Rivista Anarchica Online


A duemila anni
dal duemila

di Francesca (Dada) Knorr
Il rapporto tra fede e ragione secondo la "Fides et Ratio", l’ultima enciclica promulgata lo scorso settembre dal Papa.

 

Dovrei essere una persona di media cultura, di mezza età, né carne né pesce, come dicevano gli antichi, né donna né uomo, né atea né credente... quindi diversa da quel che sono (beh, più o meno), per poter affrontare da ignava e senza patemi la lettura dell’ultima enciclica "Fides et Ratio", promulgata dal Papa nel settembre scorso. Ecco, son come tabula rasa, come una che ha appena assistito a tremila puntate di beautiful, completamente ben disposta ai buoni sentimenti ed ai cattivi,... così potrei giudicare imparzialmente questo documento, che fa il sunto delle opinioni dei vertici ecclesiastici cattolici sui rapporti tra fede e ragione.
Voi direte (soprattutto dopo averne vista la mole - da pag. 137 a pag. 213 di Civiltà Cattolica): ma perché, poverina, fare questo sforzo? non sai/sappiamo già tutto dei dogmatismi della chiesa cattolica? A volte a me sembra che questi siano sopravalutati, soprattutto spacciati come pensiero filosofico ed etico. Non vi pare, ad esempio, che gli interventi del card. Ersilio Tonini, quale allampanato opinionista, a tutti i santi (pardon) dibattiti televisivi sui temi più svariati, siano quanto mai deludenti e vaghi, di certo ripetitivi? Leggere un’enciclica, cercando di capire che messaggio se ne può trarre ad impatto (e non dai sunti pre - preparati), ci dà la possibilità di verificare la lucidità filosofica e teologica della Chiesa, per poi riprendere (confortati) l’analisi delle strategie più varie che questa attua nella società per creare/disfare alleanze ed avanzare in una ormai controversa "evangelizzazione". Non dimentichiamo che oggi, a causa dei mass media, le encicliche non son più preparate solo ad hoc per il clero ("venerati fratelli nell’Episcopato", inizia) ma vengono confezionate ad uso e consumo di chiunque possa e voglia leggere. Perciò nella lettura sarà meglio, piuttosto, usare una buona dose di... mala/fede, o meglio di capacità di svelare come vengano costruiti certi problemi per poi causare certe risposte, un atteggiamento che in filosofia, e non solo, è considerato dei più biechi.

 

Tra fede e ragione

Le encicliche, dunque, non sono il parto notturno (si fa per dire) di un pontefice che le riceve in flebo dalla Provvidenza per stenderle malferme sulla pregiata carta della sua scrivania da letto. Sono il risultato della spremitura di parecchie meningi (quante e quali non è dato sapere) ecclesiastiche: immaginiamo diverse teste d’uovo, coronate da gentil cappelletto, che, in lindi (puliti dalle suore) studioli vaticani redigono in penombra questi documenti facendo la summa di tutto il loro sapere e cercando di rispondere alle sollecitazioni che pervengono ai vertici dalla base caotica e multiforme (il gregge) e dai loro pastori (sacerdoti e vescovi).
Dall’anno 2000, anno che tutti sanno già che sta arrivando (basta guardare le scadenze sulle scatolette)... giungono grida, lamenti, dubbi e risate: e da duemila anni prima, anno in cui si è fermata e a cui risale l’avventura intellettuale di questi compilatori, arrivano le risposte.
Dobbiamo pensare che sia urgente in questo momento, parlare dei rapporti tra fede e ragione, perché ogni enciclica risponde alla impellenza di pianificare certi problemi, anche molto "concreti", in cui la Chiesa è coinvolta: pensiamo ad esempio alla scocciatura di dover diffondere un’enciclica, "Quanta cura", (1741) per proibire i traffici di elemosine, o ai giri di parole necessari a presentare in maniera casta la "Mirari Vos" (1832) in cui si proibiva la libertà di coscienza e di stampa, e così via, sino ad esempio alle gravi preoccupazioni teologiche che potevano ispirare la "Gravissimo Officio" (1906) in cui la Chiesa si dispera per il suo destino in Francia (con la legislazione repubblicana)...
Attualmente, l’ottimismo che aveva introdotto un papa polacco al momento giusto, e l’esultanza per la caduta dei regimi dell’ateismo di stato, hanno lasciato il posto ad una stizza ed a una depressione notevole visto che la gente si ostina a non voler essere tutta cattolica, anzi, molti tra i più giovani sono convinti che dio sia un misto di varie divinità correnti, o non credono affatto.
Dal primo punto (p. 1), circa i rapporti tra fede e ragione, si conclude che la "fede" è quella particolare capacità di credere alla verità di alcune risposte, quelle date dalla chiesa circa il senso della vita ed il perché "della presenza del male". Ma questi due interrogativi che l’enciclica definisce "universali" (escludendo quindi a priori ogni tipo di inclinazione e cultura che non riconosca ad esempio il bisogno di dare un "senso" alla vita), hanno già una risposta in varie religioni (si citano en passant, come a dare un tocco pittoresco, anche i Veda), però la Chiesa si definisce colei che "nel Mistero Pasquale ha ricevuto in dono la verità ultima sulla vita dell’uomo" (p. 2). Chiunque inizi a leggere questa enciclica può capire fin da subito quindi che si sta facendo una rassegna di domande - pretesto... sulle quali però non è ammessa altra risposta che quella della Chiesa. e qui chiudiamo la lettura ed andiamo a fare una bella passeggiata invernale, vi va?
Per chi volesse insistere, l’imposizione della verità contenuta nel "mistero pasquale" è per inciso la convinzione che un dio, nei panni di Cristo, sia venuto sulla terra per farsi crocifiggere a nostra discolpa (in quanto peccatori:... il peccato esiste prima di dio) e, diciamo così in vena sadomasochistica, dimostrandoci il suo amore; questo dio avrebbe poi lasciato alla Chiesa carta bianca per "evangelizzarci", cioè inculcarci insegnamenti fatti derivare dalla storia (più o meno riscritta) della sua vita.

