Rivista Anarchica Online


Le libertà non si comprano

Dichiarazione collettiva di nonsottomissione alla conversione in multa della condanna per il rifiuto del servizio militare e civile.

Ancora una volta, come ci hanno sempre insegnato, sono la compravendita e lo smercio di persone e ideali a governare questa società.
Gli ultimi periodi e le futuribili scelte di "trasformazione" in campo di leva e obiezione, nonché del dissenso, del rifiuto e della loro gestione, hanno dimostrato la capacità e la volontà di recupero anche delle scelte più radicali: la stessa nonsottomissione, estremo rifiuto di ogni compromesso con le gerarchie militari, potrebbe essere comperata e azzerata con un generoso esborso di denaro, una semplice ammenda, una pratica multa.
Ancora una volta, loro i "buoni", i comprensivi, quelli che graziano e condonano (per le stesse ragioni che hanno di poter condannare e incarcerare) confermano la grande professionalità nel rendere ogni ideale privo di contenuti, ogni pratica differente assolutamente gestibile e riassorbibile e nel rigettarla in logiche di mercato.
Come una buona e vecchia tradizione rendono fruibile la libertà di scelta ai più abbienti, a quelli che se la possono permettere (peraltro facilitando e normalizzando una situazione di fatto, vale a dire lo smercio di raccomandazioni e riformati a pagamento!!), a quelli che decidono quali debbano essere le nostre libertà.
Un’inaccettabile possibilità che contestiamo e rifiutiamo nettamente, anche perché fondata sulle solite distinzioni di censo e possibilità economiche su cui poggia e si rafforza il sistema.
Le libertà si possono conquistare, ma non siamo disposti a comprarle!!!

