Rivista Anarchica Online
Un sudario sulla città
di Maria Matteo
Gli arresti, il suicidio in carcere di Edoardo Massari, i cortei, gli squatter: i fatti di Torino tra cronaca e riflessione
Viviamo un'epoca in cui si potrebbe abolire l'anagrafe, perché l'esistenza
non è più certificata burocraticamente
da un impiegato sonnolento, cialtrone e pignolo di kafkiana memoria ma decretata dal cono di luce che i
mass-media ritengono talvolta di proiettarci addosso. Attenzione, non illudetevi, perché non verrete presto
liberati
dalle code agli sportelli e dalla necessità di esibire i documenti nelle più svariate occasioni, ma
siate tuttavia
consapevoli che se avrete la sventura di vedervi puntare addosso un riflettore non sarà facile liberarvene.
Persino
se lo prenderete a sassate non farete altro che moltiplicare l'attenzione dei media nei vostri confronti. Gli eventi
che hanno caratterizzato la primavera torinese ne sono certamente un esempio lampante. I fatti sono noti:
nella notte tra il cinque e il sei marzo la polizia procede all'arresto di tre persone, due delle quali
sono tra gli occupanti di una palazzina abbandonata a Collegno, la "Casa Occupada". Le accuse sono gravi: i tre
sono definiti fiancheggiatori dei cosiddetti "Lupi Grigi", un'organizzazione che avrebbe firmato alcuni attentati
dimostrativi contro il progetto dei treni ad alta velocità in Val di Susa. Ne consegue pertanto
un'imputazione non
solo per reati specifici ma anche per associazione sovversiva. Uno dei tre, Edoardo Massari , "Baleno", qualche
anno fa aveva già scontato una lunga carcerazione per un petardo che stava confezionando nel suo
laboratorio per
la riparazione delle biciclette. Il petardo gli era scoppiato in mano e lui era stato arrestato all'ospedale di Ivrea
cui si era rivolto per ricevere delle cure. La sera di quello stesso cinque marzo vengono compiute
"perquisizioni" in tre posti occupati: oltre alla Casa di
Collegno, carabinieri e polizia visitano l'Asilo di via Alessandria e l'Alcova di C.so S. Maurizio a Torino.
L'operazione nei confronti dei cosiddetti "Lupi Grigi" si trasforma presto in vero e proprio tentativo di sgombero
dei tre posti. La Casa, dopo una lunga perquisizione, viene murata. Un tentativo analogo fallisce all'Alcova, dove
la pronta reazione degli occupanti mantiene il posto aperto dopo la perquisizione. All'Asilo si verifica l'episodio
più grave, poiché i poliziotti devastano i locali dello squat, distruggendo le suppellettili, rompendo
i vetri, facendo
a pezzi ogni cosa, arrivando ad urinare sui materassi degli occupanti. L'Asilo viene quindi sgomberato e murato.
Il giorno successivo riesce, dopo lunghe ore di assedio da parte di carabinieri e polizia, il tentativo di rioccupare
l'edificio. Un corteo di protesta svoltosi nello stesso giorno viene violentemente caricato dalla polizia, che
insegue e
malmena manifestanti e passanti. Alcuni dimostranti durante la fuga infrangono le vetrine di alcuni negozi:
quattordici persone vengono fermate e rilasciate nel corso dei successivi due giorni: sei di loro sono denunciate
a piede libero. Sabato 7 marzo le forze di polizia controllano strettamente il Balon, il mercato degli stracci
di Torino, dove
dovrebbe svolgersi una manifestazione che i principali mezzi di comunicazione annunciano con
"preoccupazione". Mentre la polizia attende i "facinorosi", circa duecento tra occupanti dei centri sociali, squatters
ed anarchici si dirige alla spicciolata in centro, nel luogo ove il regista Amelio sta girando un film, ed interrompe
le riprese per spiegare i fatti dei due giorni precedenti. I lavoratori della troupe accettano di fermare brevemente
le riprese ed esprimono la loro solidarietà ai manifestanti.