 

Per trovare giusto riposo

Beh, questo riassuntino ben magro, diciamo pure questa crocifissione, sorvola con la sua presenza tutta l’enciclica, è il refrain di risposta che viene dato dopo ogni considerazione. ad esempio, domanda: "a cosa dovrebbe servire la filosofia se fosse una brava ragazza?", ed il refrain risponde: "a comunicare la verità del Vangelo..;" (p. 5). Domanda: "perché oggi siamo dominati dalla tecnologia ed ‘in balìa dell’arbitrio’?", risposta: "perché non ascoltiamo la fede (cattolica) che trascende ogni ragione". L’arbitrio qui nominato è naturalmente il pluralismo, che svaluta le opinioni, le fedi, le certezze, dando dignità a tutte e quindi preminenza a nessuna. (p. 6). La Chiesa, invece, "forte della competenza che le deriva dall’essere depositaria della Rivelazione..." (p. 6) può aiutare tutti (offre un servizio segnaletico) a trovare la giusta strada, al termine della quale ci si siede "per trovare giusto riposo". Qui, senza nemmeno sfruttare a dovere tutti i punti deboli che il pensiero filosofico moderno (spesso "debole") le offre, la Chiesa imbonitrice è solo interessata a presentare un moderno caos, un pan/demonio di idee nelle quali a suo dire la gente si agiterebbe perduta. Ed ecco che arriva la conversione: se sei per strada ed hai bucato, eccoti la fede di scorta; quanti sbruffoni ed arrampicatori ne fanno uso per dare un senso al proprio squallore! (questo l’ho scritto io, non la chiesa). Se sei stanca ed hai i piedi gonfi, con tutto quel camminare con gli anfibi nel postmoderno, o coi sandali tra scomodi fachiri (la chiesa chiama così gli yogi): ecco una bella lapide su cui sedersi e riposare! ops, dimenticavo: è la lapide alla memoria della tua ricerca filosofica. Perché si trattava sì di "riposo", ma eterno. Se arrivi alla fede, pensare ti serve d’ora in poi, secondo la Chiesa, solo per capire le letture dei suoi "Padri".
Con brevi passaggi sulla Rivelazione (p. 11) e sulla Storia e la Libertà, l’enciclica ci annuncia infatti che la libertà serve solo a fare ciò che il dio dei cattolici suggerisce, e che il compimento dei tempi è già scritto (manca solo che giunga il "Regno"). Ma è veramente interessante vedere l’iter attraverso cui (cap. II) si giungerà a prescrivere i Padri della Chiesa come risoluzione a tutti gli interrogativi della filosofia (cap. IV, p. 43): quali antibiotici (si fanno dalle muffe, no?) contro queste epidemie di buffi e strambi filosofi. Pensatori contagiosi, che ci rendono "stolti", e "in questa stoltezza è insita una minaccia per la vita"(p. 18), per la vita della Chiesa, dico io, per la vita in generale e per il feto in particolare, dicono loro.