  I nonsottomessi presenti
all’assemblea di Reggio Emilia
del 24 gennaio 1999


NUOVA LEGGE SULL’OBIEZIONE DI COSCIENZA: CAMBIARE LA NORMA, PERPETUARE LA SOSTANZA

A più di un quarto di secolo dalla legalizzazione dell’obiezione di coscienza attraverso l’introduzione del servizio civile le Forze Armate sono più in forma che mai: espansionismo all’estero attraverso missioni multinazionali a difesa degli interessi del potere, nuova cortina di ferro nel Mediterraneo contro l’immigrazione, impiego sul territorio per il mantenimento dell’ "ordine pubblico".
Nel frattempo le guerre sul globo aumentano in quantità ed efferatezza.
Alla luce di queste considerazioni, dell’approvazione nel luglio 1998 della nuova legge sull’obiezione di coscienza (la n. 230/98) e della campagna denigratoria del dicembre scorso nei confronti della nonsottomissione (il rifiuto sia del servizio militare che di quello civile), abbiamo sentito la necessità di esprimere alcune considerazioni comuni su questi temi.
La nuova legge è stata accolta favorevolmente un po’ dappertutto, a parte qualche ambiente militarista particolarmente incancrenito. Nel movimento pacifista e degli obiettori di coscienza il giudizio è stato generalmente positivo, tranne qualche critica che spinge comunque per un miglioramento attraverso riforma o nell’applicazione concreta.
Si sottolineano come passi in avanti:
• l’obiezione di coscienza come diritto soggettivo: non più commissioni che giudichino la coscienza dell’obiettore;
• la conseguente parificazione del servizio civile rispetto a quello militare;
• la "smilitarizzazione" a livello burocratico ed assistenziale del servizio civile;
• la presenza nella legge, per la prima volta, della facoltà di predisporre "forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta";
Da un punto di vista antimilitarista pensiamo invece che questi aspetti siano di carattere formale, mentre la sostanza non cambia. In particolare riteniamo che:
• il diritto soggettivo all’obiezione di coscienza venga limitato fortemente dalle numerose cause ostative (come ad esempio una condanna di primo grado per "delitti mediante violenze", un’accusa che può essere pretestuosamente affibbiata agli attivisti sociali ed antimilitaristi da parte delle forze di polizia e recepita dai tribunali) e dalla restrizione dei termini di presentazione della domanda;
• la parificazione del servizio civile rispetto a quello militare venga vanificata dalla possibilità prevista dalla legge di allungamento del servizio civile per periodi di formazione;
• le alternative alla difesa armata sono previste all’interno dei confini normativi ed istituzionali dello Stato, che è il diretto responsabile delle politiche aggressive in senso economico e militarista: gli stessi obiettori di coscienza sono richiamati, anche se per compiti non armati, sotto le insegne nazionali in caso di guerra.
• rispetto alla precedente normativa rimangono invariate le condanne nei confronti dei nonsottomessi al servizio militare e civile per scelta antimilitarista nonché nei confronti dei disertori;
• permane la gerarchizzazione e militarizzazione degli enti che sfruttano gli obiettori: i responsabili potranno infliggere sanzioni, fino alla denuncia ed alla possibilità del carcere.
• la massa di obiettori si configura come manodopera sottopagata e senza diritti sindacali che va a sostituire personale salariato ed entra in concorrenza con i giovani disoccupati nei campi come il welfare od il terzo settore: anche se la legge lo vieta basta esaminare gli ambiti di assegnazione degli obiettori e la concreta realtà quotidiana per rendersene conto.
• infine, la nuova legge è un provvedimento di transizione verso la professionalizzazione delle Forze Armate e la prevista istituzione di un Servizio Civile Nazionale che si configura come un sistema di vasi comunicanti tra servizio civile e servizio militare, senza alcuna concreta valenza antimilitarista.
La nuova legge sull’obiezione non è un passo avanti nella lotta concreta contro l’esistenza degli eserciti e contro il militarismo; anzi, è un passo in avanti - nella sostanza - all’interno del quadro del Nuovo Modello di Difesa aggressivo promosso dai governi e dalle Forze Armate.
Come già nei confronti della vecchia legge, riteniamo che il rifiuto di prestare il servizio militare non possa essere condizionato da nessun servizio civile sostitutivo, che continua a permettere l’esistenza degli eserciti e perpetua il diritto dello stato alla coscrizione obbligatoria.
Il rifiuto del militarismo non può essere "parificato" all’imposizione del servizio militare e di leva, tantomeno oggi che lo stato italiano, attraverso la professionalizzazione delle Forze Armate, sta incrementando il livello dell’intervento militare dentro, "sopra" e fuori dai suoi confini.
Per questi motivi continueremo a disobbedire pubblicamente a questa legge come a tutte quelle che permettono, anche indirettamente, l’esistenza degli eserciti e la preparazione delle guerre da parte degli stati.

  Gli antimilitaristi e le antimilitariste
in assemblea a Reggio Emilia il 24/1/1999


La posizione della LOC

La nostra associazione, per quanto poco consistente sul piano numerico, rappresenta una variegata gamma di esperienze e provenienze politiche (cattolica, comunista, radicale, verde, centri sociali, anarchica, etc.) convergenti, però, su alcune tematiche che potremmo definire "trasversali" e, per certi aspetti, "eretiche" a queste stesse correnti di pensiero.
Risulterebbe ardua, dispersiva e foriera di divisioni, la ricerca di un preciso orizzonte politico comune; si è pertanto ritenuto molto più produttivo e agile il riconoscersi come parzialità di un più ampio movimento antiliberista, pacifista, ecologista, antirazzista, attento alle dinamiche sociali ed alla difesa degli ultimi, dei più deboli, a livello sia nazionale, sia internazionale.
La partecipazione a questo movimento, composito, in divenire e tutt’altro che monolitico, è dialogante, improntata a trovare momenti di confronto e crescita reciproca, nella convinzione che i soggetti politici che, nel futuro, terranno a porsi come antagonisti, di opposizione, di progresso e di trasformazione, non abbiano ancora trovato forma, metodi e riferimenti ideali stabili.
In questo contesto la LOC, sebbene minoritaria e deficitaria sul piano numerico ed organizzativo, ha sviluppato interessanti elaborazioni, esperienze e prassi politiche, con cui pensiamo possano trovare interessante confrontarsi anche altri soggetti ed altri percorsi politici e culturali.
Oltre a ciò si decide di definire alcuni idee forti, specifiche, centrali, per quanto riguarda l’operato, la storia, l’agire quotidiano della nostra associazione.