Il Signore della Collina I fatti sin qui succintamente descritti si sono svolti
nell'arco di soli tre giorni, tre giorni nei quali l'attenzione dei
media si è improvvisamente ed imprevedibilmente riversata su Torino e sul fenomeno degli squatter, con
un'attenzione che rendeva degno il termine "fenomeno" di tutta la sua ambivalenza semantica. All'improvviso
i posti occupati di Torino e coloro che li abitano e vi svolgono attività ricevono i dubbi onori della ribalta:
all'improvviso una realtà cittadina la cui storia è ormai ultradecennale occupa le prime pagine dei
giornali. Poche
vetrine rotte fanno sì che fiocchino le interrogazioni in consiglio comunale, si mobilitino le associazioni
dei
commercianti, nasca un comitato anti-squatters, le destre, ma non solo, chiedano interventi repressivi ed
organizzino un corteo di protesta. Il tono generale è improntato all'indignazione. Vi è una sola,
rilevante
eccezione, che segnalo perché foriera di significativi sviluppi. Il professor Gallino, sociologo di fama,
dalla prima
pagina de "La Stampa" rivolge un appello alla comprensione ed al dialogo. La sua presa di posizione è
importante,
perché, come mi ha fatto rilevare Roberto Prato, anarchico e filosofo, nonché fine conoscitore
delle sottili
dinamiche della città della Mole, "uno come Gallino non si scomoda se non come portavoce del Signore
della
Collina, il successore di Emanuele Filiberto". L'Avvocato, per bocca di tanto autorevole studioso, ci fa
così sapere
che: "capirli e conoscerli non può essere il compito di poliziotti, di assistenti sociali e nemmeno di
sociologi di
campagna. Dovrebbe essere semmai qualcuno di loro, o che con loro è vissuto a lungo, ad assumere il
ruolo di
mediatore non politico ma culturale. Per spiegare a chi li sappia ascoltare chi sono questi giovani, che cosa
vogliono, quali risorse e quali spazi individuali e collettivi potrebbero consentire loro di vivere la vita che
vogliono, senza rovinare quella degli altri. Perché questi giovani fanno parte della nostra società,
e se non
riusciamo a ridare loro un qualche senso di cittadinanza, sarà peggio per tutti. Anche perché dietro
questi ventenni
ci sono schiere di dodicenni e quindicenni che cominciano a pensare che da grandi vorrebbero fare pure loro i
casseurs." Il Signore della Collina, che ben conosce la "sua" città, suggerisce una politica della carota
ad un'amministrazione
comunale che l'ha visto tra i suoi non secondari sostenitori. Nonostante i suoi autorevoli suggerimenti l'ala dura
della giunta, rappresentata dal vicesindaco Carpanini, nonché le destre in tutte le loro articolazioni
continuano
per svariati giorni a chiedere la chiusura dei posti occupati ed il ripristino della legalità. Nei fatti
Castellani, forse meno preoccupato del Senatore per il futuro più remoto, ma certamente assai ansioso
per quello immediato, che vede all'orizzonte qualche milione di pellegrini in arrivo per la prossima ostensione
della Sindone, si affretta ad affermare di non avere alcuna intenzione di sgomberare i centri e di considerare gli
avvenimenti del cinque marzo come mera operazione di polizia, legata ad una specifica inchiesta. Il 14 marzo,
in un'atmosfera tesa ma senza alcun incidente, si svolge un corteo per la liberazione dei tre arrestati
cui aderiscono tutti gli squat ed i centri sociali di Torino. Nel frattempo Edoardo Massari, Soledad Rosas e
Silvano Pellissero vengono additati dalla stampa come
"ecoterroristi", nonostante le prove che li collegherebbero agli attentati in Val di Susa appaiano fragili e lacunose:
una pipe-bomb che parrebbe non essere altro che un grosso bengala, alcune bottiglie di benzina ed alcune
intercettazioni ambientali che persino La Stampa arriverà a definire poco attendibili.
