"Quanto alle stelle, ci sono sempre.
Quando ne spunta una, unaltra ne verrà."
Iosif Brodski
"E non è anche vero che tu, adesso, più
che mai, o diversamente esiliato, un poco ti affidi a me?"
Gianna Manzini
Ritratto in piedi - Mondadori
Cutigliano è un paese di montagna,
nellAppennino Pistoiese, quasi sulla linea di confine con lEmilia.
Non lho visitato, anche se in verità Penso di farlo,
ma la consuetudine al paesaggio appenninico toscano, dove vivo
da anni, mi permette di immaginarlo, forse dovrei dire di intuirlo.
Il libro che Gianna Manzini scrisse sulla figura del padre,
lanarchico Giuseppe Manzini, che a Cutigliano trascorse gli
ultimi anni del confino e della vita, tracciano di Cutigliano
una piccola mappa, inevitabilmente molto interiore, ma è
evidente che molte volte si possono conoscere luoghi che non
ci conoscono e il cui tono apparentemente aspro, ci tiene come
si è tenuti a qualcosa, per una simpatia che trascende
qualunque comprensione. Questo vale per certi paesaggi per una
certa memoria, per persone che mai incontreremo ma di cui ci
raggiungono schegge, indizi appena percepibili che improvvisamente
sembrano coagulare e mischiarsi ad altri nostri cammini.
La memoria ha un suo passo. Gianna Manzini sapeva probabilmente,
limpossibilità di non ricordare. Chi scrive infatti,
se è onesto, è obbligato a ricordare. A darsi
memoria. Ritratto in piedi parte nel segno di una grande fatica
e solo dopo un po la stessa scrittrice dice: "adesso comincio
davvero questa storia-ritratto. Mi provo." Leggo con crescente
emozione sentendo il passo della memoria, di persone che non
conosco, risuonarmi dentro. È un passo di montagna e
un passo di un mondo difficile che si svela pianissimo, ma con
una forza che si incide indelebile tra le pieghe del nostro
anemico presente. Essere udibile, essere ascoltata, pare secondario
a Gianna Manzini, in questo libro sul padre. Cerca per sé.
Una redenzione personalissima e proprio per questo data in pagine
scavate, rese trasparenti dal dolore. Cinquantanni di dolore.
Soli indizi svelano una trama, sono nomi, posti, pensieri, unaltra
memoria o più memorie. Solo chi si apre a queste memorie,
ne trova i tanti fili e di ogni memoria scopre la necessità.
Ecco che così salgono in gola le piccole tempeste,
quello che non si è mai digerito pur senza dirlo. Un
padre tiene per mano la sua bambina e spiega tranquillamente
quanto tutto sia bello e quanto tutto serve. Tutto, pare dirle,
merita salvezza, perché ha una sua integrità che
possiamo non capire subito, ma non dobbiamo rifiutarci di vedere.
"Sintende che il babbo deve ignorare che io sono anche
questo groviglio di perché, questo fuggi-fuggi di consapevolezze.
Deve immaginarmi soltanto in orecchi verso di lui, verso noi
due, senza vacillamenti. Se non ci somigliassimo naturalmente,
basterebbe la nostra alleanza a renderci tanto simili, vero?",
e dunque la nobiltà dello sforzo, quellessersi presenti
a dispetto di tutto e tutti, è una delle cifre del libro.
Parlato in ogni pagina e affilato fino a essere crudele, pacato
ma crudele nella spietatezza di spiegarsi. Forse nessun padre,
anche se a lungo abbandonato, pretenderebbe tanto. Le sapeva
anche lei, ma non sapeva ancora perdonarsi.
Malatesta
amico del papà
Lui, quel padre anarchico, affiora
invece sulle pagine mite e sorridente. Sicuro dei propri valori
e del valore di quella sua bambina, pare attestarsi in unattesa
che è tenerezza, unattesa che si protrarrà molto
aldilà della morte e che una scrittura sapiente, alla
fine, non avrà reso inutile. Da questa scrittura ferita,
la sua immagine, fora le pagine e sale fino a raggiungerci.
La figlia tramanda i passi della consapevolezza e tramanda la
fatica: fatica del dolore, dellassenza, del sempre rimandato,
delloblio. È una fortuna trovare un libro come questo,
dove scrittura e voce, dolore e voce, parola scritta e non detto,
parola e non mai parola, sono lì, davanti a noi e dentro
qualcosa di incolmabile.
In verità siamo abituati a scritture meno attente
perché forse meno sensibili, meno prossime ad ascoltarsi.
Scritture più gettate, più per fuori. "Per
raggiungere laffabile cimiterino di Cutigliano, nella montagna
Pistoiese, dove lui trascorse gli ultimi anni del suo confino
politico, mi ero incamminata lungo la strada di San Vito; e
stentavo a riconoscere la passeggiata che dalla splendida piazzetta
conduce, fiancheggiata da generosi castagni, al belvedere in
faccia alla vallata ma, a mezza via, cè un accenno di
insenatura: di lì un sentiero accompagna fino al camposanto.