Pacifismo
Quali legami tra un pacifismo nonviolento ed antimilitarista e la LOC?
Il Nuovo Modello di Difesa è, oggi, uno degli strumenti prioritari con cui il potere economico e finanziario cerca di rafforzare ed imporre al mondo il proprio modello neoliberista.
In questo contesto internazionale, anche il Governo di Centro-sinistra italiano tende ad appiattirsi su di una azione politica completamente dettata da scelte economiche.
A fronte di questo modello-mondo, di questo "pensiero unico", il ruolo della LOC non può certo esaurirsi in quello associazione erogatrice di servizi (informativi, tecnici, legali).
Vi è l’esigenza di una associazione che sappia contrastare il militarismo (spese militari, Nuovo Modello di Difesa, militarizzazione del territorio) e, nel contempo, progettare, proporre e perseguire la costruzione di modelli di difesa, di rapporti sociali ed internazionali nonviolenti, solidali, cooperanti.
La promozione e diffusione dell’obiezione di coscienza, è ancora valore centrale per l’agire politico della LOC, avendo ben chiaro che non ci si può più limitare a perseguire la sottrazione del singolo al servizio militare.
Centralità dell’obiezione significa che dobbiamo facilitare ed aiutare il singolo a valorizzare la scelta effettuata nel rifiutare l’uso delle armi e l’incorporazione nelle FFAA.
L’obiezione "cosciente" diventa portatrice di un messaggio e di una proposta politica più ampia; sottolinea l’esigenza di pervenire alla riduzione delle spese militari, al disarmo, alla smilitarizzazione del territorio, alla costruzione di una difesa non armata e nonviolenta.
È partendo da questi presupposti che la nostra associazione può e deve confrontarsi prioritariamente con quei soggetti politici che promuovono campagne ed iniziative finalizzate a questi temi.
In particolare si sottolineano: la Campagna per l’Obiezione di Coscienza alle spese militari, la Campagna Venti di Pace, l’opposizione al Nuovo Modello di Difesa ed alle basi straniere, l’istituzione dei Caschi Bianchi.
In questi anni la LOC si è contraddistinta per una metodologia politica finalizzata a ricercare ed unire quanti, nel mondo pacifista, si rendessero disponibili a collaborare su obiettivi concreti condivisibili.
Il nostro tentativo è stato quello di abbattere divisioni puramente ideologiche e trovare possibilità di collaborazioni anche con quei soggetti politici che, pur non avendo una posizione politica complessivamente conforme alla nostra, su aspetti singoli, prospettavano la possibilità di sviluppare iniziative comuni.
Questa modalità ha portato a risultati interessanti, si veda, per esempio, il ruolo positivo assunto dalla LOC in seno alla Campagna OSM o per la riforma delle 772.
In poche parole un sano pragmatismo che, pur non rinunciando ad un’identità chiara e definita, sapesse dialogare a tutto campo.
La LOC è una piccola associazione e, pertanto, non può né sostituirsi ad un movimento pacifista, attualmente estremamente debole e disorganizzato, né inventarsi nuove campagne o iniziative.
La LOC può, e deve, invece, essere lievito e stimolo, affinché riprenda e si sviluppi la collaborazione intorno a ciò che il movimento pacifista, nel suo complesso, promuove.
È importante, per perseguire e sostanziare questi obiettivi, che l’impegno in tal senso non si limiti solo al lavoro svolto dalla Segreteria Nazionale (sul cui lavoro va espressa la massima positività) ma che anche le sedi locali siano sempre maggiormente coinvolte nella promozione della Campagna OSM (se possibile con la creazione di Coordinamenti provinciali), della Campagna Venti di Pace, dei Caschi Bianchi, delle iniziative contro le basi straniere.
Sempre più, in futuro, sarà opportuno che i punti territoriali LOC non si limitino alla erogazione di servizi informativi, ma diventino soggetti politici, referenti per chi è interessato a svolgere iniziativa pacifista, attivando così l’aggregazione di singoli o gruppi (anche distanti dal servizio civile), ma altrimenti interessati all’impegno pacifista.
L’idea, insomma, vuole essere quella di una LOC che stimoli la crescita di una rete pacifista cui ogni gruppo porti in dote la propria esperienza, la propria specificità, le proprie competenze.
Solo mettendo in comune energie, risorse, intelligenze ed esperienze, sarà possibile ridare visibilità ed incisività al movimento pacifista.

