Rivista Anarchica Online


Solo coloro che tentano l'impossibile...

Risultati molto positivi per la Seconda Conferenza Intergalattica della Associazione Astronauti Autonomi (AAA), che si è tenuta al Link il 18-19 aprile. Un Link non stracolmo, ma in cui tutti i posti a sedere erano occupati da persone interessate e interessanti, che hanno saputo andare oltre le sparate facili e le boutade. Infatti nel progetto della AAA di sostanza - al di là della facciata paradossale con cui rischia consapevolmente di presentarsi al pubblico italiano - ce n'è molta. Come ha detto Andi Freeman, della Oceania AAA, considerate i programmi spaziali delle superpotenze e i loro complessi industriali e militari: l'idea di una esplorazione spaziale indipendente, antigerarchic a e costruita dal basso vi sembrerà tutt'altro che assurda. Una lotta per il controllo delle alte tecnologie dunque, una decostruzione sistematica delle montature ideologiche della propaganda delle agenzie spaziali di stato, corporative e militari, una sfida aperta al monopolio e allo strapotere finora incontrastato dei governi e dei potentati mo ndiali su quello che nel prossimo futuro sarà un bene cruciale, lo spazio extra-atmosferico fuori dalla gravità. Non solo: Balli, della AAA Bologna, ha indicato anche come padri nobili della AAA il situazionismo e il dadaismo, in tutto il loro potenziale libertario. Ecco perché la struttura della AAA è organizzata a network di gruppi indipende nti, ognuno dei quali si dedica ad un proprio progetto, tenendosi in contatto con gli altri, ma senza alcuna miope e antiquata ortodossia dottrinale, e alcuna linea a cui essere fedeli. Gruppi che al contrario si relazionano in un dibattito intellettualmente aperto, in cui ognuno è invitato ad entrare, visto che non servono tessere di iscrizione o abbonamenti. "We are a social movement" ha dichiarato fieramente Jason Skeet, della Inner City AAA.
Detto questo, vediamo allora come è andata la Conferenza Intergalattica, che ha riunito delegazioni AAA dall'Inghilterra, dalla Francia, dall'Austria e dall'Italia, con uno sforzo organizzativo non indifferente per un gruppo no- profit a budget minimo. Dopo la registrazione degli avventori (ad ognuno di essi è stato dato un poster della conferen za con in fronte gli eventi della due-giorni e in retro alcuni testi chiave del terzo anno di attività della AAA; un reader con la traduzione degli interventi, in modo da permettere al pubblico italiano di seguire le relazioni; e infine un adesivo con il logo della conferenza, l' homo volans di Veranzio), Balli (AAA Bologna) ha introdotto l'event o facendo un riassunto significativo del progetto AAA e dei risultati ottenuti dalla associazione nella sua pur breve storia (è stata fondata infatti nel 1995). Dopo di che, ha ceduto la parola al primo conferenziere, John Eden, della Raido AAA. Con il testo "Diventare astronauta autonomo" Eden ha voluto ricordare anzitutto la vocazione dialogica e antigerarchica della AAA: "Non siamo leader o esperti - e mai lo saremo", ha detto. Dopo di lui, Lola Chanel, della AAA Vienna, ha compiuto una dettagliata e molto informata ricognizione storica sulla figura delle donne astronaute, un campo finora trascurato (ma molto promettente) negli Women Studies. Titolo del suo intervento: "Tette nello spazio". È stata poi la volta di Ewen Cardronnet, della AAA Rosko Parigi, che ha letto le "Pratiche di esplorazione ellittica dello spazio", scritto di Cristophe Cauchy (AAA Parigi sud), una complessa esplorazione della natura creativa e autofondativa dello spazio in cui gli astronauti autonomi vogliono vivere la propria libera interazione sociale. I l già citato Andi Freeman della Oceania AAA ha riassunto le scoperte del proprio gruppo a Londra sud, con una forte attitudine critica contro la retorica della postmodernità e una scelta di campo programmatica molto chiara: "No al blairismo e al razionalismo economico - Sì all'antigravità e alla esplorazione indipendente".