Ed ecco che, da quel momento, non fui più del tutto me
stessa: bensì un riflesso, uneco. Più che distacco,
era una provvidenziale distruzione che mi sfoltiva." Ma,
lamore taciuto a lungo, simprime col suo peso sulle pagine,
dove a un certo punto, una disperante incertezza, affida a precisione
e dettaglio lo smarrimento interiore. Cè qualcosa di
immenso nel sentire in un modo così. È un sentire
che ascolta qualcosa che non è mai del tutto possibile
tradurre. Possiamo indovinarlo e rispettarlo. Confrontarci con
questo avvicina alla vita, ma non ne prende il segreto. Forse
il segreto è custodito con leggerezza, la solare leggerezza
dei saggi, da altre figure che entrano nel libro e lo popolano
giocando a fare le ombre.
Lamico del padre, Errico Malatesta, ricercato dalla polizia,
entra travestito nella piccola bottega da orologiaio in cui
il padre effettua le piccole riparazioni con cui sopravvive.
La prende in braccio, canticchia una strofetta, ride e le spiega
che lei ha gli occhi marroni, non neri, e punteggiati "diciamo
doro". Sembra che nella botteguccia sia entrata la musica.
Sono lì, contenti tutti e tre, e quando Giuseppe Manzini
domanda "Ma hai tempo, Errico, hai tempo?", la risposta
è allegra, felice, "Il tempo per far festa alla
tua figliola devo averlo." Lo cercano in tutta Italia e
trova il tempo, lenergia , per farle fare cavalluccio. Lo vede,
mentre sta uscendo, già con la testa su dei fogli, attentissimo
e tutto preso da quanto è venuto a fare. Anche nella
distanza, lei saprà, che questo è indelebile.
Lintelligenza
della percezione
Con Ritratto in piedi, Gianna Manzini, vinse nel
1971 il premio Campiello e fu in pratica il suo ultimo libro.
Morì nel 1974 e non è oggi molto conosciuta, anche
perché i suoi libri non li ristamparono per anni. Si
deve allinteresse del movimento delle donne per la scrittura
e la vita delle altre donne, la sua riscoperta e i nuovi studi
su di lei. Per chi volesse segnalo il bel saggio di Grazia Livi
contenuto in Le lettere del mio nome edito dalla Tartaruga.
La Livi parla a lungo di quanto impediva a Gianna Manzini di
scrivere del padre e raccoglie nel suo bel saggio alcuni episodi
importanti, che ci permettono di delineare meglio le due personalità,
sempre in bilico tra riconoscimento e conflitto, anche se solo
sotterraneo e a quanto se ne può dedurre, per lo più
conflitto che era interamente filiale. Arrivando dopo tanto
tempo a capire, a ricordare, che segretamente si era vergognata
del proprio padre e proprio quando questo coincideva con la
maggiore debolezza sociale di questultimo, la Manzini può
nominare il proprio rimorso.
Nominare non libera, non necessariamente, ma acuisce lintelligenza
della percezione.
Lassenza può essere un pieno insostenibile. Possiamo
anche non riuscire a immaginarla. È la parte strappata
e quella più intima, più in noi. Tento di rappresentarmi
loro due a passeggio per le viuzze di Pistoia, lui senza cappotto
in pieno inverno, perché gli è stato rubato "chi
lo ha preso, ne aveva certo più bisogno di me" dice,
e non commenta più la cosa. Oppure ecco i luoghi dove
"i compagni" si ritrovano per parlare e sono perlopiù
i luoghi dove lavorano, dove i mestieri sono frustaio, fabbro,
contadino... dove odori, polvere, freddo e volti sono ugualmente
nudi.
Giuseppe Manzini era lanarchico più chiacchierato
e preso di mira della piccola città.
Nato da famiglia ricca, seminarista e poi fuggiasco, diventa
giovanissimo anarchico e riversa il suo sapere e i suoi averi
nella diffusione delle idee libertarie. Organizzerà uno
sciopero, uno di quelli che in provincia fanno scalpore diretto
contro la ditta del cognato e sua (infatti è socio),
ma lascerà dopo le critiche feroci della famiglia e dopo
che lo sciopero ha vinto, la sua posizione e la sua eredità,
abbandonando totalmente e definitivamente quel mondo borghese
a lui troppo stretto. Ne verrà anche abbandonato e vedrà
il suo matrimonio finire. Per quanto riguarda la proprietà
a cui rinuncia dirà alla figlia, molti anni dopo, che
"leredità impedisce di saper morire" e quando
morirà nel 1925 la sua completa povertà, farà
dire a uno dei suoi amici che ricorda il funerale "è
stato un funerale di una povertà e di una purezza e di
un silenzio veramente strazianti". In pratica non cera
nemmeno il falegname per chiudere la cassa. Questi era scappato
per paura di compromettersi coi fascisti. Lagguato che gli
tesero, mentre scendeva da un rifugio, fallì, ma essendo
stato insostenibile lo sforzo durante la fuga, Giuseppe Manzini
morirà poi di infarto.
