Esaminare la costituzione
di un Tribunale Penale Internazionale per la repressione di
atroci crimini contro i diritti umani può esaltare anime
ingenue e generose, così come può destare sconcerto
in spiriti critici e libertari. Tuttavia, senza apologia, parlare
del TPI può essere utile per cercare di capire come muterà
lordine interstatuale in un futuro possibile che probabilmente
questa generazione non vedrà compiuto, caso mai i travagli
del parto. Beninteso, possibile non vuole immediatamente dire
né auspicabile né deprecabile. Solo possibile
a date condizioni.
Nel campo teorico delle relazioni internazionali, si suole
distinguere una dottrina "realistica" e una "etica",
con venature "cosmopolitiche". I realisti sostengono
che siamo in presenza di un contesto anarchico, giacché
non esiste una catena gerarchica tra stati, né una costituzione
planetaria preordinata cui inchinarsi, né un rigoroso
ordine mondiale dettato dal più forte. Anarchico quindi
in senso reale ma anche un po moralistico, perché a
farla da padrona sarebbe la forza bruta delle sovranità
statuali, con la minaccia del perenne ricorso alla guerra come
massima ratio dei rapporti internazionali. Violenza quindi,
e non auto-responsabilità e autogestione non distruttiva
dei conflitti, come invece lideale anarchico a noi più
comprensibile
. I sostenitori invece di una etica internazionale sono dellavviso
che non siamo più ai tempi di Machiavelli, ossia ogni
spregiudicatezza delle entità sovrane si trova già
imbrigliata in una fitta rete di alleanze, partecipazione a
organismi internazionali, a relazioni commerciali, a istanze
di potere anche più forti della sovranità statuale
(finanza, telecomunicazioni), che il ricorso alla violenza del
conflitto armato è una delle risorse possibili ma non
più lultima ratio. A Machiavelli si è sostituito
von Clausewitz, che considerava la guerra una delle forme con
cui prosegue la politica.
Se lo stato non è più un organo dalla sovranità
assoluta, cioè sciolto da vincoli che ne limitano il
raggio di potenza, allora non è impensabile cominciare
a tratteggiare un ordine mondiale affine se non analogo allordinamento
interno, cioè con una catena di poteri certa, una divisione
di ruoli delle tre forme di autorità (ossia legislativo,
esecutivo, giudiziario), la reciproca autonomia formale, una
costituzionalizzazione delle regole del gioco accettabili da
tutte le parti in causa.
Questo modello di ordine politico-istituzionale oggi è
inesistente in campo internazionale in quanto non esiste nessuna
di queste condizioni (lONU non è un barlume di governo
mondiale, nessuna sovranità intende cedere de jure le
proprie prerogative se non in un contesto di concertazione equilibrata
e di contrattazione politica ma non istituzionalizzata con norme
inderogabili; da qui la difficoltà che lUE, dopo il
Trattato di Maastricht sullunione monetaria e il Trattato di
Amsterdam sullunione politica, si dia una Politica estera e
di sicurezza comune e il terzo pilastro di una giustizia comunitaria).
La costituzione di un TPI segna una tessera di un complesso
mosaico che prefigurerebbe un ordine cosmopolitico che ridurrebbe
le sovranità "anarchiche" allinterno di una
cornice sovrastatuale. Questa è lipotetica via del futuro.
Al di là del destino del TPI, i cui limiti intrinseci,
frutto di compromessi, sono già evidenziati nellarticolo,
esistono dei limiti strutturali in questa ipotesi di governo
mondiale che surroghi la sovranità nazionale in una più
ampia e più potente istituzione planetaria (qualunque
nome assumerà) che risponda ai requisiti minimi di democraticità
(il più emblematico: una testa, un voto, non come i cinque
membri permanenti del Consiglio di sicurezza dellONU dotati
di potere di veto).
Il limite più forte è il disarmo degli stati
che dovrebbero rinunciare al "far west" e delegare
sicurezza e giustizia certa ed equa ad un organismo più
potente, monopolista (o quasi) della forza disponibile. Ciò
tuttavia, al di là di auspici o timori, si scontra con
linteresse alla sopravvivenza dei singoli stati, che dovrebbero
essere ridotti da "pistoleros" armati a "cittadini"
inermi del pianeta, sottoponibili quindi alle misure di sicurezza,
di disciplina e di punizione al pari dei singoli individui entro
un ordinamento nazionale. Se non vogliamo credere alla finzione
del contratto che istituisce lautosottomissione e la delega
al sovrano, occorre rivolgersi alle teorie della cattura della
società da parte di formazioni statuali più potenti
e gerarchicamente organizzate (la teoria di Clastres e di Deleuze-Guattari).