Caschi bianchi
L’esperienza dei cosiddetti Caschi Bianchi, attivata principalmente dall’Associazione Papa Giovanni XXIII, di Rimini, con l’invio in Bosnia di obiettori di coscienza in servizio, ha posto concretamente il problema di quale ruolo possono avere gli obiettori in una difesa alternativa a quella armata.
Importanti sono le suggestioni, forse per il momento più simboliche che concrete, stimolate da queste esperienze.
La DPN non è più un’ipotesi teorico-utopistica del futuro; nel migliore stile della nonviolenza l’utopia, il sogno, cominciano a realizzarsi nel momento in cui si praticano, si sperimentano.
Seppur in forme parziali, difettose, sperimentali, questi tentativi lanciano un messaggio positivo, concreto, indicano un percorso da perseguire con sempre maggiore convinzione, aprono un dibattito e pongono le istituzione di fronte a contraddizioni crescenti (pensiamo alle aperture ottenute nella nuova legge grazie alla disobbedienza esercitata dai primi Caschi Bianchi).
Dobbiamo premettere che, almeno per ora, il nostro compito non può essere quello di entrare nella disputa tecnica teorica sulle modalità di questo tipo di intervento (riservato a professionisti della pace o aperto a tutti? praticabile solo dopo lunghi periodi di formazione o fondato sulla formazione sul campo? limitare l’intervento alle zone di massima sicurezza o sperimentare l’interposizione?).
Possiamo però, ancora una volta, stimolare al confronto le differenti esperienze, informare ed indirizzare i giovani obiettori che si rivolgono alle nostre sedi, cercare collegamenti tra esperienze pratiche e possibili evoluzioni legislative.
L’esperienza dei Caschi Bianchi sta a significare che l’esclusiva della difesa non spetta più ai militari e, in questo senso, si deve cominciare a ragione per cercare di aprire spazi nel Ministero della Difesa.
Certo, rimangono dei nodi ancora non risolti (intervento umanitario o vera difesa nonviolenta? collaborazione e complementarità con i militari o intervento ad essi totalmente alternativo ed antagonista?); esiste, a nostro avviso, la possibilità di legare la promozione dell’obiezione di coscienza con l’esperienza dei Caschi Bianchi.
Intendiamo dire che sarebbe interessante cominciare a pensare a gruppi che, intervenendo all’estero, si facciano promotori dall’obiezione di coscienza presso i giovani stranieri; che avviino contatti per la creazione di gruppi di obiettori/disertori, che operino per radicare e diffondere l’obiezione di coscienza, non solo in Italia ma anche in Bosnia, Jugoslavia, Croazia, Albania etc.
Quale migliore prevenzione della guerra, se non la creazione di gruppi di resistenti alla guerra in ogni stato? quale migliore strada se non quella dell’aiuto di chi ha la possibilità opporsi al militare in stati dove esiste la pace a coloro che si trovano in situazioni di guerra?