Già il "popolo eletto" (di Israele) aveva capito "che la ragione deve rispettare alcune regole di fondo per poter esprimere al meglio la propria natura". Mah! Anche qui, dopo la tirata contro i filosofi cattivi, si inizia a fare una storia della filosofia scambiando la "ragione" con " a chi devo dare ragione?". In sostanza si afferma che già i bigottissimi eletti sapevano che se affermavano di non credere, erano carenti in quanto a conoscenza. Nel senso che più cose dici di credere, e di conoscere, e meno carente sei. Pensate a quanto conosce il Papa, che ha viaggiato in tutto il mondo, crede nel dio più grande che c’è, e sa pure i segreti di Fatima! Certo, avere un Dio in cui credere, che è più forte di tutti (babbo), fa bene al morale, lo sapevano anche i patriarchi d’Israele, ma questo cosa c’entra con la ragione e la filosofia? Ben poco, a sentire anche l’affermazione successiva (p. 31) per cui, in ogni caso, bisogna credere sulla base di una tradizione: "l’uomo nasce e cresce in una famiglia e crede in molte cose tramandategli", insomma, vive di credenza, e se crede nel tv color, perché non dovrebbe credere in dio anche se non sa bene come funziona?
Da un lato, quindi, si prefigura il mondo dell’intelletto e della scienza, spesso spietato e privo di moralità, nel quale però si usano/si crede anche a cose che non si sanno spiegare, e dall’altro, per bilanciare, si presenta il mondo dei buoni sentimenti e della fede, che indirizza ad un buon uso della scienza ed egualmente "abbisogna" di fiducia e di abbandono ai ritrovati ed alle scoperte (dogmi) della chiesa. "Nel credere ci si affida alle conoscenze acquisite da altre persone" (p. 32). È quindi suggeribile affidarsi al sapere di altri ed al loro consiglio, come nella confessione; la chiesa si offre certo come struttura che aliena la coscienza e lenisce i sensi di colpa, in cambio di obbedienza.
L’enciclica giunge poi ad un parossismo (detto anche "la corrida") ricorrendo ai martiri, in ultima risorsa, come testimoni della fede: se sono morti per la fede, la fede dovrà pur valere. Questa, oltre ad essere definita come la proposizione del "ho tanti santi nella manica", è anche una affermazione dimentica, ahimè, di tanti che la Chiesa ha giustiziato, senza per questo "credere" poi alla libertà di pensiero.
Tant’è vero che, alla fine del III capitolo, l’enciclica fa un breve discorsetto sulla scienza e cita... Galileo! "Galileo ha dichiarato esplicitamente che le verità, di fede e di scienza, non possono mai contrariarsi" (nota 29, p. 34), certo, lo ha dichiarato sotto gentile pena di morte da parte del clero. Che dire di questi scienziati tanto corteggiati (e minacciati) dalla chiesa? Anch’essi, secondo la chiesa, cercano la verità a seguito di una intuizione (una fede?) e quindi possono pure uniformarsi alla gran armonia divina, poiché "ciò che è vero, dev’essere vero per tutti e per sempre". Il noto biologo O. Wilson, che di recente, dopo il suo "Sociobiologia", ha dato alle stampe "Consilience" (Concordanza), non sembra vedere proprio il dio cattolico all’orizzonte di questa sua ricerca di concordanza tra tutti i saperi scientifici; chissà, magari invecchiando lo scorgerà. Anche se è difficile per uno scienziato scordare Galileo, o l’enciclica "Humani generis" (1950) nella quale si condannava senza riserve l’evoluzionismo.