A questo punto i primi ospiti: il gruppo romano dei Men In Red, con un intervento sulle "Prospettive politiche della ufologia radicale" che si preannunciava già molto controverso, e che infatti ha dominato l'intero spazio del dibattito. I Men In Red hanno accusato gli astronauti autonomi del fatto che con il loro programma finirebbero per esporta re inconsapevolmente nello spazio una forma di 'microfascismo' che ognuno di noi si porta dentro. A questo che hanno definito come 'programma riformista' hanno opposto il proprio "programma radicale", una alleanza con gli UFO per sovvertire il capitalismo planetario. Gli astronauti autonomi hanno replicato decisamente che la posizione dei Men In R ed è attendista e fatalista, che non c'è tempo per aspettare supinamente una liberazione dal di fuori, e che dobbiamo essere noi per primi a muoverci verso lo spazio. I toni del dibattito sono stati comunque moderati dalla necessità delle traduzioni e da un confronto leale. Dopo una breve pausa, la seconda tornata di interventi è stata aperta da Neil, della Disconaut AAA. Egli ha raccolto con molta attenzione, nell'area di Londra sud, tutti i segnali della space hunger, della brama di tematiche spaziali che sta vivendo un grande ritorno nella popular culture, nei campi della pubblicità, dell'arte e della musica. Ha riflettuto su come questo revival rappresenti da un lato un pericolo d i banalizzazione della AAA, ma dall'altro anche una serie di ulteriori possibilità. Secondo ospite italiano, Lalo, che si è presentato come individuo estraneo ad ogni gruppo, rispolverando il problema dell'allunaggio come falso storico - nient'altro che il sintomo, secondo la sua interpretazione, del nucleo centrale del problema, cioè la cooper azione delle due superpotenze nel periodo della guerra fredda in un'ottica di spartizione del mondo. Poi Konrad Becker, della AAA Vienna, ha contribuito con un saggio sulla propria corrente teorica, l'escapismo, impegnata a trovare nuove vie di fuga da una società annoiata e ansiogena, trascendendo al contempo l'edonismo banale. E di "un mondo da lasciarci alle spalle" ha parlato anche Jason Skeet, Inner City AAA, uno dei padri fondatori e dei maggiori attivitsti della AAA, il quale, assumendosi l'eredità della gloriosa Grub Street (la via di Londra dove alla fine del Seicento aprirono le prime stamperie e dove nacque il mestiere dello scrittore libero in senso moderno), ha espresso l'in tenzione di continuare lo spirito grub, facendo penetrare nella sfera mediatica quelle che lui stesso ha chiamato grub-idee, strumenti di satira, sabotaggio culturale e "immorale, truffaldino senso dell'assurdo", per aprirsi nuove vie all'esplorazione spaziale. Al seguito, come Andrea Mu.B. della AAA Trento, ho esposto lo stato del progetto "What' s so great about science?" che il nostro gruppo sta portando avanti: una "critica della ragion greve" che include falsificazioni sperimentali della legge di gravità. "La legge di gravità -ho avuto modo di argomentare - è anzitutto una legge sociale, inventata e non scoperta". Ha chiuso la conferenza Fabian Tompset, della East London AAA, con il suo testo "Reclaim the Stars", gioco di parole sul movimento inglese "Reclaim the Streets", farcito di dotte citazioni da Giordano Bruno.
La sera stessa, abbiamo assistito alle esplorazioni nell'avanguardia musicale estrema dei gruppi AAA con il Rave in Space. Il giorno seguente l'incontro si è chiuso con una giornata di training della AAA, disputando una appassionata partita di calcio a tre porte sotto l'acqua. Il calcio a tre porte infatti è una delle pratiche che la AAA promuov e per superare il concetto rigido di opposizione frontale e manichea tipico della spazialità tradizionale.