Un
ricordo indelebile
A Pistoia aveva diretto il giornale
LIlota espressione di un socialismo anarchico rivoluzionario
che almeno inizialmente, tenterà una mediazione tra le
due principali correnti del movimento operaio e socialista,
quella fedele allinsurrezionalismo e quella uscita dalla spaccatura
prodotta da Andrea Costa in Romagna. Da quanto la figlia racconta,
pare fosse uno dei delegati al congresso di Amsterdam del 1906.
Difficilissimo reperire altre notizie biografiche. Devo qui
ringraziare la cortesia di Fiamma Chessa, che prontamente mi
ha messo a disposizione quanto era presso larchivio di Reggio
Emilia "Archivio Famiglia Berneri - Aurelio Chessa".
È probabile che il Manzini usasse più che altro
pseudonimi per firmare gli articoli. In pochi casi appare direttamente
la sua firma e uno di questi, anzi forse 8010 in questo caso,
è una risposta a Malatesta datata Pistoia 1 Aprile 1883
- Dall Ilota n. 9. È, del resto, in linea con
il personaggio, questa umiltà e consapevolezza e il mettere
davanti lidea, senza protagonismo. Non amava umiliare, nemmeno
facendo pesare la propria cultura. Lui, che aveva conosciuto
Mussolini quando questi era socialista e ne aveva suscitato
la stima, si rifiuterà, benché sollecitato proprio
da questi, di passare ai neri e rinnegare tutto quello in cui
credeva. Non gli verrà perdonato e lo pagherà
molto caro, pure nella stima che anche ai nemici suscita, questuomo
inflessibile ma profondamente umano.
A Cutigliano, lasciò un ricordo indelebile. Chi lo
aveva conosciuto, paesano o confinato politico, non lo dimenticò.
Alla figlia Gianna, arrivano col tempo, le testimonianze di
compagni e amici che tracciano vivido un ritratto del padre,
che lei non può non riconoscere.
La vita non lascia cadere niente che non possa essere ritrovato.
Bisogna saper pagare però. In un ambiente sociale vendicativo,
dove le parole sono le percosse che non si danno, madre e figlia
vivono il loro esilio e il doppio estenuante silenzio. Ogni
boccone viene fatto pesare, con riguardo, ma continuamente.
Continuamente ogni presunto fallimento viene rivangato e esposto
con relativa morale alle donne di famiglia, che non possono
e forse non sanno sottrarsi allo scempio che si fa di loro e
di altri.
Ogni tanto ci prova la madre a fermare le parole, a dare
nuovo senso a quanto viene detto, ma la bambina non può
parare quel franare del suo mondo, suo e del padre, non lo può
ancora difendere. Non lo difenderà per molto tempo, riuscendo
solo a chiuderselo dentro per impedire che distruggendolo, distruggano
anche una parte tanto grande di lei. Il padre non le può
salvare da quellumiliazione, può solo dare quella parte
di sé, che loro non ignorano e che è scavalcamento
di facili certezze, consapevolezza di vita, spirito nuovo che
muove la sua e loro partecipazione al mondo, chiedendo appunto,
che al mondo tutti abbiano parte. Il dolore tempra è
silenzio e voce e gesti che si raccolgono e si spiegano da soli.
È la voce del padre sulla montagna, mentre mostra
alla ragazza (ormai è cresciuta), il piccolo orto che
si è fatto, portando su un rialzo pieno di sassi, secchi
e secchi di terra. Lei è lontana, non capisce più.
Non sa più sentire. Lo incontra per caso, mentre esce
dalla scuola, in città. Vorrebbe scappare. È presa
da un sentimento di tale angoscia che neanche lo riconosce questo
sentire. Sa di diserzione filiale e non può sopportarne
il peso. Le luci e le strade di Firenze, i musei, le cupole,
i libri, saranno i primi anestetici. Sta scoprendo il mondo,
sale le scale della biblioteca Nazionale come se fossero quelle
del paradiso. Luomo che è suo padre, è una ferita
che deve lasciare indietro. Non smetterà mai di sentirla
e salirà infine fino al paesino in montagna per poter
dare al dolore un nome. Rimorso. Rimorso cocente e grande come
la stessa vita. Lo riscatterà con parole che comunque
non possono lenire il suo rimpianto.
Lanima è strappata fino a essere irriconoscibile.
