come
questione tra le tante che il panorama scolastico offre loro.
Una dimostrazione estremamente preoccupante della scarsa consapevolezza
della gravità della situazione che, probabilmente, segnala
larrogante certezza che tali eventi non possano in alcun modo
toccare direttamente un paese come il nostro, schierato con
i più forti e quindi al sicuro dai rischi che fare la
guerra in genere comporta. Una differenza abissale da quanto
osservammo solo 8 anni orsono in occasione della guerra del
Golfo, in cui la posizione dellItalia era per tanti versi assai
meno "in prima linea". Altro elemento estremamente
indicativo che mi è parso di cogliere tra i pochi che
hanno partecipato attivamente alla discussione è inequivocabilmente
il ruolo preponderante che i principali mezzi di comunicazione
svolgono nella costruzione del consenso alla guerra. Infatti,
al di là di due piccole fazioni già preventivamente
schierate pro o contro la guerra, gli altri affrontavano il
dibattito su base esclusivamente ideologica, rifiutando, più
o meno consapevolmente, di mettere in discussione gli avvenimenti
così come questi venivano mostrati loro da giornali e
televisioni.
In molti hanno osservato che, contrariamente a quanto avvenne
nel 91, oggi i mezzi di comunicazione ci forniscono molte più
notizie, specie su argomenti scottanti quali i continui "errori"
dei bombardamenti NATO e ritengono che questo fatto segnali
una qualche crepa anche allinterno del fronte che appoggia
la guerra. Pur non escludendo un qualche grano di verità
a queste considerazioni, temo tuttavia che queste pecchino di
ottimismo. Infatti, colpisce come notizie gravi come le continue
stragi di civili sia serbi che kosovari non producano reazioni
significative nella società civile e paiano invece alludere
ad una sorta di abitudine alla guerra, ad unaccettazione della
quotidianità dellorrore, inevitabile come le piogge
primaverili, sgradevole ma necessario: una sorta di prezzo che
i kosovari pagano per laiuto fornito loro ed i serbi per il
loro presunto incondizionato appoggio a Milosevich, lHitler
di turno da abbattere in nome dellUmanità.
Tutti sono nemici
Questa tesi è confermata da un dato che invece non trova
alcuna eco nella stampa nostrana e che conosciamo solo attraverso
le poche testimonianze dirette: "il consenso intorno a
Milosevic", ci riferisce una compagna serba residente in
Italia appena tornata da una difficile visita ai parenti a Belgrado,
"è in sempre più netto calo, tanto che la
polizia segreta lavora a ritmi forsennati e le prigioni sono
strapiene di oppositori alla politica governativa." Perché
questo genere di notizie non passano? Forse perché contribuirebbero
a mettere in discussione lormai consolidato cliché del
serbo cattivo, sempre nazionalista, impegnato in una lotta senza
quartiere contro le genti che gli abitano vicino. Forse perché
limmagine di una Serbia compatta attorno al proprio leader,
nonostante la guerra, i bombardamenti, la fame, la carenza di
medicinali, la distruzione di fabbriche, centrali elettriche,
acquedotti, è utile per combattere meglio questa come
ogni altra guerra. Serve a costruire limmagine del nemico.
E il nemico, si sa, è sempre feroce, stupido, privo di
umanità, una bestia feroce da combattere e annientare.
In fondo poca o nulla diviene la differenza tra militari e civili,
perché tutti sono nemici ed il nemico può essere
bombardato, privato dei mezzi di sussistenza, si possono distruggere
le case in cui abita, spegnerne la televisione, privarlo di
acqua potabile e di energia elettrica.
Lesercito italiano invece è la mano caritatevole
dellItalietta buonista che cerca di coprire il rombo dei bombardieri
con la melassa degli aiuti umanitari, che, quindi, lungi dallessere
altro dalla guerra, ne rappresentano la logica continuazione
con altri mezzi. Persino, temo, le notizie relative allabbattimento
di aerei, alla caduta di un elicottero "apache" durante
unesercitazione paiono trapelare per segnalare che il conflitto
si fa aspro e forse è anche destinato a durare.
Loperazione di propaganda della "sinistra" di
governo è tanto vergognosa quanto efficace: per settimane
la televisione ci ha mostrato lesercito italiano che, in Albania,
Macedonia, sulle coste pugliesi pareva essersi trasformato in
unassociazione di balie, intente a soccorrere, rifocillare,
sorreggere bimbi kosovari: il sangue, la morte, la distruzione
restavano sullo sfondo, uno scenario tragico ma remoto per le
balie in divisa nostrane.