Val di Susa e alta velocità Sempre più si ha la sensazione che
i tre anarchici siano il capro espiatorio di una vicenda dai contorni ben più
ampi ed inquietanti. La Val di Susa in questi anni è stata il teatro di vicende mai del tutto chiarite in cui
si sono
andati intrecciando interessi legati alle commesse per le grandi opere che l'hanno devastata e ancora la stanno
devastando, nonostante le mobilitazioni degli ambientalisti e l'opposizione sempre più forte della
popolazione
locale. Il progetto per i treni ad alta velocità, che dovrebbe proiettare in Europa il decadente capitalismo
subalpino,
non è che l'ultima tra le grandi opere che stanno trasformando una delle più belle valli alpine in
un immenso
intrico di cemento, asfalto e rotaie. Ricordo che ancor prima dell'alta velocità ferroviaria è giunta
in valle
l'autostrada con il suo corollario di devastazioni ambientali e intrighi che vedono coinvolti esponenti dei servizi
di sicurezza e la società che ha ottenuto l'appalto per la costruzione. La vicenda vede al suo centro
Germano
Tessari, un maresciallo dei carabinieri, già nel servizio antiterrorismo di Dalla Chiesa, che, passato alla
politIca,
denuncerà la corruzione della Sitaf (non dimentichiamo che Bardonecchia è l'unico comune del
norditalia che
sia stato commissariato per collusioni mafiose) ma, solo tre anni dopo, nel '95, terminata la carriera politica,
verrà
assunto dalla Sitaf come responsabile per la sicurezza per tutelarsi dai rischi di attentati. All'inizio del '95 nei
cantieri dell'autostrada vengono più volte ritrovati ingenti quantitativi di esplosivo: dopo l'assunzione
dell'ex-maresciallo i ritrovamenti cessano. Questa vicenda si intreccia con quella di un traffico d'armi che vede
l'ex-maresciallo denunciare un altro personaggio legato ai servizi, Franco Fuschi, che, oltre ad autoaccusarsi di
ben undici omicidi, di traffico d'armi ed esplosivi per conto dei servizi, finirà con l'accusare lo stesso
Tessari.
Tuttavia nonostante Edoardo, Silvano e Soledad siano accusati di fatti minori e che assolutamente nulla li colleghi
con i tredici attentati contro l'alta velocità, avvenuti tra l'agosto del '96 ed il novembre del '97 il loro
arresto verrà
convalidato alla fine di marzo. Nella notte tra il 27 ed il 28 marzo Edoardo Massari viene trovato impiccato
nella sua cella. Nessuno potrà mai
sapere cosa sia avvenuto quella notte: è però certo lo stato di depressione in cui si trovava,
confermato dal
consigliere regionale verde Cavaliere che lo aveva più volte visitato in carcere. Il magistrato, che ben
conosceva
questo fatto, aveva disposto che, sebbene fosse terminato il periodo di isolamento, Massari restasse in cella da
solo. Molti, e non solo gli anarchici, hanno subito parlato di suicidio di stato, determinato dalla campagna di
criminalizzazione operata nei suoi confronti da politici e media. Quel che a mio avviso questa tragica vicenda ci
ricorda è che di carcere si muore, che la privazione della libertà è per alcuni un male
peggiore della morte e che
tale doveva certamente essere per un anarchico come Baleno. Come in quei film da quattro soldi in cui i
repentini cambiamenti di scena rappresentano il modo migliore per
reggere una trama assai esile, all'improvviso il quadro cambia. Gli stessi politici ed i medesimi giornalisti che
si erano affrettati a dipingere i tre arrestati come terroristi ed i posti occupati come covi di ecoterroristi al punto
che Torino di colpo pareva piombata in piena "anarchia", mutano repentinamente di registro: il suicidio di Baleno
ne diviene il vettore potente. La sua morte ha convinto la sinistra al potere a sostituire al manganello la carota:
come d'incanto gli ecoterroristi si trasformano in ragazzi disadattati con i quali aprire un dialogo, per allentare
la tensione ed arrivare in tutta tranquillità all'ostensione della Sindone ed alla visita del
pontefice. Niente deve rovinare la festa e gli affari ai poteri forti della città. Le esortazioni del
sociologo Gallino vengono
fatte proprie da molti. Il parlamentare ulivista Furio Colombo, già nel consiglio di amministrazione della
Overseas
Union Bank & Trust, lo sportello aperto dalla Fiat nelle Bahamas per i vari managers bisognosi di fondi neri,
che,
dopo le vetrine del centro infrante, si era affrettato a chiedere provvedimenti repressivi, si unisce anche lui al coro
buonista levatosi dopo il suicidio di Edoardo Massari. Un gruppo di intellettuali, peraltro di ben altra levatura
morale, tra i quali Revelli, Ciotti, Cremaschi, De Luna,
Tranfaglia, Cavaliere, Lorenzoni, Bontempi, Alberionesi, si offrono prontamente per il ruolo di mediatori tra i
ragazzi dei centri sociali e la città.