Non è la tentazione del dolore. È il dolore nello
sguardo, quel vedere dietro le maschere che è sempre
improvviso e ingigantito dai resti. Chi può dire se portare
maschere, è portarle fino a somigliarsele. Oppure se
solo la maschera che scegli, dice chi sei. O ancora se è
la maschera a tagliarti la voce o la maschera è 8010
silenzio. Non è mai facile comprenderci. Nel piccolo
cimitero di Cutigliano, tra giochi di luce, il suo incontro
col padre è un re-incontro finalmente. Diventa linverarsi
delle parole del padre. Quanto laveva fatta vergognare ora
la strazia. Ciò che non chiedeva lo chiede ora. Sfida
lombra per avere indietro il tempo e non può più
averlo.
La donna incontra la bambina in un punto del cuore in cui
tutto deflagrerà. Quanto non poteva ricordare, la raggiunge.
Un uomo e una donna sono dietro i suoi occhi, hanno amato e
sofferto anche loro e lei con loro, mai contro di loro. Lì
lascia nel loro muoversi senza astuzie, in un mondo che lì
allontanerà, ma non potrà separarli. Gli indizi,
sono adesso necessità. Sono quanto le permettono di sapere.
La memoria non è facile e la si paga. Sarà anche
il prezzo della fedeltà e la fedeltà a sé
stessa sarà infine lamore per quelluomo e quella donna.
Nadia Agustoni
P.S. Non ho trovato molte notizie su Giuseppe Manzini.
Quanto è riportato nello scritto è tratto dal
libro della figlia, Gianna Manzini; dalle notizie inviatemi
da Fiamma Chessa e reperibili nellArchivio Famiglia Berneri
- Aurelio Chessa; dallo scritto su Gianna Manzini in Lettere
del mio nome di Grazia Livi. Mi scuso per eventuali errori,
ma pur cercando di essere precisa, poco era quanto a mia disposizione.
Se qualcuno avesse notizie, articoli, opuscoli, o ancora meglio
una biografia magari non conosciuta di Giuseppe Manzini e volesse
mettersi in contatto, è pregato di chiedere il recapito
c/o A Rivista Anarchica. Vorrei fare di questo breve
saggio, uno scritto che contempli una parte biografica più
accurata e quindi sto ancora cercando materiale allo scopo.
Ringrazio ancora chi mi ha aiutato, direttamente o indirettamente.
Chi era Giuseppe
Giuseppe Manzini 1872-1925. Anarchico di Pistoia, dirige
LIlota, un foglio di ispirazione "socialista
anarchico rivoluzionario". Collabora anche a Volontà
o così risulta da una breve nota che ho trovato
in Luigi Fabbri libro biografico. Conosce Malatesta, con
cui sullIlota, cè uno scambio di lettere.
Partecipa al Congresso di Amsterdam del 1906 come delegato.
Nel 1884 è processato con altri anarchici per un
Manifesto stampato dopo larresto di Malatesta. Oggi il
Manifesto si trova presso lArchivio di Stato di Firenze.
Condannato al confino dopo lavvento del fascismo, muore
a Cutigliano.
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Chi era Gianna
Gianna Manzini nasce nel marzo 1896 a Pistoia muore a
Roma nel 1974. Laureata in lettere a Firenze con una tesi
sulle opere ascetiche di Pietro lAretino, collabora a
Solara dal 1929. Conosce Montale, Prezzolini, De Robertis
ma pur nella reciproca stima, sceglierà sempre
una una linea autonoma. Scoperta oltralpe da Gide e Larbaud,
questultimo tradurrà in francese uno dei suoi
racconti.
Tra i suoi libri:
Tempo Innamorato - il romanzo desordio
Incontro col falco - Corbaccio 1929
Bosco Vivo - Treves 1932
Un filo di brezza - Panorama 1936
Venti racconti - Mondadori 1940
Lettera alleditore - Sansoni 1945
Forte come un leone - Mondadori 1947
Ho visto il tuo cuore - Mondadori 1950
Animali sacri e profani - Casini 1953
Arca di Noé - Mondadori 1960
Il cielo addosso - Mondadori 1963
Album di ritratti - Mondadori 1964
e inoltre
Il valzer del diavolo, La Sparviera, Allegro
con disperazione libri di cui non ho le date precise
ma i primi due sono del periodo fine anni quaranta, inizio
cinquanta. Del 1971 è Ritratto in piedi
vincitore del premio Campiello e del 1973 è Sulla
soglia.
Molti furono comunque i premi e i riconoscimenti accordati
alla scrittrice quando era in vita. Notevole la sua fortuna
critica anche in Francia. Ritratto in piedi è
oggi riedito da Mondadori - collana Classici Moderni Lire
13.000
La scrittrice era stata un po dimenticata, negli
anni dopo la morte, ma grazie allimpegno della recente
critica femminista comincia a essere riscoperta.
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