La propaganda è risultata tanto proficua che in molti,
tra gli oppositori alla guerra, hanno cominciato a sostenere
che, solo dopo linizio dellintervento di terra, sarebbe stato
possibile dar vita ad iniziative realmente incisive. Solo allora,
infatti, lodore del sangue, lorrore della morte violenta,
si trasformerebbero in realtà tangibili anche su questa
sponda dellAdriatico. Sono sicura che tale posizione è
stata espressa in buona fede, da persone realmente preoccupate
di estendere il movimento contro la guerra, tuttavia, pur non
sottovalutando limpatto derivante da un coinvolgimento dellesercito
italiano in operazioni belliche di terra, il tema della guerra
"giusta", la ferocia del "nemico" rischiano,
almeno nel breve periodo, di produrre il necessario effetto
anestetizzante.
Polizia
etnica?
Su un piano diverso da quello strettamente propagandistico
abbiamo assistito ad un accentuarsi della durezza anche sul
fronte interno: quello che in impari tenzone vede scontrarsi
il governo della guerra e ed il variegato universo di chi dalle
piazze dal 24 marzo sta gridando contro il massacro.
Polizia, carabinieri, magistratura stanno con sempre più
pressante meticolosità tentando in vario modo di tappare
la bocca ai movimenti pacifisti. Le denunce scattate per "vilipendio
alle istituzioni" per qualche scritta nei pressi delle
sedi DS, o per "vilipendio alla bandiera" per il gesto
simbolico di bruciare il vessillo nazionale, le provocazioni
poliziesche durante numerose manifestazioni, destinate a creare
incidenti che dimostrino la natura violenta di questi movimenti,
la crescente militarizzazione del territorio segnalano in modo
inequivocabile la volontà del governo di spazzare via
con ogni mezzo i propri oppositori, negando loro la possibilità
di manifestare sia attraverso lintimidazione poliziesca che
mediante lazione giudiziaria.
Emblematico in tal senso è quanto avvenuto a Torino
il primo maggio, prima, durante e dopo la tradizionale sfilata
da piazza Vittorio a piazza san Carlo. Prima della partenza
del corteo uno striscione recante la scritta vergognatevi viene
esposto da alcuni appartenenti ai centri sociali di fronte a
diessini e cossuttiani. Immediatamente i servizi dordine dei
due partiti aggrediscono chi aveva osato tanto contro due partiti
di governo: poco dopo interviene a dar loro man forte la polizia.
Dopo questa prima carica i centri sociali vengono circondati
dalla polizia e sebbene rinuncino a indossare caschi ed esibire
bastoni, nonostante la mediazione di Rifondazione, alla richiesta
di Nerio Nesi, banchiere craxiano passato con Cossutta, in arte
onorevole comunista, partono nuove, più selvagge cariche.
Seguiranno altre violenze nei confronti di un gruppetto di tute
bianche da parte del servizio dordine diessino, verranno presi
a botte persino esponenti del gruppo Beati i costruttori di
pace e, nei fatti, ai centri sociali verrà impedito di
partecipare al corteo del primo maggio.
La polizia, non ancora soddisfatta, nel primo pomeriggio,
mentre era in corso una grigliata, fa irruzione nel centro sociale
Askatasuna, pesta selvaggiamente i presenti, compresi alcuni
bambini ed un paraplegico, distrugge tutto quel che trova. Il
centro sociale, dopo il passaggio dei difensori della legge
e dellordine, era completamente devastato: tutto era stato
spezzato, divelto, strappato, fracassato, fatto a pezzi. Unottantina
di persone trascorreranno una decina dore in questura, 113
verranno denunciati, mentre la partecipazione al corteo costerà
la poltrona ad un assessore di Rifondazione.
Ai signori della guerra serve la pace sociale ed usano gli
strumenti della propaganda e della repressione del dissenso
per garantirsi mano libera in un conflitto che ogni giorno si
fa più sporco, in cui il dispiegarsi della potenza si
fa sempre più spietato, in cui le ragioni della pura
forza tentano di imporsi al di là degli stessi alibi
umanitari di cui si ammanta il dispositivo bellico.
Maria Matteo

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