Andrea Mu
(AAA Trento)

Ben venga Mag!

Le Mag (Mutua auto-gestione) sono (come i lettori di "A", che se ne è occupata spesso, dovrebbero sapere) delle associazioni che funzionano come "banche alternative" al sempre più potente sistema finanziario-capitalistico. Lo scopo delle Mag, infatti, non è quello di ammassare danaro per speculare su di esso, ma di raccoglierlo per finanziare i niziative di tipo realmente cooperativo e libertario, cioè attività lavorative e produttive che, nei diversi campi in cui scelgono di operare (dall'agricoltura, all'artigianato, alla cultura), abbiano come loro scopo non l'arricchimento monetario di coloro che ne fanno parte, ma la possibilità di vivere e produrre su una base di uguaglianza, di partecipazione, di crescita personale e culturale. Proprio in virtù di tali presupposti le Mag non sono mai state solo delle "banche", mentre hanno fatto dell'attività culturale uno dei loro punti di forza, consapevoli che solo nel cambiamento dell'"immaginario" socialmente condiviso sta la possibilità che modi di vita egualitari e libertari d iventino patrimonio comune e possano quindi significativamente contrastare, e mutare, la nostra civiltà ormai diventata la civiltà del "pensiero unico" economicista.
Una delle Mag che più si è distinta in questa attività è la Mag 6 di Reggio Emilia la quale, oltre a finanziare decine di attività lavorative-produttive (fra le quali anche la "Comune Urupia" salentina, fondata e gestita da libertari italiani e tedeschi), ha periodicamente organizzato incontri di riflessione e dibattito particolarmente intere ssanti, quali quello sull'economia alternativa, tenutosi nel 1991, quello per il cinquecentenario dello sbarco di Colombo in America, ovviamente tenutosi nel 1992, e quello su "Economia e felicità" del 1994. L'incontro di quest'anno, che "festeggiava" anche il decennale della fondazione, era articolato in molteplici iniziative (presentazioni di l ibri, proiezioni cinematografiche, mostre, mostre-mercato, concerti), svoltesi a partire dal 24 aprile, che sono culminate nel convegno L'economia come se la gente contasse qualcosa del 2-3 maggio.
Il convegno, briosamente coordinato da Cristoph Baker, ha visto la partecipazione di Francuccio Gesualdi (del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano), di Annarosa Buttarelli (della Comunità filosofica "Diotima" di Verona), dell'antropologo, ma non solo, Franco La Cecla e del saggista Serge Latouche, noto per libri di critica dello sviluppo quali Il pianeta dei naufraghi, L'occidentalizzazione del mondo e La megamacchina (tutti editi da Bollati-Boringhieri), cui si sono aggiunte le testimonianze di due esperienze di "banca del tempo", come la Rel (Rete di economia locale) di Reggio Emilia e le "Vicine di casa" di Mestre.
I temi toccati nelle relazioni sono stati, ovviamente, tantissimi, ma le due relazioni di maggior spessore sono sicuramente state quelle di Latouche e di La Cecla, ambedue incentrate sulle reazioni dei popoli del terzo mondo alla globalizzazione economica e all'invasione mondiale della logica della merce.
Latouche ha, in particolare, illustrato il funzionamento dei Sls (Sistemi locali di scambio) che stanno nascendo in molte parti dell'Africa e che coinvolgono sia villaggi la cui base è, almeno in parte, ancora tribale, che un gran numero degli esclusi dal mercato del lavoro riorganizzatosi per far fronte alla globalizzazione. In tali Sls, in cui beni e servizi vengono scambiato al di fuori del mercato capitalistico sulla base di "monete" che hanno valore solo nell'ambito di ogni Sls, i "naufraghi dello sviluppo", come li chiama Latouche, ritrovano un loro ruolo sociale e soprattutto possono sopravvivere in base a "reti neoclaniche" che si strutturano e si collegano fra loro in base a logi che familiari. E mentre nella società "normale" il denaro è sostanzialmente un'astrazione il cui scopo è garantire a chi lo possiede una serie di diritti, nei Sls esso assume una "tangibilità", ad esempio in denti d'oro o vestiario, che a sua volta crea una circolarità sociale di relazioni, contatti, rapporti. Per Latouche, insomma, l'occiden talizzazione del mondo" ed il "mercato mondiale" possono trovare, almeno per ora, ancora un freno alla loro generalizzazione in una marginalità consapevolmente agita che ricrei socialità e di fatto sperimenti modi di produzione e scambio potenzialmente alternativi al "capitale globale".