Trasformazione sociale profonda Il loro tentativo, sebbene certo in buona fede,
non coglie un dato importante: gli squatters, nonostante alcune
analogie comportamentali, non possono essere liquidati semplicemente come espressione priva di parola e di
rappresentanza di un vuoto sociale che pure certo è sempre più palpabile in una città
ormai da quasi due decenni
in bilico tra le rovine di una storia industriale ed operaia, che sempre più si coniuga al passato, e le
aspirazioni
non ben riuscite a cittadella della tecnologia avanzata. Gli squatters hanno il loro linguaggio e non aspirano ad
alcuna forma di rappresentanza: sono l'espressione non mediata ed autentica di una ribellione che non rimanda
ad altro che a se stessa, di una volontà di vivere fuori da quello che chiamano "lavora, produci, crepa".
Certo per
chi, e mi ci metto anch'io, continua a pensare la necessità di una trasformazione sociale profonda come
processo
rivoluzionario che radicalmente ridisegni l'ordine sociale, il loro approccio appare carente, privo di tensione
progettuale. È però profondamente ingiusto negarne la soggettività, non capendo o
fingendo di non capire che le
loro sono precise scelte politiche, sociali ed esistenziali e non meri prodotti del disagio urbano ed erigersi, come
fanno oggi anche altri non certo in buona fede, come il rappresentante dei centri sociali del nordest Luca Casarini,
al ruolo di mediatori culturali o politici. Mentre scrivo si è da poco conclusa la grande manifestazione
che ha visto convergere a Torino diecimila persone,
in gran parte anarchici. Abbiamo sfilato in una città militarizzata e timorosa per ricordare al Signore della
Collina,
all'amministrazione ulivista in un paese ulivista, pronta per la grande kermesse dell'ostensione della Sindone,
che sarà difficile trovare un sudario abbastanza grande per coprire le crepe che sempre più
attraversano il tessuto
sociale di una città che dietro le grigie facciate dei suoi palazzi ha tanti volti. Lungo il corteo dai balconi
di uno
di questi palazzi è apparsa una bandiera nera con una A cerchiata, nel giardino antistante il mostruoso
nuovo Palagiustizia, costato miliardi ma vuoto e spettrale come le vecchie fabbriche in disuso della periferia
industriale,
giocano bambini incuranti delle migliaia di poliziotti in assetto di guerra. Un vecchio gappista in bicicletta viene
a portarci la sua solidarietà. Dopo il corteo sul camioncino in cui siamo stipati in trenta e che ci porta
verso la vecchia sede di Corso Palermo
cantiamo stonati ma contenti Figli dell'officina, Addio Lugano bella ed in tanti lungo la strada ci salutano.
Davanti alla sede la panetteria abbassa le serrande ma dal bar esce un uomo e tende il braccio con il pugno
chiuso.
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