Ma, in campo internazionale, quale mai sarà una simile
formazione ancor più superpotente dellattuale superpotenza
mondiale? gli alieni? Ai posteri lardua risposta.
S. V.
Nello scorso luglio, a Roma, si è posta la prima pietra
per costituire un Tribunale Penale Internazionale permanente,
sotto legida delle Nazioni Unite, il cui intento, augurabilmente,
è la tutela del mondo da ogni crimine contro i diritti
umani. Pur tra mille difficoltà, e con la consapevolezza
che tanto cammino dovrà ancora farsi, il battesimo è
avvenuto proprio nel 50° anniversario della Dichiarazione Universale
dei diritti umani, emessa il 10 dicembre 1948, che rappresenta
la carta fondamentale dei diritti degli individui e dei popoli
ad una esistenza libera e degna.
Lanno che è trascorso è stato, ahinoi! come
al solito, un anno particolarmente difficile per la tutela dei
diritti umani. Al di là dei singoli casi - giornalisti
assassinati o arrestati arbitrariamente, bambini acquistati
e rivenduti per alimentare il traffico pedofilo, schiere di
migranti trattati come merce umana dal racket - e al di là
delle annose dispute in varie aree del pianeta (dalla Repubblica
Democratica del Congo al medio oriente, dal Kurdistan al Kossovo,
dallAfghanistan al Chiapas, tanto per citare alcuni esempi),
il 1998 è stato lanno in cui sembra essere saltato il
patto di ferro nelle regioni del sud-est asiatico, un tempo
"tigri" economiche a rimorchio del Giappone, con crescita
annua addirittura a due cifre, la cui finzione di benessere
si è svelata un bluff fondato sulle speculazioni edilizie,
sulla corruzione bancaria, sullopportunismo politico di parte
praticato dai vari governi. Nella crisi che ha travolto il trentennale
e passa regime di Suharto in Indonesia, o che ha scosso Giappone
e Corea del sud, che ha spaccato la Malesia tra sostenitori
del primo ministro Mohatir e sostenitore dellex vice-premier
Anwar ora detenuto politico (ancorché accusato di reati
comuni), quel che è certo è che a rimetterci sono
le popolazioni: quei paesi "prosperavano" economicamente
in cambio di un abbassamento delle soglie di cittadinanza, ossia
delle libertà politiche e civili tipiche di ogni regime
liberale e democratico. Ora che quello scambio si è interrotto,
non solo restano gli effetti della crisi valutaria e del dissesto
economico, ma quelle genti non godono di quelle libertà
da praticare quando si invoca un cambiamento nelle leadership
politiche.
Il 1998 è stato anche lanno dellattacco allimpunità
dei dittatori. A prescindere se Pinochet vada o meno in galera,
da oggi ogni ex-dittatore in pensione dovrà rassegnarsi
a rinchiudersi da solo nella propria gabbia dorata di ex; qualunque
gita fuori porta potrebbe spedirlo dritto in carcere, processato
penalmente a posteriori rispetto ai crimini di cui si macchia
ogni dittatore che si rispetti, ma soprattutto senza immunità
simbolica di fronte a una istanza di giustizia internazionale
e senza tempo di prescrizione, così come è giusto
che sia per efferati reati di offesa dei diritti umani, sia
pure rivolti contro la propria popolazione su di cui gli stati
esercitano una sovranità non più assoluta, bensì
delimitata da una coscienza mondiale vicina alle vittime di
ogni dittatura e che invoca a gran voce una punizione, se si
vuole, postuma, lungo la direttrice di una dissuasione preventiva
per la quale è necessaria una forte mobilitazione dei
popoli di tutto il mondo.
Inquadrata pertanto nei limiti di unazione penale postuma,
diventa simbolicamente importante la nascita del Tribunale Penale
Internazionale permanente, deliberata a Roma lo scorso 17 luglio
sotto legida delle Nazioni Unite, con sede allAja, e augurabilmente
entrata in servizio allalba del nuovo millennio. Limportanza
consiste soprattutto nella sfida allimpunità dei poteri
costituiti (o aspiranti tali) la cui difesa era ed è
tuttoggi affidata alla realpolitik: alla legittimità
della forza di fatto che circonda di immunità giudiziaria
i responsabili legali di ogni nefandezza solo perché
"intronati", ossia seduti sul luogo della sovranità.
