Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 28 nr. 245
maggio 1998


Rivista Anarchica Online

Un sudario sulla città
di Maria Matteo

Gli arresti, il suicidio in carcere di Edoardo Massari, i cortei, gli squatter: i fatti di Torino tra cronaca e riflessione

Viviamo un'epoca in cui si potrebbe abolire l'anagrafe, perché l'esistenza non è più certificata burocraticamente da un impiegato sonnolento, cialtrone e pignolo di kafkiana memoria ma decretata dal cono di luce che i mass-media ritengono talvolta di proiettarci addosso. Attenzione, non illudetevi, perché non verrete presto liberati dalle code agli sportelli e dalla necessità di esibire i documenti nelle più svariate occasioni, ma siate tuttavia consapevoli che se avrete la sventura di vedervi puntare addosso un riflettore non sarà facile liberarvene. Persino se lo prenderete a sassate non farete altro che moltiplicare l'attenzione dei media nei vostri confronti. Gli eventi che hanno caratterizzato la primavera torinese ne sono certamente un esempio lampante.
I fatti sono noti: nella notte tra il cinque e il sei marzo la polizia procede all'arresto di tre persone, due delle quali sono tra gli occupanti di una palazzina abbandonata a Collegno, la "Casa Occupada". Le accuse sono gravi: i tre sono definiti fiancheggiatori dei cosiddetti "Lupi Grigi", un'organizzazione che avrebbe firmato alcuni attentati dimostrativi contro il progetto dei treni ad alta velocità in Val di Susa. Ne consegue pertanto un'imputazione non solo per reati specifici ma anche per associazione sovversiva. Uno dei tre, Edoardo Massari , "Baleno", qualche anno fa aveva già scontato una lunga carcerazione per un petardo che stava confezionando nel suo laboratorio per la riparazione delle biciclette. Il petardo gli era scoppiato in mano e lui era stato arrestato all'ospedale di Ivrea cui si era rivolto per ricevere delle cure.
La sera di quello stesso cinque marzo vengono compiute "perquisizioni" in tre posti occupati: oltre alla Casa di Collegno, carabinieri e polizia visitano l'Asilo di via Alessandria e l'Alcova di C.so S. Maurizio a Torino. L'operazione nei confronti dei cosiddetti "Lupi Grigi" si trasforma presto in vero e proprio tentativo di sgombero dei tre posti. La Casa, dopo una lunga perquisizione, viene murata. Un tentativo analogo fallisce all'Alcova, dove la pronta reazione degli occupanti mantiene il posto aperto dopo la perquisizione. All'Asilo si verifica l'episodio più grave, poiché i poliziotti devastano i locali dello squat, distruggendo le suppellettili, rompendo i vetri, facendo a pezzi ogni cosa, arrivando ad urinare sui materassi degli occupanti. L'Asilo viene quindi sgomberato e murato. Il giorno successivo riesce, dopo lunghe ore di assedio da parte di carabinieri e polizia, il tentativo di rioccupare l'edificio.
Un corteo di protesta svoltosi nello stesso giorno viene violentemente caricato dalla polizia, che insegue e malmena manifestanti e passanti. Alcuni dimostranti durante la fuga infrangono le vetrine di alcuni negozi: quattordici persone vengono fermate e rilasciate nel corso dei successivi due giorni: sei di loro sono denunciate a piede libero.
Sabato 7 marzo le forze di polizia controllano strettamente il Balon, il mercato degli stracci di Torino, dove dovrebbe svolgersi una manifestazione che i principali mezzi di comunicazione annunciano con "preoccupazione". Mentre la polizia attende i "facinorosi", circa duecento tra occupanti dei centri sociali, squatters ed anarchici si dirige alla spicciolata in centro, nel luogo ove il regista Amelio sta girando un film, ed interrompe le riprese per spiegare i fatti dei due giorni precedenti. I lavoratori della troupe accettano di fermare brevemente le riprese ed esprimono la loro solidarietà ai manifestanti.