La legge di riforma (L. 230/98) e il futuro Servizio Civile.
La critica sullo stato del servizio civile e sulla mancanza delle motivazioni degli obiettori italiani, potrebbe portarci a ritenere che l’occuparci di servizi informativi sia solo una perdita di tempo, per una realtà dequalificata in modo irrecuperabile.
Noi riteniamo che, per quanto si possa esprimere una valutazione negativa sulla realtà dell’obiezione di coscienza in Italia, vada comunque considerato il fatto che il ruolo di associazione erogatrice di servizi di informazione e di assistenza tecnico legale, ci mette in contatto con una platea di giovani estremamente numerosa, altrimenti impossibile da raggiungere per le nostre esigue forze e capacità promozionali.
Il ruolo di sportello informativo ci permette, quindi, di mantenere aperto un canale di informazione e formazione che altrimenti ci sarebbe precluso.
Dobbiamo perciò accettare questa scommessa e metterci in gioco, con le nostre capacità, strumenti, idee e cercare di sfruttare al massimo l’opportunità che ci è ancora offerta, operando anche e soprattutto per consolidare il ruolo di esperti nella formazione degli obiettori, soprattutto in vista degli spazi che, in questo settore, sono stati aperti dalla legge 230/98.
Al momento dell’approvazione della legge, entrata in vigore il 30 luglio 1998, abbiamo avuto modo di esprimere pesanti critiche sui contenuti e sui rischi che il testo conteneva per il diritto all’obiezione.
È evidente peraltro come la volontà governativa non fosse punitiva nei confronti degli obiettori: il Governo ha dimostrato semplicemente di dedicare alle tematiche dell’obiezione di coscienza e della difesa non violenta un’attenzione superficiale convinti che ormai si tratti di un fenomeno minoritario a cui basta regalare enunciazioni di principio per soddisfarne esigenze e aspirazioni.
Il vero intento governativo è stato quello di spianare la strada al servizio civile nazionale, utilizzando l’attuale servizio degli obiettori come laboratorio sperimentale su cui tarare questo ambizioso progetto futuro.
Purtroppo le modifiche apportate alla legge di riforma, confermano le preoccupazioni da noi già espresse in occasione del convegno organizzato a Vicenza nel maggio 97, e temiamo fortemente di assistere, in assenza di forti contrappesi democratici di controllo, alla definitiva trasformazione del servizio civile in mero serbatoio di manodopera dequalificata e semigratuita a disposizione di enti pubblici e privati.
Peraltro, nei primi incontri pubblici postriforma e in alcuni colloqui informali avuti con i futuri dirigenti dell’ufficio nazionale del servizio civile, ci è parso di capire che vi sia da parte loro la volontà di evitare questo rischio. Non possiamo che condividere questa volontà: se le istituzioni decideranno di giocare un ruolo propositivo e costruttivo nel servizio civile troveranno in noi fedeli alleati.
A noi spetta comunque il difficile compito di svolgere un ruolo di stimolo progettuale oltre a quello di controllo e vigilanza: da subito bisognerà coordinare la nostra iniziativa con tutti quegli enti che condividono la visione di un servizio civile come luogo di educazione alla cittadinanza, scuola di pace, solidarietà e cooperazione; contemporaneamente andranno costruiti, modelli alternativi di servizio dove un ruolo importante possa essere svolto dai movimenti autorganizzati di giovani, lavoratori, ambientalisti ecc. ecc.
La Consulta Nazionale per il servizio civile, nella quale la LOC dovrà essere rappresentata, potrà svolgere un ruolo importante in tal senso, ma non dobbiamo tralasciare l’importanza di proporre, laddove possibile, progetti di legge regionali per il servizio civile (sul modello della legge toscana), al fine di operare da subito per promuovere l’informazione dei giovani e la formazione degli obiettori.
In positivo si devono segnalare gli spazi che si aprono in campo formativo e sarà in quel settore che, come associazione pacifista, ci giocheremo molte delle nostre chanches.
Oltre a ciò si vede, come opportunità interessante, il fatto che l’Ufficio per il servizio civile nazionale potrà avvalersi di "consulenti esterni" e, quindi, non dobbiamo escludere di poter proporre nostri membri o persone a noi vicine, in questi ruoli, non tanto per conquistare ruoli retribuiti, quanto per poter inserire osservatori e controllori in una struttura altrimenti gestita ancora una volta dalla nostra controparte (i famosi militari in ausiliaria).

  Lega obiettori di coscienza (LOC)


Spagna 1936 rivoluzione e ....

