Rivista Anarchica Online


L'ombra dell'assassino
di Maria Matteo


Santiago del Cile, 1971. Il dittatore cubano Fidel Castro
insieme con Augusto Pinochet, allora
comandante
della guarnigione di Santiago dell'esercito cileno.

Le responsabilità personali di Augusto Pinochet sono incancellabili.
Ma le drammatiche vicende del Cile (e dell'Argentina, dell'Uruguay, ecc.) di 20/30 anni fa vanno ben oltre le dirette colpe dei dittatori e ci insegnano che...

 

L'iniziativa del giudice spagnolo Garzon contro il generale Pinochet, il dittatore che per quasi vent'anni ha stretto il Cile nella morsa di una dittatura feroce, ci riporta d'un colpo indietro negli anni, ci riporta ad un periodo della nostra storia che vide migliaia e migliaia di persone scendere in piazza contro l'assassino il cui regime aveva trasformato il Cile in un'enorme campo di concentramento. All'epoca ero adolescente ed a malapena sapevo dove fosse il Cile, ma in poco tempo mi divenne familiare: le tremende testimonianze degli esuli, la cronaca terrificante degli omicidi, delle torture, dei campi di concentramento. Le canzoni appassionate e dissacranti di Victor Hara, il cantautore cileno barbaramente torturato e ucciso dalla polizia di Pinochet, giravano in cassette autoprodotte che passavano di mano in mano.
Il Cile, ed in generale quasi l'intero continente sudamericano ci mostravano in tutta la sua ferocia il dispiegarsi della potenza statunitense. Dopo poco alla dittatura di Pinochet in Cile sarebbe seguita quella di Videla in Argentina: difficile pensarlo ma il generale argentino si rivelò presto all'altezza del suo collega cileno. Qui da noi la dittatura argentina non vide le grandi manifestazioni di piazza della sinistra italiana, perché il Partito Comunista Italiano, allora egemone, si guardò bene dallo schierarsi nettamente contro Videla, le cui riserve granarie erano indispensabili alla dittatura sovietica. Ma questa è un'altra storia. Una storia in cui le responsabilità internazionali sono ampie e ramificate e da cui il nostro bel paese non è certo esente. Ancor oggi la magistratura italiana si mostra reticente a processare i responsabili delle centinaia di cittadini italiani trucidati durante il regime di Videla. Il pubblico ministero romano Marini, conosciuto anche per la "fermezza" dimostrata nel perseguire gli anarchici ed in generale la sinistra, si è affrettato ad insabbiare l'inchiesta sui desaparecidos argentini di origine italiana, massacrati dalla dittatura fascista di Videla.
In Cile e Argentina come in Brasile, Uruguay, Paraguay, l'instaurarsi di feroci regimi dittatoriali, sostenuti politicamente e militarmente dagli Stati Uniti, garantì la cancellazione di ogni forma di opposizione sociale.
I torturatori e gli assassini sudamericani erano addestrati a Fort Benning, in Georgia, Stati Uniti d'America, dove allora, ed oggi, poiché la scuola per ufficiali sudamericani è tuttora attiva, uscivano i quadri di un'internazionale del terrore che attraverso l'operazione Condor mirava all'eliminazione fisica di tutti gli oppositori.
I governi europei non andarono oltre una riprovazione formale, che non impedì loro di mantenere stabili e proficui rapporti con quei regimi. Le anime belle della nostra sinistra non farebbero male a ricordare, ogni qualvolta gli Stati Uniti, l'Europa, l'ONU o la NATO si preparano a qualche operazione "umanitaria", perché l'ingerenza appare giustificata dal perpetuarsi di violazioni dei diritti umani come di volta in volta gli stessi orrori, gli stessi massacri, le stesse torture, assumono un senso diverso in relazione agli interessi in gioco e non, certo, per un qualche imprescindibile precetto morale.
Chi in questi giorni si è affrettato a plaudire l'operato del giudice Garzon, il "Di Pietro" spagnolo, farebbe bene a notare che il bravo Garzon, non diversamente, se si va a ben vedere, dal suo collega italiano, ha iniziato un procedimento contro un uomo ormai inoffensivo, anziano e non più al potere ma, si è ben guardato dal chiamare in giudizio il governo degli Stati Uniti. Si è ben guardato, come non di rado accade, dal perseguire oltre all'esecutore materiale anche i mandanti.