 

A proposito di Lamiere

Ma torniamo alla fede ed alla ragione, ed alla storia della filosofia fatta dall’enciclica: dopo aver citato il popolo d’Israele, si tirano in ballo (o nell’arena) i cristiani i quali, nonostante le critiche pagane, innovarono i tempi abbattendo le barriere sociali, razziali e sessuali. Questa sì che è una bella faccia di... pardon, questa sì che è una bella affermazione nell’anno in cui Wojtyla ha ribadito l’esclusione delle donne dal sacerdozio! E poi, naturalmente, a proposito di barriere, sessuali ed antibiotiche, si passa ai Padri della Chiesa che non limitarono la loro opera "alla sola trasposizione delle verità di fede in categorie filosofiche" ma furono i veri, gli unici filosofi. (p. 41); tant’è vero che in questo compendio di storia della filosofia, che immaginiamo adottata nelle scuole private cattoliche, si balza direttamente dal Medio Evo all’ottocento! Nell’ottocento alcuni idealisti (non nominati) provarono a trasporre in strutture dialettiche la "Rivelazione", ma non riuscirono un granché ed anzi, altri vi contrapposero un umanesimo ateo dal quale "si è formata la base di progetti ... sfociati in sistemi totalitari traumatici per l’umanità" (p. 46).
I sistemi totalitari nefasti, notate bene, sono quelli atei, non quello che la chiesa tuttora costituisce, resistendo ad ogni attacco del tempo e ad ogni contestazione (vedi il recente movimento "noi siamo chiesa" che chiede la democratizzazione delle strutture di gestione della chiesa). Non solo: i "traumi" all’umanità sono inflitti da sporchi senzadio, questa è la versione della Storia che dà la chiesa cattolica, ancora in procinto di lavarsi le mani dall’inquisizione e dal nazismo. "una è la verità benché le sue espressioni portino l’impronta della storia" (p. 50). Quante volte anche questo ritornello, in questa enciclica che è un capolavoro d’immobilismo.
La filosofia del dottore Angelico (Tommaso d’Aquino, 1221/1274), viene celebrata come portentosa e salvifica, raccomandata da tutti i Papi contro le influenze, e persino animatrice del Concilio vaticano II. Il Magistero della Chiesa si fonda sui Padri, e la filosofia deve essere l’ancella della teologia (p. 76). Uno strumento, che va ben conosciuto per ben manipolarlo, anche con opportune censure che l’enciclica si vanta di aver operato: dalla scomunica al fideismo (1840), quella al razionalismo (1857), contro l’ontologismo (1862), contro l’ateismo (1937) anche contro l’esistenzialismo e lo storicismo (1950)... e, a proposito di ancelle, contro la teologia della liberazione (Congregazione per la dottrina della fede, 1984).
Che i preti debbano studiare filosofia sì, ma facciano attenzione alle mine/bolle papali di cui è costellato il sentiero: unica meta, la fede: "la rivendicazione di una autosufficienza del pensiero si rivela illegittima: rifiutare gli apporti di verità derivanti (sic) dalla rivelazione divina significa infatti precludersi l’accesso a una più profonda conoscenza della verità, a danno della stessa filosofia" (p. 75). Dunque, tutti i popoli, con le loro "verità" di religione e/o filosofia, di costumi e usanze, vanno inculturati ed evangelizzati, per il loro bene naturalmente, estrapolando materiale adatto a rinfrescare di sangue giovane la" fede". Si capiscono così molto bene le esortazioni alla Teologia della Liberazione a non farsi "inglobare" da altre culture.

 

Tradizione e folclore

Dunque, ciò a cui si vuole tendere, con questi sforzi dialettici proprio sterili nella loro ripetitività, è "a una visione unitaria e organica del sapere", utile ai globalizzatori, ricca di fermenti di tradizione e folclore solo se ammessi e provati dal Papa (ve lo ricordate con le piume da indiano d’America? ops, scusate). Per tale visione la razionalità è mero strumento e viene accusata appena pretende di scegliere in base, ad esempio, al sentire della collettività: (p. 89) senza tener conto dei "fondamenti immutabili". Chi vuole modellare le scelte "dal basso" non segue la "verità". (p. 97). Nichilisti e non credenti sono coloro che hanno causato del male all’umanità: "la terribile esperienza del male che ha segnato la nostra epoca". sigh.
Non resta che arrendersi a questa tiritera e invocare la "sede della sapienza"; la quale, secondo l’enciclica, giunta alla frutta, è "la vergine che fu chiamata ad offrire tutta la sua femminilità affinché il Verbo di Dio potesse prendere carne e farsi uno di noi" (p. 108). Perché mi viene la nausea, ho letto troppo, sarà quel ‘prendere carne’, sarà questo finale al femminile che non mi convince? Fatemelo dire senza ragionare, senza teologia, credenze e comò, andando ad intuito, con le parole di una vecchia sporcacciona (nichilista?) che ha visto la seconda guerra mondiale (barellista), e chiacchierava tutti giorni con Picasso (cubista): "C’è troppa patrificazione adesso e non c’è dubbio che i padri sono deprimenti. Oggi sono tutti padri... e ce ne sono sempre tanti altri pronti ad esserlo." (G. Stein, Autobiografia di tutti).