Venerdì 26 marzo, presso il Centro Congressi della Facoltà di Sociologia dell’Università "La Sapienza" di Roma, si è svolto il convegno di studi "Spagna 1936-1939: Rivoluzione e Totalitarismi". Tre gli organizzatori: la Seconda Cattedra di Filosofia Teoretica, la Fondazione Ascaso/Durruti di Montpelier (Francia) e l’Ateneu Enciclopedic Popular di Barcellona (Spagna). Il convegno ha avuto come ospite d’onore il settantottenne Abel Paz (alias Diego Camacho) militante e storico della Rivoluzione libertaria spagnola del 1936, nonché biografo di Buenaventura Durruti, l’operaio anarchico che guidò l’omonima e leggendaria colonna di miliziani nella lotta contro i franchisti e per l’avanzamento e la difesa della rivoluzione sociale libertaria. Quella rivoluzione è stata il principale sfondo di riferimento del convegno, insieme a quello straordinario movimento che fu l’anarcosindacalismo iberico, anche quando i relatori non vi hanno fatto esplicito riferimento. Le relazioni svolte sono tutte state di grande interesse: a volte per l’attualità del tema toccato a volte per la novità dell’argomento o del taglio adottato nell’affrontarlo.
L’introduzione è stata svolta da Rodolfo Calpini, docente di Filosofia Teoretica, che ha presentato il convegno come una naturale prosecuzione della ricerca sulla "filosofia del dialogo" di Guido Calogero. Calpini ha definito la rivoluzione spagnola come una proiezione nel sociale proprio della "filosofia del dialogo", cioè della ricerca tramite dialogo dell’umanità dell’altro. Da questa rivalutazione dell’umanesimo anarchico è poi passato a sottolineare come nelle società moderne basate sulla gerarchia ed organizzate per lo sterminio di massa (e si era proprio in giorni di ritorno in campo della guerra e della barbarie, N.d.R.) si dimostri non solo la validità ma la necessità di quell’idea libertaria che si incarnò nella rivoluzione spagnola.
Riccardo Villari, ricercatore, ha poi svolto una puntuale ricostruzione della cronologia di ciò che accadde in Spagna tra il ’36 e il ’39.
Ferro Piludu, grafico del Gruppo Artigiano Ricerche Visive di Roma, ha parlato, in un’interessante e originale lezione, delle caratteristiche e del ruolo della grafica nella rivoluzione spagnola. Una grafica che si distinse per modernità, varietà di stili e per l’impegno al servizio di nobili battaglie, combattute resistendo alla tentazione di lavorare per un’ideologia o unicamente in funzione della propaganda bellica; si vedano ad esempio le campagne a favore dell’infanzia e per la diffusione dell’alfabetizzazione e della cultura.
Il ruolo della chiesa nella guerra civile è stato invece affrontato dalla storica Barbara Raggi, che ha svolto una lunga e scrupolosa ricerca sulla situazione della Spagna prima e durante la Rivoluzione e la Guerra Civile vista attraverso le pagine di Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti. Si resta agghiacciati di fronte a ciò che in quella rivista è stato scritto perché la coscienza di avere a che fare con la punta di diamante del settore intellettuale della Chiesa cattolica non lascia dubbi sulla progettazione ben meditata e cosciente di certe affermazioni. In quelle pagine è sviluppata la cosiddetta ideologia nazional-cattolica, che nega l’appartenenza stessa alla nazione spagnola a chiunque sia ricondotto al campo degli "ebrei-massoni-comunisti", del "comunismo sovietico-asiatico", cioè all’intero campo antifascista, anarchici compresi. La Chiesa cattolica ha iniziato a chiedere scusa, sia pure ancora con incompletezze e reticenze di alcuni dei crimini da lei commessi o avallati. Ma è da sottolineare e denunciare come rispetto al ruolo da essa avuto nell’appoggio alla barbarie franchista il suo silenzio è totale; e lo è perché c’è ancora l’adesione piena a quell’idea di rapporto tra "il trono e l’altare".
Lo storico Luigi Di Lembo, della Rivista Storica dell’Anarchismo, ha affrontato il tema del ruolo dell’antifascismo italiano nella rivoluzione e nella guerra di Spagna. Due nomi subito emergono: quelli di Camillo Berneri e di Carlo Rosselli. Il primo è stato una delle figure più prestigiose dell’intellettualità antifascista e anarchica, assassinato dagli stalinisti a Barcellona nelle tragiche giornate del maggio 1937. Carlo Rosselli, invece, esponente principale di Giustizia e Libertà, appartiene al filone del socialismo liberale. Di Rosselli alcuni oggi vorrebbero indebitamente appropriarsi. E in questa appropriazione si sorvola abilmente, guarda caso, sull’esperienza spagnola di Rosselli, che insieme a Berneri organizzò la prima colonna di volontari italiani, composta in prevalenza di anarchici, che, guidati dall’idea dell’ "Oggi in Spagna, domani in Italia" , accorsero a lottare contro il fascismo e in difesa della rivoluzione.