Il Signore della Collina
I fatti sin qui succintamente descritti si sono svolti nell'arco di soli tre giorni, tre giorni nei quali l'attenzione dei media si è improvvisamente ed imprevedibilmente riversata su Torino e sul fenomeno degli squatter, con un'attenzione che rendeva degno il termine "fenomeno" di tutta la sua ambivalenza semantica. All'improvviso i posti occupati di Torino e coloro che li abitano e vi svolgono attività ricevono i dubbi onori della ribalta: all'improvviso una realtà cittadina la cui storia è ormai ultradecennale occupa le prime pagine dei giornali. Poche vetrine rotte fanno sì che fiocchino le interrogazioni in consiglio comunale, si mobilitino le associazioni dei commercianti, nasca un comitato anti-squatters, le destre, ma non solo, chiedano interventi repressivi ed organizzino un corteo di protesta. Il tono generale è improntato all'indignazione. Vi è una sola, rilevante eccezione, che segnalo perché foriera di significativi sviluppi. Il professor Gallino, sociologo di fama, dalla prima pagina de "La Stampa" rivolge un appello alla comprensione ed al dialogo. La sua presa di posizione è importante, perché, come mi ha fatto rilevare Roberto Prato, anarchico e filosofo, nonché fine conoscitore delle sottili dinamiche della città della Mole, "uno come Gallino non si scomoda se non come portavoce del Signore della Collina, il successore di Emanuele Filiberto". L'Avvocato, per bocca di tanto autorevole studioso, ci fa così sapere che: "capirli e conoscerli non può essere il compito di poliziotti, di assistenti sociali e nemmeno di sociologi di campagna. Dovrebbe essere semmai qualcuno di loro, o che con loro è vissuto a lungo, ad assumere il ruolo di mediatore non politico ma culturale. Per spiegare a chi li sappia ascoltare chi sono questi giovani, che cosa vogliono, quali risorse e quali spazi individuali e collettivi potrebbero consentire loro di vivere la vita che vogliono, senza rovinare quella degli altri. Perché questi giovani fanno parte della nostra società, e se non riusciamo a ridare loro un qualche senso di cittadinanza, sarà peggio per tutti. Anche perché dietro questi ventenni ci sono schiere di dodicenni e quindicenni che cominciano a pensare che da grandi vorrebbero fare pure loro i casseurs."
Il Signore della Collina, che ben conosce la "sua" città, suggerisce una politica della carota ad un'amministrazione comunale che l'ha visto tra i suoi non secondari sostenitori. Nonostante i suoi autorevoli suggerimenti l'ala dura della giunta, rappresentata dal vicesindaco Carpanini, nonché le destre in tutte le loro articolazioni continuano per svariati giorni a chiedere la chiusura dei posti occupati ed il ripristino della legalità.
Nei fatti Castellani, forse meno preoccupato del Senatore per il futuro più remoto, ma certamente assai ansioso per quello immediato, che vede all'orizzonte qualche milione di pellegrini in arrivo per la prossima ostensione della Sindone, si affretta ad affermare di non avere alcuna intenzione di sgomberare i centri e di considerare gli avvenimenti del cinque marzo come mera operazione di polizia, legata ad una specifica inchiesta.
Il 14 marzo, in un'atmosfera tesa ma senza alcun incidente, si svolge un corteo per la liberazione dei tre arrestati cui aderiscono tutti gli squat ed i centri sociali di Torino.
Nel frattempo Edoardo Massari, Soledad Rosas e Silvano Pellissero vengono additati dalla stampa come "ecoterroristi", nonostante le prove che li collegherebbero agli attentati in Val di Susa appaiano fragili e lacunose: una pipe-bomb che parrebbe non essere altro che un grosso bengala, alcune bottiglie di benzina ed alcune intercettazioni ambientali che persino La Stampa arriverà a definire poco attendibili.

Val di Susa e alta velocità
Sempre più si ha la sensazione che i tre anarchici siano il capro espiatorio di una vicenda dai contorni ben più ampi ed inquietanti. La Val di Susa in questi anni è stata il teatro di vicende mai del tutto chiarite in cui si sono andati intrecciando interessi legati alle commesse per le grandi opere che l'hanno devastata e ancora la stanno devastando, nonostante le mobilitazioni degli ambientalisti e l'opposizione sempre più forte della popolazione locale. Il progetto per i treni ad alta velocità, che dovrebbe proiettare in Europa il decadente capitalismo subalpino, non è che l'ultima tra le grandi opere che stanno trasformando una delle più belle valli alpine in un immenso intrico di cemento, asfalto e rotaie. Ricordo che ancor prima dell'alta velocità ferroviaria è giunta in valle l'autostrada con il suo corollario di devastazioni ambientali e intrighi che vedono coinvolti esponenti dei servizi di sicurezza e la società che ha ottenuto l'appalto per la costruzione. La vicenda vede al suo centro Germano Tessari, un maresciallo dei carabinieri, già nel servizio antiterrorismo di Dalla Chiesa, che, passato alla politIca, denuncerà la corruzione della Sitaf (non dimentichiamo che Bardonecchia è l'unico comune del norditalia che sia stato commissariato per collusioni mafiose) ma, solo tre anni dopo, nel '95, terminata la carriera politica, verrà assunto dalla Sitaf come responsabile per la sicurezza per tutelarsi dai rischi di attentati. All'inizio del '95 nei cantieri dell'autostrada vengono più volte ritrovati ingenti quantitativi di esplosivo: dopo l'assunzione dell'ex-maresciallo i ritrovamenti cessano. Questa vicenda si intreccia con quella di un traffico d'armi che vede l'ex-maresciallo denunciare un altro personaggio legato ai servizi, Franco Fuschi, che, oltre ad autoaccusarsi di ben undici omicidi, di traffico d'armi ed esplosivi per conto dei servizi, finirà con l'accusare lo stesso Tessari. Tuttavia nonostante Edoardo, Silvano e Soledad siano accusati di fatti minori e che assolutamente nulla li colleghi con i tredici attentati contro l'alta velocità, avvenuti tra l'agosto del '96 ed il novembre del '97 il loro arresto verrà convalidato alla fine di marzo.
Nella notte tra il 27 ed il 28 marzo Edoardo Massari viene trovato impiccato nella sua cella. Nessuno potrà mai sapere cosa sia avvenuto quella notte: è però certo lo stato di depressione in cui si trovava, confermato dal consigliere regionale verde Cavaliere che lo aveva più volte visitato in carcere. Il magistrato, che ben conosceva questo fatto, aveva disposto che, sebbene fosse terminato il periodo di isolamento, Massari restasse in cella da solo. Molti, e non solo gli anarchici, hanno subito parlato di suicidio di stato, determinato dalla campagna di criminalizzazione operata nei suoi confronti da politici e media. Quel che a mio avviso questa tragica vicenda ci ricorda è che di carcere si muore, che la privazione della libertà è per alcuni un male peggiore della morte e che tale doveva certamente essere per un anarchico come Baleno.
Come in quei film da quattro soldi in cui i repentini cambiamenti di scena rappresentano il modo migliore per reggere una trama assai esile, all'improvviso il quadro cambia. Gli stessi politici ed i medesimi giornalisti che si erano affrettati a dipingere i tre arrestati come terroristi ed i posti occupati come covi di ecoterroristi al punto che Torino di colpo pareva piombata in piena "anarchia", mutano repentinamente di registro: il suicidio di Baleno ne diviene il vettore potente. La sua morte ha convinto la sinistra al potere a sostituire al manganello la carota: come d'incanto gli ecoterroristi si trasformano in ragazzi disadattati con i quali aprire un dialogo, per allentare la tensione ed arrivare in tutta tranquillità all'ostensione della Sindone ed alla visita del pontefice.
Niente deve rovinare la festa e gli affari ai poteri forti della città. Le esortazioni del sociologo Gallino vengono fatte proprie da molti. Il parlamentare ulivista Furio Colombo, già nel consiglio di amministrazione della Overseas Union Bank & Trust, lo sportello aperto dalla Fiat nelle Bahamas per i vari managers bisognosi di fondi neri, che, dopo le vetrine del centro infrante, si era affrettato a chiedere provvedimenti repressivi, si unisce anche lui al coro buonista levatosi dopo il suicidio di Edoardo Massari.
Un gruppo di intellettuali, peraltro di ben altra levatura morale, tra i quali Revelli, Ciotti, Cremaschi, De Luna, Tranfaglia, Cavaliere, Lorenzoni, Bontempi, Alberionesi, si offrono prontamente per il ruolo di mediatori tra i ragazzi dei centri sociali e la città.

