Rivista Anarchica Online



diario a cura di Felice Accame

cavalli di Troia massmediatici

 

Mi capita di leggere una rivista che, già nella testata, vanta il proprio impegno per il socialismo rivoluzionario. Non la nomino, perché le colpe che le addebito non sono solo sue e, dunque, vorrei considerarla un caso esemplare.
Allora. Sulla maggior parte degli articoli non ho alcunché da dire. Stanno indubbiamente dalla parte dei deboli e degli oppressi; denunciano le contraddizioni del mondo intero e di casa nostra; la loro analisi riconduce alla necessità della lotta di classe. Bene. Ma poi vado avanti. E mi rendo conto che la struttura della rivista già la conosco: si passa dai libri al cinema, e infine si arriva all’arte figurativa - secondo un percorso che è analogo a quello di qualsiasi rivista.
Leggo il necrologio di Kubrick e apprendo che "i suoi film rimarranno per sempre" e che la sua "genialità" è indubbia. Anche il fatto - per me inquietante - che lui vivesse in una "villa settecentesca" viene volto in positivo dall’osservazione che lui "adorava" il Settecento "nella sua contraddittorietà per la spinta razionalistica che esprimeva". Del fatto che Kubrick si fosse permesso di "rifiutare" alla "propria" biografia due suoi film negletti non si fa cenno alcuno. Eppure questo per me è un particolare che conta: se lo possono permettere, per l’appunto, coloro che vengono definiti "genii" e che di questa definizione - con maggiore o con minore convinzione - approfittano. Al mondo c’è chi può cancellare qualcosa della propria biografia e chi si deve tenere tutto sul groppone.
Leggo l’articolo sulla mostra delle opere di Gustav Klimt e, a proposito di un suo dipinto, si dice che vi si deve "cogliere" una "femminilità così terrena che si fa eterna" (dopo il "per sempre" cui sarebbe condannato Kubrick - l’eternità "tira" sempre). Si dice, poi, che "il corpo della donna (...) si fa bellezza assoluta" e che nessun altro come Klimt "è forse riuscito a rendere così poeticamente terreno il corpo di una dea e così divino il corpo di una donna". Ora, al di là del fatto che in nessuno di questi articoli è neppure accennata una riflessione sulla funzione storica e sociale di quel genere letterario che viene classificato come "critica - letteraria, o di checchessia d’artistico", resta la triste consapevolezza che queste tipologie di argomentazioni sono già leggibili, tutte le settimane, su una marea immonda di carta stampata che va da Panorama ad Io donna, da Gente all’inserto culturale della domenica del Sole 24 Ore, e tutti i mesi su Il Segno, che non è il bollettino della Società di Semiotica ma l’organo della diocesi, ovvero di quella circoscrizione territoriale in cui abito a titolo di pecorella sotto l’illuminata guida di un vescovo pastore.
Vado anche oltre. Copertina a tanti colori, dozzine di caratteri diversi ammucchiati fra loro secondo gli stilemi di tutte le pubblicità, computerizzazioni, carta patinata, fotografie impaginate una sull’altra. Anche qui c’è il segno di un invito a pranzo cui si è detto di sì. La cultura altrui - ahimé, proprio quella del nemico di classe - è stata ingurgitata voracemente e metabolizzata come meglio non si potrebbe. All’orizzonte, allora, o c’è il fallimento del socialismo rivoluzionario o il successo di intellettuali che replicheranno il mondo al quale dicono di volersi ribellare. Il che è lo stesso.

Felice Accame

P.s.: In copertina è gridato uno slogan che definisce il "razzismo" un "nuovo volto del fascismo". Volendo sottilizzare, si tratta di un’affermazione piuttosto imprecisa. Anche il vecchio fascismo era razzista. Per rendersene conto, si dia un’occhiata a Scienza e razza nell’Italia fascista di Giorgio Israel e Pietro Nastasi (Il Mulino, Bologna 1998, Lit. 38.000).