La Cecla, invece, ha affrontato lo stesso tema partendo da una semplice constatazione: gli "oggetti" non sono mai veramente tali poiché gli esseri umani li caricano di valori simbolici che fanno sì che quegli stessi oggetti finiscano per mutare la loro "natura oggettuale" e la funzione per cui sono nati (ad esempio: la penna che ci è stata rega lata dalla donna che amiamo e che ci ha lasciato, non è più solo una penna), mentre, dall'altra parte, l'economia di per sé non esiste, cioè non ha una propria reale consistenza al di fuori delle relazioni simboliche in cui è inserita. Considerato tutto questo, ha continuato La Cecla, è un errore, ed è alquanto pericoloso, considerare, come fa tanta parte della "sinistra alternativa", che il denaro in quanto tale sia sempre più forte delle relazioni in cui si inserisce e riesca sempre a "piegarle" alla logica ad esso attribuita dall'economicismo occidentale. A questo proposito La Cecla ha fatto l'esempio del modo in cui viene interpretata l'immagine dell'indio con la sveglia al col lo. Per tanti occidentali egli è una vittima inconsapevole dell'espansionismo economico-culturale dell'Occidente, mentre, all'opposto, è molto probabile che egli, a partire dal suo sistema simbolico, abbia risignificato quella stessa sveglia che noi troviamo ridicola ed essa sia diventata, per l'indigeno ed il suo gruppo, un elemento distintivo, foriero di nuove relazioni sociali. La stessa cosa accadrebbe anche a tanti immigrati che dal Terzo mondo vengono a cercare lavoro nell'emisfero nord: non sarebbero rari i casi di comunità che risignificano quanto nel nord acquisiscono, compreso il danaro, secondo parametri che permettono loro di mantenere e ricostruire forme specifiche di socia lità. Per tutto questo, ha concluso La Cecla, la mondializzazione del mercato, che certo ha in sé notevolissimi elementi distruttivi ed è indubbiamente ispirata ad una logica di dominio, non va aprioristicamente demonizzata, mentre occorre sapersi attrezzare per cogliere anche all'interno di tale processo tutti quegli elementi che continuano a testimoniare l'irriducibile capacità di produzione simbolica che caratterizza gli esseri umani. Una produzione simbolica da cui possono emergere quelle esperienze che non solo impediscono al processo di mondializzazione e occidentalizzazione di assumere le caratteristiche totalitarie che alcuni gli attribuiscono, ma che, in prospettiva, possono g iungere a mettere in crisi questo stesso processo.
Come prevedibile, questo intervento ha immediatamente scaldato gli animi e nel dibattito che ne è seguito non sono mancati gli interventi che hanno cercato di mettere in luce i punti discutibili di quest'ultima relazione. Soprattutto è stato sottolineato che, al di là delle capacità di risignificazione messe in campo dalle società extra-occid entali e dalle comunità tribali, la logica che soprassiede all'economia di mercato non può non tendere a piegare a sé il funzionamento di queste stesse società e comunità, con ciò di fatto distruggendole, e il fatto che, comunque, la mondializzazione del mercato, anche se può non significare la totale occidentalizzazione del mondo, signific a però, come accade in Indonesia o in Pakistan, l'imposizione di modelli produttivi e di consumo spesso estranei a tanti popoli del Terzo Mondo. Oltre a queste legittime obiezioni, però, quel che il dibattito ha messo soprattutto in luce è stata l'incapacità di molti degli oltre 200 presenti di confrontarsi con tesi indubbiamente originali qua li quelle di La Cecla. Molti degli intervenuti, infatti, hanno mostrato di non aver compreso il senso con cui queste analisi e proposte venivano fatte, ed hanno quasi sempre contrapposto ad esse i più triti luoghi comuni del sinistrismo "alternativo" quali, ad esempio, la "naturale innocenza" dei popoli extra-occidentali o la visione del mercato come un moloch che eliminerebbe automaticamente qualsiasi possibilità di alternativa. Quanto tale difficoltà di comprensione e comunicazione sia stata profonda è poi stata dimostrata sia dal proseguimento informale di questo dibattito al di là delle sessioni del convegno, sia dal fatto che quasi nessuno ha raccolto, riflettendo su di esso, l'i nvito di La Cecla a pensare alternative libertarie ed egualitarie al mercato che non partano da una assoluta e aprioristica demonizzazione di questo. Insomma, il convegno con cui, meritoriamente, la Mag 6 ha voluto sottolineare i suoi primi dieci anni di vita ha messo in luce che il cammino per l'allargamento della economia alternativa è ancora l ungo non solo per le difficoltà e gli ostacoli ad essa opposti dall'economia dominante, ma anche per la difficoltà che molti di coloro che tale economia alternativa postulano hanno a pensare senza i paraocchi, consolanti e giustificazionisti, della ideologia.