Francesca (Dada) Knorr

 

 

Una sentenza importante

Il 28 settembre 1998 la corte di Appello di Ancona ha posto fine ad una vicenda iniziata il 24 agosto 1991 per iniziativa di alcuni zelanti e timorosi cattolici e dal vescovo di Fano, Fossombrone e Cagli che denunciavano gli organizzatori del Meeting Anticlericale, assumendo a pretesto due manifesti realizzati utilizzando delle caricature del disegnatore Vauro. La Corte doveva pronunciarsi su una pesante condanna ad 8 mesi di reclusione e al pagamento delle spese processuali di Francesca Palazzi Arduini e Federico Sora, con sospensione condizionale della pena, emessa dal Tribunale di Fano per vilipendio al pontefice (art. 278, Codice Penale). Gli imputati erano invece stati assolti dall’accusa di aver offeso il sentimento religioso cattolico dei querelanti (art. 402 Codice Penale) perché l’interrogatorio dei testi aveva dimostrato che costoro non avevano direttamente visto i manifesti incriminati e non avevano quindi potuto offendersi !
Una condanna così grave in primo grado non si comprende se non si tiene conto della regia occulta del processo da parte della Curia fanese che aveva cercato in questo modo di impedire lo svolgimento del Meeting, colpevole ai suoi occhi di avere prodotto dibattito, socialità e cultura attorno ai temi dell’anticlericalismo, della laicità e della libertà dalle religioni. A offendere non erano certamente né i manifesti né le vignette ma un appuntamento importante per la sinistra che permetteva di discutere queste problematiche secondo una visione, un’etica e una morale anarchica dei problemi. Spaventava e spaventa la Chiesa cattolica la capacità di contrapporsi sul piano dei valori, prospettando una visione positiva dei rapporti umani fatta di socialità, solidarietà, rifiuto della superstizione, delle gerarchia e di quel monarca assoluto che è per sua stessa ammissione il Pontefice di Roma. Lo scandalo nato a Fano non stava nel manifesto scurrile, nella caricatura forzata ma nella capacità del Meeting di relazionarsi anche con i credenti su temi quali il femminismo e i diritti delle donne, la bioetica, la guerra e la pace, il fanatismo religioso, lo sfruttamento dei colonizzatori nei confronti dei popoli del terzo e quarto mondo in nome e attraverso una religione fatta di oppressione e violenza degli spiriti e dei corpi.
Di fronte all’attacco delle gerarchie ecclesiastiche a nulla era valso il dibattimento che aveva dimostrato l’inconsistenza delle accuse, anche attraverso l’escussione dei testi: dall’interrogatorio degli stessi querelanti era emersa la strumentalità dell’accusa e, malgrado ciò, la Corte aveva accolto almeno in parte la loro accusa. Nonostante il fatto che ambedue gli imputati avessero negato ogni addebito personale, tanto che Sora aveva fatto notare di essersi occupato esclusivamente della cucina. Il Tribunale, insomma, non aveva tenuto conto che la responsabilità penale è personale ma condannando i compagni, aveva compiuto una scelta di campo, emanando una sentenza evidentemente politica.