Trasformazione sociale profonda
Il loro tentativo, sebbene certo in buona fede, non coglie un dato importante: gli squatters, nonostante alcune analogie comportamentali, non possono essere liquidati semplicemente come espressione priva di parola e di rappresentanza di un vuoto sociale che pure certo è sempre più palpabile in una città ormai da quasi due decenni in bilico tra le rovine di una storia industriale ed operaia, che sempre più si coniuga al passato, e le aspirazioni non ben riuscite a cittadella della tecnologia avanzata. Gli squatters hanno il loro linguaggio e non aspirano ad alcuna forma di rappresentanza: sono l'espressione non mediata ed autentica di una ribellione che non rimanda ad altro che a se stessa, di una volontà di vivere fuori da quello che chiamano "lavora, produci, crepa". Certo per chi, e mi ci metto anch'io, continua a pensare la necessità di una trasformazione sociale profonda come processo rivoluzionario che radicalmente ridisegni l'ordine sociale, il loro approccio appare carente, privo di tensione progettuale. È però profondamente ingiusto negarne la soggettività, non capendo o fingendo di non capire che le loro sono precise scelte politiche, sociali ed esistenziali e non meri prodotti del disagio urbano ed erigersi, come fanno oggi anche altri non certo in buona fede, come il rappresentante dei centri sociali del nordest Luca Casarini, al ruolo di mediatori culturali o politici.
Mentre scrivo si è da poco conclusa la grande manifestazione che ha visto convergere a Torino diecimila persone, in gran parte anarchici. Abbiamo sfilato in una città militarizzata e timorosa per ricordare al Signore della Collina, all'amministrazione ulivista in un paese ulivista, pronta per la grande kermesse dell'ostensione della Sindone, che sarà difficile trovare un sudario abbastanza grande per coprire le crepe che sempre più attraversano il tessuto sociale di una città che dietro le grigie facciate dei suoi palazzi ha tanti volti. Lungo il corteo dai balconi di uno di questi palazzi è apparsa una bandiera nera con una A cerchiata, nel giardino antistante il mostruoso nuovo
Palagiustizia, costato miliardi ma vuoto e spettrale come le vecchie fabbriche in disuso della periferia industriale, giocano bambini incuranti delle migliaia di poliziotti in assetto di guerra. Un vecchio gappista in bicicletta viene a portarci la sua solidarietà.
Dopo il corteo sul camioncino in cui siamo stipati in trenta e che ci porta verso la vecchia sede di Corso Palermo cantiamo stonati ma contenti Figli dell'officina, Addio Lugano bella ed in tanti lungo la strada ci salutano. Davanti alla sede la panetteria abbassa le serrande ma dal bar esce un uomo e tende il braccio con il pugno chiuso.