Franco Melandri

Bava Beccaris: Uno di noi

Gironzolando per Milano, quasi casualmente, mi sono imbattuto nella mostra sulle quattro giornate di sangue del maggio 1898 allestita presso l'Umanitaria, tempio laico del riformismo socialista cittadino. Dico quasi casualmente perché a cent'anni da quei tragici avvenimenti pochissimo è stato organizzato ed il comune ha brillato per il suo silen te defilarsi, forse, come qualcuno ha malignato, perché questa giunta polista è la degna erede del moderatismo milanese che con pervicacia escluse le forze popolari (siano esse cattoliche intransigenti o socialiste) dalla vita politica cittadina, anello terminale di una politica nazionale fortemente voluta dalla monarchia sabauda.
In effetti è difficile leggere i moti del '98 senza considerare che sono la punta estrema di una strategia articolata che parte almeno un decennio prima con l'idea crispina di stato forte bismarckiano, aggressivo in politica estera e repressivo nei confronti del nascente movimento operaio e contadino.
È un fine secolo segnato da uno scontro sociale durissimo, di lotte contadine, di società di mutuo soccorso, di leghe operaie che si trovano a fronteggiare una repressione aperta fatta di leggi speciali, galera, confino e moti repressi nel sangue come nel caso dei Fasci siciliani e dei moti di Lunigiana del '94.
In questo crescendo di violenza diventa più evidente che le cannonate sparate sui manifestanti disarmati milanesi, non fossero ordinate da un paranoico generale ma rientrassero in una strategia di più vasta portata condivisa a più livelli e poi, senza andare per il sottile, è chiaro che in un clima di psicosi collettiva nel temere una rivoluzi one imminente, la classe operaia milanese facesse immensamente più paura di qualche bracciante disperato del Polesine.
Ma chi era il "feroce monarchico Bava", come una nota canzone del tempo lo definì?
Chi era il generale Fiorenzo Bava Beccaris che senza indugi guidò ventimila soldati come in una esercitazione nella Piazza D'Armi a compiere uno dei più efferati massacri di civili che la storia ottocentesca italiana ricordi?
Purtroppo la mostra presso l'Umanitaria questa risposta non me l'ha fornita, in aiuto mi è venuto il libro che lo storico Domenico Romita ha appena pubblicato (Il generale, Editrice Esperienze, 1998, Fossano) nel quale vengono riportati ampi stralci del diario privato del generale.
Non stento a riconoscere un vizio di obiettività perché, come a molti di voi, solo a sentire il nome di questo assassino mi viene un attacco di bile; al contrario mano a mano che leggevo le sue carte ne usciva fuori un quadro umano inaspettato: in fondo Bava Beccaris era un ometto reazionario, onestamente convinto di avere a che fare con il mos tro di una rivoluzione armata organizzata, amante delle maniere spicce come tutti i soldati di ogni tempo e nazione. Insomma una persona assolutamente normale. Ecco forse una possibile chiave di lettura: spesso ci si dimentica che la storia è fatta essenzialmente di normalità, di obbedienza alle regole di ossequio all'autorità; di marescialli, di farmacisti e di preti o forse vogliamo credere che la colpa dei grandi macelli si chiama Milosevic, Pol Pot o qualche notabile ruandese e non l'avvallo ordinato che milioni di persone danno ai vari progetti di pulizia etnica, politica o religiosa (e per non sentirci i civili europei fuori da queste barbarie direi anche economica)? Tutto sommato Bava Beccaris era uno dei tanti che ha eseguito gli ordini, convinto del proprio dovere tanto da meritarsi la nomina a senatore del regno e la croce di grande ufficiale dell'ordine militare di Savoia concessa - dice la motivazione ufficiale - "per il grande servizio che rese alle istituzioni ed alla civiltà". Qualche tempo fa D'Alema lanciò uno slogan fortunato: "voglio vivere in un paese normale", beh, a conti fatti, io no.

