Rivista Anarchica Online


a cura di Mario Bossi

 

June of 44
post-rock?
Ma mi facci il piacere...

Non so quanti lettori di "A" possano conoscere i June of 44, ma vi assicuro che questi non sono certamente una classica band di rock americano: la loro musica è tutt’altro che immediata e digeribile, anche se producono le loro sonorità con una strumentazione tutto sommato "classica" (doppia chitarra, basso, batteria). Hanno suonato al Tunnel il 15/02 e ne abbiamo approfittato per un’intervista. Devo dire che il suddetto locale milanese ci ha accolto senza problemi nonostante la nostra sia stata sostanzialmente una improvvisata, e lo stesso Agostino (chitarrista degli Uzeda, qui in veste di tour manager) ha acconsentito con disponibilità quasi "libertaria". Il loro concerto fu quantomeno notevole: la rivisitazione in chiave live dei loro brani più datati si è rivelata magnificamente aperta a forme di improvvisazione che nei primissimi anni 70 si usava definire come progressive (no, non mi riferisco ai Genesis…..). I June of 44 sono in 4, e hanno alle spalle esperienze musicali numerose e variegate nonostante la loro giovane età (min. 26 max 34 anni). Chiacchieriamo un po’ con Jeff Mullen (chitarra e voce), il più disponibile dei 4 allo scambio vocale con il pedestre inglese del sottoscritto.
Gli piantiamo in mano la rivista, e lui si lascia scappare un: "wow, Anarchists!!!!" che un pochino mi rincuora: il suo aspetto è quello tipico del nerd u.s.a. doc: gobba post-andreottiana, pantaloni a cavallo radente il suolo, espressione paciosa; uno di quelli che in genere della politica non gliene può fregà de meno… In realtà avevo ragione, ma non per questo l’ho ritenuto uno stupido, anzi. Parliamo un po’ del peso che l’improvvisazione ha nella loro musica e lui dice che: "Nonostante le nostre canzoni siano composte in maniera abbastanza definita, spesso le partiture sono tratte direttamente da jam session; ad esempio nel nostro ultimo disco (la cui uscita è imminente) abbiamo tratto 6 o 7 frammenti da una notte di improvvisazioni interamente registrata. Da questi frammenti abbiamo tratto dei veri e propri brani che vedranno la luce fra breve". Gli chiediamo se, tra le altre cose, per caso sono stati influenzati dall’attitudine psichedelica californiana fine anni ‘60, che dilatava i brani a proprio piacimento nel contesto live. "Si, certamente, tutti i brani ora contengono parti in cui possiamo improvvisare liberamente, così possiamo cambiarli ad ogni concerto evitando di suonare sempre le stesse cose".
Gli facciamo pero’ notare che Four great points (il loro ultimo disco del 1998) sembra più un album da studio, con brani più chiusi a livello di partitura e più rifinito nei suoni: gli chiedo se questa è una scelta musicale che caratterizzerà le loro future produzioni musicali, ed invece: "ogni nostro disco è un episodio a se stante. Dipende da come ci sentiamo al momento dell’incisione. In effetti con Four great points abbiamo speso più tempo in studio che con qualunque altro album. I nostri primi tre dischi sono stati registrati in 3 giorni, e Tropics and meridians ed Anatomy of sharks (rispettivamente il 2°lp e 3°minilp) appartengono addirittura alle stesse sessioni di incisione: abbiamo separato la loro stampa perché non sarebbe stato possibile contenerli in un unico supporto discografico. Four great points nacque dall’esigenza di lavorare maggiormente in studio, necessità che prima non avevamo anche per mancanza di tempo". Ci sono arrivate voci riguardo al loro nuovo disco, che lo definiscono piuttosto "strano", e lui ce le conferma: "Si, il nostro nuovo disco è così strano… Il nostro pubblico forse ne sarà deluso… Ma a noi piace sperimentare sempre, non che ci dispiaccia che i fans siano entusiasti di noi, tutt’altro. È che dover compiacere il proprio pubblico renderebbe stagnante la nostra creatività: la nostra musica deve andare avanti e noi dobbiamo progredire come musicisti".
Gli chiediamo se, nella patria del rock’n’roll, non hanno qualche difficoltà a suonare una musica che non è esattamente digeribile, e che richiede una certa dose di attenzione. Ed infatti il buon Jeff ci dice che "Siamo più seguiti in Europa che in USA, il nostro concerto di Bologna è stato probabilmente il più affollato della nostra vita (2000 paganti), ma anche al Bloom di Mezzago l’anno scorso c’era tantissima gente. Ma d’altra parte negli Stati Uniti ci sono talmente tanti gruppi che dovresti uscire tutte le sere: le buone band sono tante quante quelle più scarse… Forse non è solo una questione di mentalità".
La sua opinione sulla scena indipendente Statunitense? Serafica e concisa: "circa 5 anni fa molte piccole etichette sono state acquistate da grosse multinazionali, e l’anno scorso tutto ciò ha comportato una grossa recessione; c’era troppa musica in giro e la gente non sapeva più cosa comprare, erano tutti confusi. Ma secondo me è stata una cosa positiva: le etichette indipendenti che hanno continuato il loro discorso coerentemente continuano a godere di buona salute, mentre quelle che si sono vendute sono diventate "pigre" ed hanno perso i loro musicisti migliori: questi preferiscono continuare ad incidere per labels che godono di maggior autonomia e libertà".