Anche se postuma, la giustizia affidata al TPI potrà
finalmente colpire dittatori e leaders sanguinari, magari
non quando saranno ancora in carica, ma sfidandoli non appena
imboccata la via della quiescenza. Non si tratta solo di braccare
le coscienze - raramente tali personaggi responsabili di genocidi,
atroci crimini di guerra, crimini contro lumanità nelle
loro innumerevoli fattispecie di azioni delittuose hanno un
barlume di coscienza - bensì di inseguire i corpi non
più potenti. Se ciò funzionerà senza guardare
volti e passaporti a nessuno, in qualche caso sarà anche
deterrente e qualche vita umana soggiogata ai voleri "capricciosi"
di questi tristi figuri rivestiti di mostrine e smoking da capi
di stato potrà essere salvata in tempo reale. Comunque,
la giustizia farà il suo corso, smorzando ansie di vendette
ma riconoscendo i diritti di chi non si piega pagando sine alle
estreme conseguenze.
I precedenti
Listituzione di un TPI permanente è la novità
nel campo del diritto internazionale. Sino ad ora, infatti,
in questo secolo, erano stati costituiti altri quattro Tribunali
ad hoc, contingenti, estremamente mirati e circoscritti,
e soprattutto smentendo il principio del giudice naturale precostituito
anteriormente alla commissione del reato, poiché i Tribunali
di Norimberga (1945), di Tokyo (1946), successivi al secondo
conflitto mondiale, dellAja per i crimini commessi nella ex
Jugoslavia dopo il 1991 (1993) e di Arusha in Tanzania per quelli
genocidari commessi in Rwanda (1994), sono stati costituiti
ex post facto. Addirittura i due precedenti di Norimberga
e Tokyo sorsero per iniziativa dei vincitori di un conflitto
bellico, chiamati a giudicare reati commessi dai vinti, mentre
analoghi reati compiuti dai vincitori non vennero assolutamente
presi in considerazione, inficiando di molto la legittimità
di quelle alti corti e delle loro sentenze. E se il Tribunale
di Norimberga contro i gerarchi nazisti ha sia pure in parte
ricoperto le vesti di equità e terzietà (nei limiti
già detti) grazie al decoro della condotta dei giudici
facenti parte - il che spiega, ad ogni modo, come Norimberga
sia un precedente da tenere in considerazione - il Tribunale
di Tokyo contro lélite bellicista giapponese sconfitta
con le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki dellagosto 1945
era addirittura presieduto dal generale Douglas McArthur, comandante
in capo delle forze alleate nel teatro di guerra pacifico, il
quale fece il bello e il cattivo tempo in questioni che tutto
sommato dovrebbero essere di diritto, secondo le esigenze politiche
(più che giuridiche) comminando pene e commutando sentenze
in ragioni di opportunità specificamente politiche (di
parte Usa relativamente allegemonia sul Giappone e in Estremo
Oriente allindomani del secondo conflitto mondiale e dellesordio
della guerra fredda, a cui prese parte lo stesso generale McArthur
allorché fu chiamato al comando delle truppe statunitensi
nella guerra coreana della metà degli anni 50).
Gli esempi, attualmente esistenti, di tribunali internazionali
- allAja per i crimini commessi nella ex Jugoslavia dal 1991
in poi, e ad Arusha, in Tanzania, per il genocidio dei tutsi
ruandesi nel 1994 - sono stati costituiti ad hoc in base al
capitolo VII della Carta dellONU (artt. 39-40-41-42), laddove
si prevede la possibilità che il Consiglio di Sicurezza,
tra le varie misure ipotetiche per ristabilire la pace o per
riparare una violazione, istituisca un tribunale sotto la propria
egida (art. 29 Carta ONU). E dopo una serie di risoluzioni transitorie
lungo il biennio 1991-92, il 25-5-1993, nella sua 3217ma riunione,
il C.d.S. adottava formalmente la R827 con la quale deliberava
lo Statuto del Tribunale (che funge da modello anche per quello
di Arusha).
