Rivista Anarchica Online
Femminismo
FATTI DI PENSIERO.... L'interpretazione cammina su un
bizzarro esercizio di dogmatismo. Essa infatti dice molto di più
dell'interpretante che dell'interpretato e come in un accecante gioco di specchi si perde il senso della riflessione:
immagine reale confusa nell'immagine rispecchiata. Si perde il bandolo dell'intrigo, ma la perdita può
mettere
in cammino. Mi sembra di intravedere nello scompiglio della contraddittorietà l'antico, fondante, logico
principio
di identità (ovvero di non contraddizione... quando si dice l'ironia del nome...) di aristotelica fattura. Il
principio
che ha governato quale impalcatura filosofica tutto il pensiero occidentale, che porta con sé l'esercizio
della
fallacia dogmatica. E da cui si fa fatica a partire. Inutile nasconderla, essa salta fuori nei pensieri e nei
linguaggi contemporanei, tanto simili in questo essere
accomunante da qualificarli, senza timore di essere ritenuta affetta da sindrome nichilistica, monopensiero e
monolinguaggio, cioè niente pensiero, niente linguaggio. Da qui il senso di miseria e di grigiore che
spesso
avvolge situazioni e fatti, proposte e controproposte, fino ai futuribili scenari immaginabili e immaginati avanzati
da "Cyberfemministe e queer" (A 242, febbraio '98) Mi sia concessa la fiducia di considerare
quanto sopra espresso non il frutto di una mia interpretazione, ma la
messa in parole di uno sconcertante fastidio avvertito con la lettura di quell'articolo e, in particolar modo,
dell'intervista alle redattrici di "Fikafutura". Alcune affermazioni lì riportate: "... Se nuovi
grimaldelli ci aprono inaspettati orizzonti interpretativi della realtà o ci danno addirittura accesso
a nuove realtà... se tutto questo fa saltare in aria il vecchio simbolico, che senso ha continuare a speculare
intorno alla differenza tra uomo e donna?" (in riferimento al pensiero della biologa americana Donna
Haraway);
e ancora "...nel panorama abbastanza a senso unico del femminismo di casa nostra, incanalato
principalmente
in quello che passa come "il pensiero della differenza", Cromosoma X fa indubbiamente un lavoro di
frontiera..."; "...l'obiettivo finale della rivoluzione femminista deve essere... non solo l'eliminazione del privilegio
maschile, ma della stessa distinzione dei sessi". Che pensare, che dire? Ignoranza della vasta
letteratura prodotta dalle filosofe della differenza?; affrettata ma non
malevola critica a quanto passa del pensiero sulla differenza?; superficiali affermazioni spinte fuori
dall'esuberanza di chi si sente portatrice di un verbo salvifico? Non so, non so dire. Vero è che tutte le
scuse da
me supposte sono quantomeno mortificanti, per chi le accampa e per chi se ne serve. Allora mi do una mossa e
replico su altri livelli. Ammesso e non concesso di avere in mano nuovi grimaldelli che apriranno nuovi
orizzonti, come si fa, a mani
nude, asserire disinvoltamente che pensiero della differenza equivale a disquisizione sulle differenze uomo/donna,
come se fossero già lì ben confezionate e precotte? Evidentemente ciò che asserisce
l'articolista, e chi per essa,
corrisponde a tutto quanto ha saputo leggere di quel pensiero o, peggio, a quanto ha saputo interpretare. Ma resto
ai fatti che nella dimensione del pensiero sono parole e lettere articolate in varie combinazioni. Non ho mai
trovato una sola riga o una sola frase che mi abbia condotto a concludere in tal senso: ossia di essermene ritornata
con così poco e superfluo dire. Anzi, adesso che ne posso scrivere, essendomi coinvolta in quel pensiero
alla
ricerca di qualcosa che fosse anche mio, affermo con certezza - certezza tutta mia, sia ben chiaro e non certezza
interpretativa - di aver capito proprio il contrario. E poiché ho affrontato il pensiero della differenza dove
esso
vive e parla, e non disposta ad entrare in uno dei molti conventi che danno voce ad altrettanti dogmi â la
carte,
mi sento di dire che di confronto con l'uomo se ne parla alla luce del senso libero della differenza