Dino Taddei

Todos somos Indios del mundo

La carovana "Un ponte in volo per il Chiapas", organizzata dall' Associazione Ya Basta!, partita dall'Italia con fondi e medicinali per le comunità zapatiste e per verificare e denunciare pubblicamente le condizioni indegne della vita al loro interno è riuscita a tenere viva l'attenzione dal primo giorno. Deputati, consiglieri, assessori, giorna listi, un prete e soprattutto militanti dell' associazione e simpatizzanti, 134 italiani che in 10 giorni sono stati insultati, minacciati, aggrediti, e infine espulsi dal governo con rientro forzato e scorta di polizia.
Iniziamo il viaggio dalle comunità che il governo ha preteso di "concederci", come se un' osservazione sui diritti umani possa essere soggetta a itinerari concordati. La realtà che ci troviamo a documentare è intollerabile. Nei municipi La Realidad e Oventic gli abitanti vivono con la paura costante di una repressione armata; l'accerchiamento è pesante, ogni giorno sono sorvolati da mezzi militari in sopralluogo. Le condizioni sociali, economiche degli assediati sono di sottoalimentazione, isolamento, assenza o insufficienza delle strutture sanitarie ed educative. Il municipio di Polhò, "lazzaretto degli sfollati", è sottoposto alla pressione di oltre 10000 persone in fuga dalle loro comunità per non mettere a rischio la vita. In tutte le comunità consegniamo i fondi raccolti grazie all'attivazione di centinaia di sottoscrittori e diversi artisti. A La Realidad si inaugura il progetto di una idroturbina a basso impatto ambientale; a Oventic si consegna la maggior parte dei medicinali presso la clinica La Guadalupana; la gravità della situazione di Polhò spinge a chie dere l' intervento della Croce Rossa Internazionale.
Mentre il nostro arrivo è stato accompagnato da ringraziamenti e sollecitazioni a rimanere da parte delle comunità, i mass media messicani hanno portato avanti una campagna di denigrazione verso gli stranieri, che hanno contrastato l'ambizione del "civile" Messico di venire coinvolto dalle grandi transazioni economiche internazionali.
Nella comunità di Ricardo Flores Magon, ex Taniperlas, dopo le consultazioni per decidere se intraprendere il progetto di autogoverno municipale con le regole dei municipi zapatisti, in maggioranza si è optato per questo tentativo. Il giorno della proclamazione dei risultati il governo ha deciso un intervento militare occupandola stabilmente con 3 corpi armati e permettendo che gli zapatisti venissero impunemente minacciati, aggrediti, costretti alla fuga. Da aprile solo le donne possono vivere nella comunità, garantendosi a fatica la sopravvivenza: lavorano i campi, raccolgono la legna, attingono l'acqua, badano ai figli e alla casa, si difendono dalle aggressioni, dall'uccisione degli animali, dalla distruzione degli attrezzi domestici. Nel dicembre 1997 45 indigeni sostenitori delle rivendicazioni del movimento zapatista sono stati mitragliati e squartati dai gruppi paramilitari nella chiesa di Acteal; per la Ricardo Flores Magon la prospettiva sempre più probabile è di diventare una seconda Acteal.
Per il governo è un municipio filogovernativo (considera solo i residenti attuali), e su questi municipi le responsabilità non sono scaricabili e le fastidiose osservazioni non sono gradite. Precedenti tentativi di verifica sono stati respinti dai priisti (aderenti al Partito Rivoluzionario Istituzionale ndr.) a sassate, con l'impunità garantita.
Arriviamo alla postazione della polizia di frontiera che controlla l'accesso a Ricardo Flores Magon con l'intenzione di forzare un eventuale blocco. La polizia sequestra gli autobus, ci fa scendere e autorizza il passaggio di solo 10 componenti. Rifiutiamo la prospettiva di una visita guidata e decidiamo di proseguire tutti a piedi. Non ci fermano . Proseguiamo per 3 ore la marcia surreale e simbolica, con 80 Km davanti, il sole a picco e la sola certezza di dover aspettare che accada qualcosa. Al quarto svenimento per disidratazione, si impone una sosta allietata prima dalla notizia della disponibilità del sindacato dei camionisti della regione a trasportarci, poi dalla comparsa degli aut obus, dissequestrati per paura che gli svenimenti degenerassero in qualcosa di più serio, ripartiamo.
Al nostro arrivo, le donne ci aspettano. Le donne della carovana le salutano e raccolgono le loro testimonianze e denunce. La tensione sale, si radunano centinaia di contadini filogovernativi chiamati dalle comunità vicine che, ostentando bastoni e machete, ci intimano di andarcene e cercano di spintonarci e di superare il cordone che frapponiamo tra loro e le donne zapatiste. Ci opponiamo senza reazioni violente, resistendo all'impatto, invitando i giornalisti a riprendere, e gli aggressori, sorpresi dalla determinazione si rassegnano alla nostra permanenza. Per ore raccogliamo le testimonianze che documentano ciò che per il governo è inammissibile.
E il governo si arrabbia.
Terminati gli incontri a San Cristobal e la visita al carcere di Cerro Hueco la maggior parte dei componenti della carovana rientra in Italia. Rimangono circa 50 persone che avevano programmato una permanenza più lunga.
Il governo nega però la proroga del visto promessa costringendoli a rivolgersi all'ambasciata per permettere la conversione dei biglietti e l'abbandono del paese prima della scadenza del visto. L' ambasciata, arriva anche a promettere la possibilità di raggiungere Strasburgo, dove si sta discutendo il trattato di integrazione economica UE-Messic o con la clausola vincolante del rispetto dei diritti umani. La disorganizzazione dell'ambasciata ritarda la partenza, le proposte per il rientro si susseguono in maniera disarticolata, fino a quando sembra che ci sia solo da aspettare per un rientro congiunto di tutto il gruppo su un solo aereo. La notizia che ci muta l'umore è l'avvenuto decoll o dell'aereo che stavamo aspettando. Il gioco si comincia a scoprire, siamo bloccati all'interno dell' aeroporto; l'ambasciatore Cabras ignora le nostre richieste di recarci in ambasciata e ci mostra come unica strada percorribile un rientro con un volo charter che ci avrebbe portato a Strasburgo via Madrid. Diffidenti, parliamo con uno pseudo pil ota che, mostrandoci uno pseudo piano di volo ci assicura che la destinazione sarà Madrid, ci imbarchiamo con delle carte d'imbarco che recitano "MAD" come arrivo. A bordo ci comunicano che l'aereo va a Roma; 2 gruppi di 30 poliziotti ci scortano (temevano un dirottamento?). A bordo ci comunicano l'espulsione dal territorio messicano con divieto di reingresso a vita.
Il primo accordo interinale di integrazione economica tra UE e Messico è stato approvato.
Resta da approvare la ratifica nei vari paesi, Italia compresa.
Le donne della Ricardo Flores Magon sono sempre senza i loro uomini, e non fanno previsioni su cosa succederà nel momento in cui la loro situazione non sarà più sotto gli sguardi del mondo.