 

L’appello tra mobilitazione e "difesa tecnica"

L’esame degli atti processuali del giudizio di primo grado rendevano evidente la necessità di una difesa in appello che contrastasse alla radice le ragioni dell’accusa, tanto più che il Pubblico Ministero sembrava intenzionato, come poi ha fatto, a chiedere la conferma della sentenza di primo grado.
Un’assoluzione era necessaria non solo nell’interesse evidente dei compagni condannati ma per ribadire ed affermare il diritto di tutti a trattare i temi dell’anticlericalismo e della propaganda antireligiosa e rivendicare agli anarchici lo spazio politico per svolgere la loro azione. In questo come in molti altri casi, la difesa dei diritti di alcuni compagni volgeva a favore della tutela della libertà di tutti.
Tuttavia, preso atto dell’accanimento della Curia vescovile fanese e consapevoli del crescente potere clericale nel paese era del tutto evidente che la generosa difesa dell’Avvocato Sorcinelli di Fano non poteva bastare se si voleva sottrarre i compagni alla condanna. Occorreva una voce accademicamente autorevole, certamente valida tecnicamente, professionalmente ben collocata in ambito accademico per far sì che il verdetto venisse pronunciato dal collegio giudicante nella consapevolezza che il comportamento adottato sarebbe stato reso noto e una manifesta parzialità dei giudici avrebbe menato scandalo anche agli occhi dei buoni borghesi.
Defilatisi dall’offrire il loro aiuto i vari Comitati di giuristi laici pur operanti nel nostro Paese alcuni compagni ricevevano la disponibilità dell’Avvocato Giovanni Flora, Professore Ordinario di Diritto Penale all’Università di Firenze, che trovava il modo, durante un dibattimento che si caratterizzava per la immediata richiesta del Pubblico Ministero di confermare la sentenza di primo grado e quindi la condanna dei nostri compagni, di illustrare alla Corte i motivi di improcedibilità nei confronti degli imputati.
Era avvenuto, infatti, che nella fretta di processarli e condannarli il Tribunale di primo grado aveva omesso di chiedere l’autorizzazione per procedere contro i nostri compagni al Ministero di Grazia e Giustizia. Infatti il Trattato del Laterano, equiparando la figura del Pontefice a quella del Capo dello Stato italiano, richiede l’osservanza delle medesime procedure in caso di vilipendio. Questo perché il politico "vilipeso" potrebbe non gradire il processo in quanto potrebbe accadere che il dibattimento costituisca un’occasione per coloro che vengono processati per ribadire le loro idee e farne propaganda, a tutto "danno dell’offeso". In assenza della richiesta di tale autorizzazione la Corte di Appello non poteva che considerare assorbente tale motivo e dichiarare il non luogo a procedere e quindi assolti gli imputati. Già l’arringa del difensore era stata l’occasione per ribadire il diritto di critica, la libertà di espressione, la libertà di propaganda anticlericale, e di questo la Corte ha mostrato di tenere conto.

 

Contro ogni curia le nostre ragioni

La vicenda ci dice che l’anticlericalismo degli anarchici, dei laici, dei non credenti è carico di valori che non vanno solo difesi in nome della libertà di pensiero, ma affermati in ogni occasione. Ben vengano perciò appuntamenti ed incontri nazionali come i Meeting, i dibattiti, le manifestazioni, ma bisogna concretamente impegnarsi ogni giorno per denunciare l’invadenza clericale, attaccando i comitati d’affari insediati nelle curie vescovili, come la vicenda del Vescovo di Napoli dimostra.
Bisogna ricordare a tutti che quella cattolica è ancora la Chiesa di Stato, che essa vive per lo Stato e dello Stato dal quale riceve con differenti motivazioni ben 4.000 miliardi l’anno, ai quali si aggiunge l’immensa voragine aperta con il finanziamento alle scuole private confessionali.
Queste cose vanno dette ricordando che è diritto di tutti farne propaganda, denunciare il peso degli stipendi per i ministri di culto, per i professori di religione, per i cappellani nelle carceri e negli ospedali, i finanziamenti per la costruzione di edifici di culto, ecc. Bisogna rilanciare la campagna contro il Giubileo e denunciare le spese fatte utilizzando i soldi dei cittadini per attivare l’ignobile mercato intorno alla vendita della salvezza dell’anima.
L’assoluzione dei compagni di Fano dimostra che è possibile difendersi, ma è certamente meglio non aspettare i processi e attaccare noi, con tutte le iniziative che saremo capaci di mettere in campo.
Abbiamo le carte in regola più di ogni altro per condurre la lotta per la libertà di pensiero che caratterizza da sempre l’anarchismo come uno dei suoi valori fondanti

Gianni Cimbalo