femminile; e
se c'è (stato) confronto esso è (riconosciuto quale) ingombro da rimuovere per trovare misure che
in quello stesso
senso si ritagliano. Secolare e ignobile abitudine, dispositivo di potere e di dominio è affermare
creando rivali e soppiantando
avversari. Non è forse questa la lingua parlata proprio dai confessionalismi tuttora
imperanti? Quest'anno al seminario pubblico di "Diotima", comunità filosofica operante
all'Università di Verona da oltre
quindici anni, hanno tenuto lezione alcune donne - perfette sconosciute per intendersi, senza titoli e senza poteri
carismatici, ma forti dell'autorità del loro sapere esperienzale, guadagnato dalle esistenze proprie (le
filosofe della
differenza lo nominano "opera femminile di civiltà"), ebbene queste donne molto diverse tra loro hanno
dato
lezioni sul tema: "Saperi e sapori dell'esperienza". Bidella, infermiera, maestra, psicanalista, madre di famiglia,
donna algerina nella quotidianità dei massacri integralisti, hanno raccontato un'eccellenza propria che non
ostacola un'eccellenza di altre e di altre: basta, e non è né poco, né facile, che la si sappia
ascoltare e riconoscere
come propria di chi la compie. Ma per trovare l'eccellenza, semplicemente per dire come stanno le cose, mi
imbatto nell'inevitabilità storica e culturale dell'inadeguatezza del pensiero e del linguaggio: questi quasi
sinonimi
nell'ambito delle connessioni logiche e sintattiche. Il vecchio Simbolico scalzabile a colpi di nuovi
grimaldelli?! La novità sta forse nel sostituire un vecchio con un nuovo
vecchio? Affinché tutto rimanga com'è occorre cambiare tutto... il qualcos'altro, se non viene
dissodato e macerato, sovente
resta l'altro dentro di noi che, quando esce, ci riporta dentro, magari nella fantasmatica aspettativa di accesso a
realtà nuove. Il progresso mi sembrerebbe un ripetersi di nuovo. E il vecchio nuovo ha scalzato il
differente - precisa etimologia
dis/fero, porto altrove - differente che c'è qui ed ora, ma si con/fonde appunto
con il nuovo... pensiero, soggetto,
realtà, ecc.... ecc..... Cosicché differente è futuro e il presente assente per eccellenza.
L'ordine delle parole gioca
begli scherzi! Forse chi asserisce quanto sopra riportato dall'articolo non ha avuto modo di domandarsi o di
verificare cosa
vogliano dire per lei, per lui, per loro: 'oltre l'uguaglianza', 'pratica delle relazioni', 'partire da sé', 'politica
del
desiderio', 'sistema dei diritti come tirannia democratica', 'pari opportunità come miseria
dell'omologazione',
'azione perfetta' agita e significata che non si cura dei frutti, che è così fine a se stessa da essere
assolutamente
trasparente. E questa fine trasparenza fa spazio alla pratica della libertà, 'alla messa al mondo del
mondo'. Non vende modelli
precostituiti, ma arrichisce l'orizzonte simbolico dove può starci di tutto, dal computer alla partita di
tennis, dai
figli al lavoro, dalla filosofia alla letteratura, purché le pratiche o anche una sola di esse non pretenda di
essere
unica e identica, il mezzo e lo scopo, l'orizzonte e il simbolico. Eppure le virgolette racchiudono solo alcuni
dei titoli, dei temi, dei dibattiti, degli scontri sorti ed elaborati nel
pensiero della differenza. Non mi sembrano una insipida minestra, anche se sui gusti non c'è da disputare.
Eppure
questa minestra è stata cucinata da un pensiero incarnato in corpi di sesso femminile. Il corpo maschile
tace la
parzialità della sua differenza. Ha già detto e compreso tutti e tutte, nel nome del padre e
dell'universale. Dall'accecata gara tra interpretazioni e modelli ecco ancora il vecchio nuovo "dover essere....
dell'obiettivo
finale". Finale perchè?; dopo non ci sarà piu altro come nelle ben consolidate e devastanti visioni
apocalittiche
su cui si sono costruiti tutti i poteri ideologici e istituzionali? Mi scusino le entusiaste, vivacissime e simpatiche
redattrici di "Fikafutura", ma non posso non provare fastidio e sconcerto di fronte alle loro certezze.