Perseguendo responsabilità individuali (e non statuali
o di corpi para-statuali) ad ogni livello - politico e militare,
mandanti ed esecutori - lo Statuto prevede quattro tipologie
di reato:
1) "Gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del
1949" (art. 2), nella fattispecie: "a) lomicidio
volontario; b) la tortura o il trattamento inumano, compresi
gli esperimenti biologici; c) linflizione volontaria di grandi
sofferenze o gravi lesioni fisiche o mentali; d) la distruzione
su vasta scala e lappropriazione di beni, non giustificate
da esigenze di ordine militare e compiute illegittimamente ed
arbitrariamente; e) la costrizione di un prigioniero di guerra
o un civile a prestare servizio nelle forze armate di una potenza
ostile; f) la privazione deliberata del diritto di un prigioniero
di guerra o di un civile a un equo e regolare processo; g) la
deportazione o il trasferimento illegittimi ovvero la detenzione
illegittima di un civile; h) la presa in ostaggio di civili".
2) "Violazione delle leggi e degli usi di guerra"
(art. 3), nella fattispecie: "a) limpiego di armi chimiche
o di altre armi dirette a provocare sofferenze non necessarie;
b) la distruzione immotivata di città, paesi o villaggi
e la devastazione non giustificata da esigenze militari; c)
lattacco, o il bombardamento, con qualsiasi mezzo, di città,
villaggi, abitazioni o edifici indifesi; d) loccupazione, la
distruzione o il danneggiamento intenzionale di istituti religiosi,
di istituti di beneficenza e di istruzione, di istituti darte
e delle scienze, di monumenti storici, di opere darte e di
opere scientifiche; e) il saccheggio di proprietà pubbliche
e private".
3) "Genocidio" (art. 4), nella fattispecie: "a)
luccisione di membri del gruppo; b) linflizione di gravi danni
fisici o mentali a membri del gruppo; c) limposizione deliberata
al gruppo di condizioni di vita miranti a causarne in tutto
o in parte la distruzione fisica; d) limposizione di misure
aventi lo scopo di prevenire le nascite allinterno del gruppo;
e) il trasferimento coattivo di bambini del gruppo in un altro
gruppo".
4) "Crimini contro lumanità" (art. 5),
nella fattispecie: "a) omicidio; b) sterminio; c) riduzione
in stato di schiavitù; d) deportazione; e) detenzione;
f) tortura; g) stupro; h) persecuzione per motivi politici,
razziali o religiosi; i) altri atti disumani".
Le fonti di diritto sono rintracciabili nella IV Convenzione
dellAja del 18-10-1907, in particolare negli artt. 22 sino
a 28 relativi agli usi di guerra con giusti mezzi; nello Statuto
del Tribunale di Norimberga dell8-8-1945, relativamente ai
principi da I a VII sui crimini contro lumanità - in
cui la R827 ricomprende anche la pulizia etnica; nella Convenzione
sul genocidio del 9-12-1945 relativamente agli artt. 2-3-4-9
che offrono una definizione di genocidio; nelle Convenzioni
di Ginevra del 12-8-1949, e in particolare nellart. 50 della
I Convenzione e art. 51 della II Convenzione relativamente al
trattamento di feriti, malati e naufraghi di corpi darma di
terra e di mare, nellart. 130 della III Convenzione sui prigionieri
di guerra, nellart. 147 della IV Convenzione sul trattamento
dei civili in tempo di guerra, e, più in generale, nellart.
3, comune alle quattro convenzioni, sul trattamento umanitario
di militari e civili.
Lo Statuto del Tribunale dellAja prevede garanzie per gli
imputati, tra cui il divieto di processo in assenza di imputato,
protezioni per le vittime ed i testimoni - tra cui vale la pena
sottolineare una delicatezza inusuale, almeno sulla carta, nei
riguardi delle testimonianze di donne vittime di stupro, in
special modo per la "prove" da raccogliere da parte
del Tribunale e le eccezioni da eccepire nel corso del controinterrogatorio
della difesa (ad esempio, non vengono assolutamente tenuti in
alcun conto eventuali "stili di vita" antecedenti
o "livelli di resistenza" alla violenza) - il raccordo
tra diversi procedimenti in sede nazionale e internazionale
per evitare duplicati, il divieto della pena di morte, lindipendenza
della corte giudicante e dei magistrati inquirenti da ogni condizionamento
di parte (politica). Il modello è, insieme, accusatorio
e inquisitorio, riflettendo le diverse civiltà giuridiche
della comunità mondiale.