 

Associazione "Ya basta!"
(Lombardia)

 

Il papa e i Sindonbusters

Sapevamo che non sarebbe stata una passeggiata. Esprimere un punto di vista critico sull'ostensione della Sindone e sulle celebrazioni ad essa connesse non poteva essere agevole in una città che negli ultimi mesi ha visto amministrazioni locali, associazioni di commercianti, clero e forze di polizia strenuamente impegnate a preparare "l'Evento", ripulendo con cura ogni angolo di Torino.
Niente e nessuno doveva rovinare una festa così accuratamente preparata, una festa in cui il sacro e il profano si sono mescolati con apparente innocenza: chi è venuto a Torino ha avuto infatti l'opportunità di unire il momento mistico ad una più profana visita al salone dell'auto, e subito dopo, per gli amanti della cultura si è aperto il sa lone del libro rendendo così equanimemente omaggio a tutti i numi tutelari della città. Pellegrini e cittadini hanno così potuto fare la spola tra il duomo ed il Lingotto, l'antica fabbrica, ormai ripulita e ristrutturata oggi adibita a centro commerciale, centro esposizioni, albergo di lusso e pista di atterraggio per gli elicotteri, senza tut tavia perdere del tutto l'impronta della fatica e dello sfruttamento che generazioni di operai vi hanno lasciato.
Momento culminante dell'intera operazione doveva essere la visita di Wojtila il 24 maggio. In occasione di tale visita i Sindonbusters, una sorta di comitato che vede al proprio interno, oltre alla Federazione Anarchica Torinese, altri gruppi ed associazioni locali, aveva programmato per sabato 23 una festa al Balon con artisti di strada, musica, mostre anticlericali, comizi. Il balon, l'antico mercato illegale degli stracci e dei robivecchi, a due passi dal centro infiocchettato e floreale, che, nonostante i tentativi di normalizzazione in atto da alcuni anni resta uno dei pochi spazi pubblici non normati e non normalizzati della città pareva essere il luogo più consono per una festa de lla vitalità e della libertà nei giorni in cui la Chiesa cattolica celebrava il proprio rito funerario. Il Balon è un luogo reale e simbolico, un vero spazio pubblico in cui il cuore proletario di Torino è ancora pulsante: è il posto dove si incontrano le etnie di mezzo mondo, i punk della prima e dell'ultim'ora, gli amanti dei libri antichi e rari, gli anarchici che spacciano la loro stampa, i barboni a zonzo, chi si incontra con gli amici e chi cerca qualcuno da incontrare, chi vende e chi compra una bicicletta rubata, una cucina usata, un ferro da stiro, una foto d'altri tempi. In una parola il Balon è l'unico posto in cui le tante lenzuola che, come il sudario della Sindone il potere cerca di stendere sulla città non riescono a coprire gli odori, le aspirazioni, i rumori di una città non immemore della propria storia, viva oltre la devastazione di questi anni, non aliena ad uno sguardo scanzonato e fiero verso il futuro.
Ma. C'è sempre un ma. Evidentemente una festa anticlericale ed antireligiosa, la creazione di quello che alcuni di noi hanno chiamato spazio dewojtilizzato, il giorno precedente la visita del papa era un affronto inaccettabile. Altrettanto inaccettabile il corteo annunciato negli ultimi giorni dagli squatter, che prospettava la visita del Papa Gaio, "l'unico papa che non costa nulla e che non ha mai ucciso nessuno". La stampa, la curia e le associazioni dei commercianti si scatenano: i profitti delle loro botteghe sono in pericolo, un pezzo della città vuole tirare la testa fuori dal lenzuolo. Il questore, perfettamente in linea con il proprio ruolo di "difensore delle libertà democrati che" vieta entrambe le manifestazioni. Il signor Faranda, questore di Torino, ci ha informato che vietava la manifestazione "per lo spirito apertamente polemico nei confronti delle celebrazioni connesse all'ostensione della Sacra Sindone" In una parola ci ha informato che in questa città non esiste il diritto di esprimere un'opinione diversa, né di esprimere un punto di vista critico sulla religione cattolica, che oggi più che mai, al di là della forma, è religione di stato. Nel 1900 la regia polizia vietò a Roma una celebrazione del rogo di Giordano Bruno in Campo de fiori con motivazioni di ordine pubblico analoghe a quelle oggi accampate dal "democratico" questore di Torino.