Di Lembo si è soffermato sul ruolo dei comunisti italiani e di Togliatti in particolare, che ebbe il compito di tradurre in Spagna la nuova politica del Fronte Popolare: alleanza con la borghesia e contenimento della conflittualità sociale: compito assai arduo nella Spagna rivoluzionaria. È inoltre interessante notare il rilievo che Togliatti, nei suoi rapporti a Mosca, riconosceva all’anarchismo spagnolo. Ed è l" che si capisce il pericolo attribuito dagli stalinisti al Poum, visto come il cavallo di Troia che avrebbe veicolato l’anarchismo in campo marxista. Altro interessante tema toccato da Di Lembo è stato lo sviluppo, all’interno di Giustizia e Libertà, di determinati concetti come l’autonomia, il federalismo, il ruolo dello Stato nonché il ruolo svolto dal rapporto con l’anarchismo nel far emergere le contraddizioni teoriche del movimento giellista.
La seconda metà della giornata è stata introdotta dalla proiezione del video "Spagna 1936: l’utopia si fa storia" del Centro Studi Libertari/Archivio Pinelli di Milano, riversaggio del filmato originale dell’epoca Fury over Spain i cui testi furono scritti da Emma Goldman.
È stata poi la volta di Claudio Venza, docente di Storia della Spagna contemporanea all’Università di Trieste che si è soffermato sul tema "La guerra civile spagnola e il revisionismo storico". Venza ha analizzato in dettaglio, smontandole pezzo a pezzo, le tesi del revisionismo italiano, che ha uno dei suoi esponenti principali nell’editorialista Sergio Romano. Personaggio, costui, tanto presente sui mass-media quanto poco documentate sul piano storico risultano essere le sue affermazioni. Tra le perle di Romano figurano: la definizione del regime franchista come regime in parte autoritario ma non come dittatura di tipo fascista (sic!) e l’attribuzione a Francisco Franco del merito di aver salvato la Spagna da un regime di tipo staliniano come quelli che dopo il secondo conflitto mondiale si affermarono nell’Europa dell’Est. Ed è proprio la vicenda dell’anarcosindacalismo iberico che scardina le tesi revisioniste e che infatti non viene mai presa in considerazione, vuoi per ignoranza vuoi per malafede. Tutto era nei piani di Stalin tranne che l’instaurazione di un diverso regime sociale in Spagna: le persecuzioni degli anarchici e dei militanti del Poum e la battagli sistematica contro le collettivizzazioni anarchiche nelle fabbriche e nelle campagne sono lì a dimostrarlo. E come si fa ad equiparare al comunismo sovietico l’anarchismo iberico, col suo patrimonio di idee e pratiche comuniste sì ma libertarie, cioè basate sull’autonomia e il federalismo e sulla centralità dell’individuo ?
La giornata è infine terminata con la testimonianza di Diego Camacho, a conclusione di una settimana fitta di incontri con vari ambienti della città, dagli studenti ai compagni, che meriterebbe un’intera relazione a parte. Non è pienamente e facilmente descrivibile con un arido scritto il tipo di comunicazione che Diego riesce a instaurare con i vari interlocutori con cui ha a che fare. Si può però dire che in queste occasioni si tocca con mano cosa è un comportamento anarchico: anche una sala convegni universitaria si trasforma da luogo di discorsi unidirezionali e spesso sterili a luogo di comunicazione umana. Un luogo cioè dove Diego, a disagio nel ruolo di oratore da cattedra, intavola discussioni con i singoli individui del pubblico (rendendoli così protagonisti) ad esempio sulle relazioni esistenti all’interno delle loro famiglie. E quale migliore lezione di storia della pedagogia libertaria poteva essere svolta se non quella che Diego ha fatto parlando del ruolo degli anziani nell’istruzione dei bambini all’interno delle collettività anarchiche della Spagna del ‘36 ? Un ruolo basato su due parole sconosciute a molti educatori ma ben presenti a quei vecchi contadini anarchici: rispetto e amore.

  Pietro Masiello

Illustrazione di Francesco Berti