La necessità di ricorrere ad un tribunale ad hoc
per tali crimini, e quindi a maggior ragione per una corte permanente,
sorge non solo per la mutata morfologia della conflittualità,
che oggi vede i civili bersagli militari non occasionali di
strategie violente di parte (anche in vista di accaparrarsi
audience a proprio favore nonché le risorse degli interventi
umanitari) e per levanescenza dei tradizionali rituali militari
delle regole di condotta degli eserciti ufficiali. Per la verità,
per quanto riguarda tali crimini di guerra, secondo le Convenzioni
di Ginevra qualunque ordinamento di stato può ergersi
a istanza giudicante, anche se tale pregevole previsione si
scontra con le esigenze di realpolitik che muovono le
pedine della diplomazia interstatale, piuttosto che gli strumenti
di giustizia quale è un tribunale. (...)
Le poste in palio
Questo Statuto è stato approvato alla fine della Conferenza
di Roma dellestate scorsa (15-6/17-7) da 120 delegati plenipotenziari,
con 21 astensioni e 7 voti contrari (Cina, Iraq, Israele, Libia,
Qatar, Usa e Yemen). Si tratta con tutta evidenza di un punto
di compromesso tra quei paesi (una cinquantina, tra cui Canada,
Australia, Filippine, Brasile, Argentina, Sudafrica, Cile e
Unione Europea) che volevano forti prerogative per il TPI, ed
altri che miravano ad un più basso profilo, specie per
quanto riguardava le competenze penali, le funzioni, ed il loro
raggio di estensione, del Procuratore, il ruolo primario del
C.d.S. dellONU (tra questi paesi, annoveriamo Usa, Russia,
Cina, Iraq, Nigeria, Indonesia, Siria ed Egitto).
Volendo sottolineare le peculiarità (in positivo
e in negativo) introdotte, rispetto agli standard delle norme
internazionali, i reati considerati non coprono né luso
di armamenti nucleari, né luso di mine anti - uomo tra
i crimini di guerra, mentre tra i crimini contro lumanità
è previsto il rapimento sistematico e diffuso degli oppositori
politici (il caso dei desaparecidos latino-americani,
ad esempio, ma non sparizioni selettive e isolate), varie tipologie
di violenze continuate contro le donne, tra cui gli stupri come
arma di guerra, la prostituzione e la sterilizzazione imposte,
le gravidanze forzate (nonostante lopposizione di quei paesi
che temono una surrettizia legalizzazione dellaborto). Anche
lapartheid rientra tra i crimini punibili dal TPI, proprio
grazie al lavoro di persuasione della delegazione sudafricana.
Limpunità di singoli individui che commettono gravi
crimini (massacri di civili inermi, uso di armi proibite, ecc.)
è prevista per conflitti di natura internazionale, senza
considerare tuttavia come tali medesimi atti siano spesso compiuti
in conflitti di natura interna (guerre civili, processi secessionistici
violenti, guerriglie contrapposte in assenza di autorità
centrale come nel caso somalo, ecc.). Il limite dei 18 anni
per perseguire penalmente i ragazzi che commettono gravi crimini
non intende misconoscere le responsabilità della diffusa
militarizzazione dellinfanzia. Tra i crimini di guerra è
infatti previsto larruolamento o la coscrizione obbligatoria
di ragazzi al di sotto di 15 anni (anche se non adibiti a compiti
di prima linea, per così dire); tuttavia, la loro punibilità
per i reati commessi scatta a 18 anni perché al di sotto
di tale soglia si intende mirare alla riabilitazione piuttosto
che alla punizione, e dallaltro chi è militarizzato
lo è di norma perché sottoposto a intimidazioni
e terrore senza reale possibilità di scelta. LUNICEF
ci rammenta che negli ultimi dieci anni sono morti inermi circa
2 milioni di bambini in situazioni belliche, 4-5 milioni sono
rimasti feriti o mutilati, i senza casa sono 12 milioni e un
milione sono orfani o con genitori comunque distanti, per non
parlare degli effetti da trauma psicologico e da denutrizione
per cause di guerra. Nel mondo, la stima dellinfanzia combattente
è di circa 250mila "soldatini". Nel solo Ruanda,
ci sono 4mila ragazzi detenuti perché imputati del genocidio
dei tutsi del 1994, mentre la fazione guerrigliera Renamo in
Mozambico aveva 10mila ragazzi tra le proprie fila, e in Liberia
addirittura il 20% delle milizie era composto da minorenni,
anche di 6 anni detà.