La comunicazione ci giunge mercoledì 20 maggio, quando veniamo convocati in questura: rifiutiamo di firmare la notifica e decidiamo di rispondere a tono a questa negazione di ogni elementare principio di libertà. Nella Torino del 1998 diventa sovversivo persino lo statuto albertino (dopo 150 anni hainoi). La polizia ulivista di una città ulivis ta, di un paese ulivista riesce a dare un carisma "progressista" persino a Camillo Benso di Cavour con il suo arcinoto "libera chiesa in libero stato".
Venerdì 22 alle quattro del pomeriggio veniamo nuovamente convocati in questura. È il momento della dolcezza. Una nutrita rappresentanza di questurini di ogni ordine e grado ci accoglie dichiarando che in fondo, ma molto in fondo, possiamo metterci d'accordo, trovare una soluzione che salvi capra e cavoli. La capra del papa e i cavoli, ossia i pr oblemi di ordine pubblico, della polizia. Possiamo fare la festa se accettiamo una riduzione ed un cambiamento di orario, magari in coincidenza con la prevista manifestazione degli squatter. La proposta ci pare sin troppo smaccatamente una manovra della polizia e quindi pensiamo bene di rifiutarla.
Sabato mattina siamo al Balon alla faccia dei divieti per informare dell'accaduto. Nel pomeriggio, i Sindonbusters si sparpagliano per la città, distribuendo un volantino in cui si dichiara: "non ci vogliono al Balon? Allora saremo dappertutto!" Un gruppo si dirige alla volta del Lingotto, dove il Salone del libro ha richiamato migliaia di person e. Una parte si ferma all'ingresso per un improvvisato presidio, altri entrano al Lingotto. Allo stand della Regione Piemonte, nello spazio riservato alle prenotazioni per l'ostensione, addobbato opportunamente in lilla funerario, una di noi si incatena, mentre gli altri aprono uno striscione, esibiscono la maglietta dell'acchiappasindone. Si impr ovvisano brevi comizi per informare dei motivi della protesta. In breve il Salone va in ebollizione: una piccola folla si stipa nei pressi dello stand della Regione e, immancabili, giungono guardioni Fiat, carabinieri, poliziotti, digos. Il poliziotto buono si alterna con quello cattivo: uno blandisce, l'altro minaccia: entrambi pretendono che ci allontaniamo, ci vengono estorti i documenti. Di fronte al nostro rifiuto di andarcene spontaneamente, veniamo spintonati e circondati, lo striscione viene sequestrato con la forza, i volantini ci sono sottratti: intanto dalla gente accorsa allo stand giungono manifestazioni di solidarietà. Informiamo la polizia che ce ne andremo solo dopo aver terminato i volantini ed a patto che ci vengano restituiti lo striscione e i documenti. Dopo una lunga trattativa la nostra proposta viene accettata.
Nel frattempo al Balon parte, nonostante i divieti, il carnevale papale degli squatter. Il papa gaio dall'alto della sua portantina distribuisce salsicce, beve birra e fuma. E' circondato da flagellanti, monache di Monza, monache bavaresi e da guardie svizzere, impersonate da compagni svizzeri reduci dalle iniziative ginevrine contro l'OMC. La man ifestazione cui intervengono circa 500 persone viene bloccata prima del centro da un imponente schieramento di polizia.
Questa vicenda mostra come, nonostante i divieti, alcune voci fuori dal coro si siano fatte sentire alla vigilia della visita di Wojtila ad un lenzuolo funerario di cui non ci importa irridere l'autenticità, poiché è certo "autentico" nel testimoniare come il cattolicesimo affondi le proprie radici nel dolore, nella morte, nella sofferenza. Que lla stessa cultura della morte che ispira Wojtila nella sua crociata contro l'aborto, nella negazione del diritto alla vita ed alla libertà delle donne, trovando a destra come a sinistra sin troppo solleciti riscontri.
I Sindonbusters continueranno a farsi sentire in città.

  Maria Matteo

 

In nome della legge

Cinque anni di reclusione + l'interdizione dai pubblici uffici + lire 229 milioni di danni da risarcire al Comune di Milano: sono stati di mano pesante i giudici di Milano che l'8 giugno hanno condannato al massimo della pena l'anarchica Patrizia Cadeddu, accusata di essere la "postina" della rivendicazione - depositata davanti alla sede di Radio Popolare - dell'attentato contro la sede del Comune di Milano il 25 aprile dello scorso anno.
Della vicenda ci occupammo a suo tempo su "A" 237 (giugno '97), ospitando poi su "A" 239 (ottobre '97) anche ampi stralci di una lettera dal carcere in cui Patrizia denunciava la montatura nei propri confronti.