La denuncia di Urbano

Il governo italiano è intervenuto dopo la denuncia di un esule cileno. Vicente Taquias Vergara, detto "Urbano", anarchico cileno sfuggito alla morte dopo l'imprigionamento e la tortura, si è fatto avanti, e, solertemente, il neoministro comunista di Grazia e Giustizia ha sollecitato la magistratura a dar seguito ad una denuncia, che, probabilmente, in termini strettamente legali aveva ben poche chances. Un modo elegante per pulirsi la coscienza e ravvivare la propria immagine di fronte al mai troppo lodato "popolo della sinistra". Ma solo una colpevole miopia politica può non vedere la valenza puramente simbolica della presa di posizione del buon Diliberto, che, è forse bene rammentarlo, fa parte di da una compagine governativa che annovera tra i propri numi tutelari un tale Francesco Cossiga, di professione ex ministro degli interni ed ex presidente della Repubblica ma in arte ex gladiatore in nulla pentito. La storia di Gladio, organizzazione armata, sorta per contrastare l'opposizione politica di sinistra, è, come tutti ormai sanno, strettamente intrecciata con quella degli episodi più oscuri dell'Italia repubblicana. Difficile non pensare agli Stati Uniti che riabilitano dopo mezzo secolo Sacco e Vanzetti ma si apprestano a mandare sulla sedia elettrica Mumia Abu Jamal, che, come allora i due anarchici italiani, non ha altra colpa che quella di essere un oppositore politico.
L'atteggiamento odierno della democratica Europa non è comunque significativamente diverso da quello passato: il vecchio ex dittatore rappresenta un ingombrante fardello di cui liberarsi al più presto, nonostante il moltiplicarsi a catena, da ogni dove, delle denunce e delle richieste di estradizione.
Pinochet non è fonte di imbarazzo per il Cile, dove, non diversamente dall'Argentina e dall'Uruguay, la transizione dalla dittatura alla democrazia è avvenuta senza fare i conti con il passato. In questi paesi torturatori ed assassini non solo non sono stati perseguiti ma spesso continuano a ricoprire importanti incarichi nell'amministrazione e nell'esercito.
L'ombra dell'assassino si proietta invece inquietante su quest'Europa che sbandiera nobili principi ma non ha mai smesso di fare affari con i tanti criminali della pasta di Pinochet. E' un'Europa che al di fuori dei propri confini si è assunta da alcuni anni il compito di affiancare gli Stati Uniti nel ruolo di gendarme del mondo. Per restare nella nostra bell'Italia possiamo misurare quanto valgano i principi di libertà e democrazia ripensando alle nobili imprese dei nostri parà in Somalia, alla militarizzazione dell'Alba-nia, paese trattato come una colonia, ai campi di concentramento per immigrati clandestini.

Ne valeva la pena?

Forse in questi giorni qualcuno si sarà chiesto se valesse la pena, dopo tanti anni, fare manifestazioni di piazza, presidi di fronte ai consolati per sostenere l'incriminazione del vecchio assassino cileno. Ebbene mi pare chiaro che l'aspetto giudiziario della vicenda è probabilmente il meno rilevante, null'altro che un pretesto per ricordare un passato tutt'altro che morto, per dare dignità ai tanti uccisi, scomparsi, torturati, agli esuli. Ma non solo. E' anche l'occasione per mettere ancora una volta in chiaro che Augusto Pinochet e gli altri come lui, senza nulla togliere alle responsabilità individuali di questi grandi criminali, non sono anomalie temporanee, ma un cancro endemico all'interno del cuore stesso dell'occidente "libero e democratico", il lato oscuro che, quando sono in ballo gli interessi delle grandi potenze, puntualmente riemerge. I governi europei forse non oseranno portare alla sbarra e processare per crimini contro l'umanità Pinochet neppure ora che è pensionato.
Ma alla fine di un secolo sanguinario, il secolo dei grandi totalitarismi, non può che far bene alla vecchia Europa, agli individui che la abitano, non sicuramente ai governi, ricordare che la dittatura di Pinochet fu possibile solo grazie all'appoggio dei paesi occidentali o, quantomeno, alla mancata opposizione al suo regime. Nessun governo della "democratica" Europa pensò di applicare sanzioni, di dichiarare l'embargo, di rompere le relazioni diplomatiche. Intanto solo pochi mesi orsono Urbano, l'esule cileno che ha denunciato Pinochet, dopo 23 anni di permanenza nel nostro paese, si è visto negare la concessione della cittadinanza italiana, perché il suo impegno politico e sociale in Italia come in Cile risultava poco gradito alle autorità costituite.

Maria Matteo