Sempre sui crimini considerati, nel genocidio si escludono
tra i gruppi colpiti quelli politici e sociali, mentre risulterà
problematico, con tutta probabilità, dimostrare la prova
dellintenzionalità genocida. Lo Statuto prevede il rinvio
ad una apposita conferenza internazionale ai fini dellindividuazione
esatta del crimine di aggressione, senza dubbio al di fuori
di un eventuale mandato del C.d.S. dellONU (lultimo tipico
caso è il controverso bombardamento "pre-natalizio"
degli anglo-americani sullIraq).
Infine, rispetto ai tradizionali parametri di diritto internazionale,
si è ristretta la casistica di punibilità del
soldato obbediente a determinati ordini (non prevista, ad esempio,
dallo Statuto del Tribunale di Norimberga del 1945), così
che su alcune tipologie di crimini di guerra non si avrebbe
un colpevole esecutore, bensì al limite solo un mandante
colpevole (i crimini di genocidio e contro lumanità
sono palesemente illeciti e quindi chi li compie è imputabile
anche se è solo un esecutore che ha obbedito a ordini
superiori).
Listituzione di un TPI non vuol dire, come avviene per
gli ordinamenti interni, la delega del potere giudiziario ad
un apparato indipendente dalla politica. Proprio il rapporto
con la sovranità statuale è il nodo cruciale del
TPI, e non solo per lovvia considerazione che dovranno essere
almeno 60 stati a ratificare con le proprie procedure costituzionali
tale Statuto affinché il TPI possa avere giurisdizione
su quei crimini individuati e poter quindi funzionare effettivamente.
Lindipendenza del Procuratore nellesercizio dellazione
penale è stato un grande scoglio da superare, raggiungendo
il compromesso su due profili: da un lato, lopzione di uno
stato di sottrarsi per sette anni a ogni eventuale imputazione
di propri cittadini per quanto concerne i crimini di guerra,
ossia tutelando politicamente i militari impegnati in guerre
allestero; dallaltro, consentendo al C.d.S. dellONU, ossia
un organo prettamente politico, di sospendere per un anno, rinnovabile,
ogni azione penale del Procuratore.
Anche sul piano dellesistenza stessa del TPI a livello
finanziario (una stima di 100 milioni di $ annui, ossia 1/10
dellintero budget delle Nazioni Unite), si è raggiunto
il compromesso di legarne la sorte sia agli stati membri che
al sistema (politico) delle Nazioni Unite, ma non dellelitario
C.d.S., bensì dellAssemblea Generale che ha competenza
in materia di destinazione delle risorse finanziarie sui vari
capitoli di bilancio.
Comunque, in ultima analisi, il grado di compromesso e le
possibilità di recuperare almeno parzialmente alcuni
paesi dissidenti o perplessi sono tuttora aperte di qui sino
al 2000: almeno lalba del XXI secolo (o del terzo millennio)
potrà vedere uno strumento di tutela che, si auspica,
sarà a difesa dei più deboli, e non a ulteriore
presidio di un sistema politico planetario incentrato sui più
forti. Il timore, infatti, non è solo che il TPI non
riesca a essere dissuasivo perché lasimmetria delle
relazioni politiche internazionali prende il sopravvento sul
sistema di diritto, quanto che il TPI venga attivato solo con
un consenso mondiale affinché si punisca chi risulta
già perdente sul piano politico, mentre è notorio
che i crimini di cui si macchiano i potenti della terra vanno
bloccati e puniti possibilmente in tempo reale, prima che diventino
"impotenti" e subiscano la sorte di ogni sconfitto
(come ci hanno appunto insegnato le vicende dei tribunali di
Norimberga e di Tokyo). Ma sul complesso e delicato rapporto
tra politica e diritto sul piano internazionale, sarà
opportuno rinviare ad altre riflessioni, nella considerazione
che la tutela dei diritti umani troverà effettive garanzie,
anche al di fuori di ogni aula giudiziaria, quando politica
e diritto entreranno in piena sintonia di intenti.
Salvo Vaccaro
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