La distribuzione è da sempre l’eterno cruccio di chi lavora in ambito indipendente, internet ha forse migliorato un po’ le cose? La sua risposta è moderatamente positiva: "In termini logistici non è cambiato granché, dipende molto da chi ci lavora e da quanta passione ci mette. In genere ci sono molte etichette affidate ad un grosso (si fa per dire, visto che si parla di 4/500 copie vendute nei casi più fortunati) distributore locale. Internet ha dato una mano, perché ora la gente è maggiormente informata sulle uscite discografiche e può ordinare direttamente alle etichette. Qualche anno fa invece c’erano molti più intermediari che compravano e vendevano (usa i termini monopolizing and capitalizing…) a fini speculativi. Tutto questo a scapito degli acquirenti e delle piccole etichette: ciò ha comportato un aumento dei costi notevole ed ha contribuito alla recessione di cui sopra. Comunque negli Stati Uniti solo la Dischord e la Touch and Go distribuiscono i loro dischi direttamente in tutta la nazione".
Proviamo con una domanda riguardante la politica in musica, lui subito reagisce scherzando (ma non troppo): "Oh, merda, devo andare, ho un impegno…". Ci dice: "Negli Stati Uniti è difficile avere una mentalità politica in ambito musicale, perché ad una certa età si smette di suonare e la musica non è vista come una scelta, la gente non ti prende sul serio, un po’ per la tua giovane età ed un po’ perché la tua non viene vista come una scelta "chiara". Negli USA solo i Fugazi sono visti come una band politica, in virtù della certezza delle loro scelte di vita: ormai hanno 35 anni (ed è chiaro che continueranno a fare musica politica, N.d.R.)". A questo punto gli chiediamo, incuriositi, che ne pensa di un personaggio come Jello Biafra, granitico e tenace oppositore radicale americano, ma lui risponde pacioso: "ma, sai, non sono mai stato un grande fan dei Dead Kennedys, le loro cose erano molto intense e mi davano delle sensazioni forti, ma non ho mai cercato un messaggio politico nella musica". Et voilà, ci ha bell’e liquidati. Una risposta molto americana…
La confezione dei loro dischi è molto originale, sembra frutto di un lavoro molto curato in ambito artigianale, Jeff ci dice che è stato lui stesso a curare la grafica e la composizione delle copertine: "lavoravo al Fireproof Studio di Chicago (uno degli ultimi posti al mondo in cui si stampa ancora manualmente!), curavo il design, piegavo, impacchettavo, graffettavo le copertine, etc… Sceglievo le immagini che più mi piacevano, seguivo una mia personale estetica.... Ora mi sono trasferito, e dunque non lavoro più lì. In realtà da quando abbiamo inciso Four great points le cose sono cambiate e tutti quanti i membri della band si occupano dell’aspetto visivo dei nostri dischi. Infatti la grafica è cambiata, e la confezione ora è un po’ più tradizionale".
I June of 44 sono definiti come una delle band di punta della scena post-rock (un’oscura definizione della stampa specializzata, attualmente in voga per band che in realtà non sono facilmente etichettabili, e che amano sperimentare liberamente), ma l’opinione di Jeff è perentoria: "Non so che significhi la parola post-rock… Non so in che misura la nostra musica sia etichettabile… Io penso che noi siamo rock, punk rock, jazz, pop... Noi siamo tutte queste cose: che diavolo è il post-rock?". Ben detto, Jeff, la stampa musicale è servita…
Proviamo a punzecchiarlo un po’ con una domanda sulla censura, ma lui non fa una piega: "La censura negli stati Uniti è una sorta di barzelletta: l’unica cosa che ha ottenuto è quel famoso adesivo che segnala i dischi più "espliciti" (il famoso parental advisory che saltuariamente si trova anche su copertine di musicisti abbastanza famosi), ed i negozi che hanno rifiutato di distribuire certi dischi hanno semplicemente perso dei profitti, perché la gente li andava a comprare altrove, desiderosa di acquistare un disco cosiddetto proibito ".
Et voilà… Però, dopo una piccola pausa, aggiunge: "Penso che l’espressione artistica non debba essere censurata in nessuna delle sue forme, è un po’ come una lama a doppio taglio: mi vengono in mente i pro-lifers (gli antiabortisti americani), che si dicono a favore della vita e poi uccidono i dottori, le persone che vanno ad abortire e talvolta persino i bambini…"
Terminiamo sul gossip, e gli chiedo un commento sul caso Lewinsky, ma lui è più serio del previsto: "Bah, penso che sia il solito caso di politica spazzatura: vale per tutte le persone che fanno politica, sono degli scopatori pazzi allo stesso modo di tutte quelle persone che possono spendere un sacco di soldi per pagarsi il sesso. Penso che anche i leaders stranieri si comportino alla stessa maniera, ma negli stati Uniti è più eccitante perché ci puoi riempire le copertine dei giornali…" Evvabeh, che dire: tipicamente americani nel loro individualismo, che li porta ad essere indiscutibilmente radicali nelle loro scelte artistiche; il loro concerto è stato dannatamente serio, ve lo assicuro: si sono sbattuti per un’ora e mezza senza mai allentare di un attimo la tensione (in gergo: ci hanno rifatto le orecchie…). Pochissime parole al pubblico ed un macello di sudore: Jeff non sembrava certo un nerd svogliato una volta salito sul palco… Musicalmente, li riteniamo indispensabili, siete avvertiti.

Bossi Mario - Mirko Spino