Perchè di
loro c'è ben poco, ma molto di altro, del linguaggio di essere omologato, di già detto, pensato,
ripetuto magari
sotto sembianze mentite, diverse e nuove, ma indifferenti. Che cosa dice la loro paura?: "non voglio un ordine
materno", la loro mistificazione?: "il pensiero della differenza ha fatto ancor peggio. Ha stabilito che siccome sei
donna, sarai pacificatrice di mondi, santa, madre, terra, immanenza...." Ma da dove è stato ricavato un
simile
messaggio? Non certo da 'L'ordine simbolico della madre'. L'ho studiato con tenacia quel testo,
difficile per
l'originalità del linguaggio, scritto sulla punta dell'anima. Volevo imparare dalla mia incertezza e
così mi ha
insegnato. Non credo di non aver capito niente perché non ho capito quello che le redattrici di ''Fikafutura"
hanno
trovato. Ho capito quello che di cui avevo bisogno. Vi ho riconosciuto il senso della necessità. Certo la
parola
ordine è aggravata da un carico millenario di subordinazione e sfruttamento. Evidentemente Fikafutura
non vuole
essere più in questo ordine, non vuole esserci più in futuro senza accorgersi però di
esserci ora, perché
quell'ordine di necessità non lo riconosce differentemente da come i dispositivi simbolici glielo
permettono. Forse
provare a significare e non a interpretare aiuta. Forse se a questi due verbi - significare, interpretare - si facesse
occupare il posto dei termini medi di un rapporto tra valutare e giudicare, le proporzioni sarebbero meno
disordinate. L'ordine che in quel libro si rintraccia è inscritto nella relazione d'origine, fra madre e creatura
femmina o maschio che sia. E questa è una necessità improcastinabile su cui spendere tutte le
possibili diversità.
La necessità non è un obbligo, come la realtà non è un dovere. La vita umana si
snoda sulla striscia d'ombra tra
essere e pensiero descritta dal loro terribile, infaticabile, abbagliante lavoro a distanza ravvicinata. Nascere
è una
probabilità verificatasi per pura casualità; maschio o femmina è una contingenza, ma una
volta nate o nati o si
è femmine o si è maschi. Poi diventererno quello che faremo.... Termino con una frase di
pensiero sottratta a quel capolavoro della filosofia mistica del 14° sec. "Lo specchio
delle anime semplici" per la cui autrice - Margherita Porete - fu acceso il rogo. Lo strumento di un
dispositivo
secolare con il quale la Chiesa, metonimia per dire il potere, si è affermata bruciando tutti gli ordini
simbolici che
rendevano superflui i suoi ordini, le sue misure, le sue leggi. Un tale ordine lo aveva pensato e scritto quella tale
donna. "Colui che è quel che crede, crede veramente; ma chi crede quel che egli è, non vive quel
che crede. Egli
non crede veramente, poiché la verità del credere consiste nell'essere quel che si crede. E chi crede
questo, è colui
che è questo".
Monica Giorgi (Bellinzona)
....E RISPOSTA Cara Monica, sono sinceramente dispiaciuta dello
"sconcertante fastidio" che la lettura di Cyberfemministe e queer ti ha
provocato. Ma, come si usa dire, non tutto il male vien per nuocere. Possiamo aprire un dialogo. Fai
attenzione però, sto parlando di dialogo, non di diatriba. Infatti, poiché non sono una teorica
del femminismo né una filosofa, mi risulta difficile anche solo pensare di
misurarmi con chi invece queste strade le percorre da tempo e con cognizione di causa. Il che, tuttavia, non
implica necessariamente "una ignoranza della vasta letteratura prodotta dalle filosofe della differenza" - sebbene,
in tutta onestà, non possa certo paragonare la mia conoscenza dell'argomento a quella che dimostri di
avere tu
-, e neanche, voglio sperare, una particolare superficialità nell'accostarsi alle cose dettata "dall'esuberanza
di chi
si sente portatrice di un verbo salvifico". Consapevole come sono del fatto che ogni argomento può
essere trattato da diversi punti di vista e dar luogo a
riflessioni diverse, mi sento di riaffermare in toto quanto ho scritto nell'articolo e nell'intervista che tu mi
contesti. Almeno per quanto riguarda le mie di affermazioni. Tu citi in particolare tre punti nella tua
lettera. Dei tre soltanto uno, e cioè quando dico che nei primi anni Novanta
"nel panorama abbastanza a senso unico del femminismo di casa nostra [...] Cromosoma X fa indubbiamente un
lavoro di frontiera", si può dire che sia del tutto, se vuoi, un mio azzardo. Ma davvero questo ti ha
infastidita così tanto? Quando parlo di "lavoro di frontiera", mi riferisco a tutto quel lavoro
d'avanguardia che Cromosoma X ha
indubbiamente svolto. Parlo di traduzione di testi ancora sconosciuti in Italia, per esempio. Oppure di riflessioni
sulle Tecniche di Riproduzione Assistita quando l'argomento non era ancora così d'attualità. O
anche
dell'esplorazione delle possibilità offerte dalla tecnologia... Come ha scritto bene Rosi Braidotti, il
cyberfemminismo è soltanto una delle figurazioni femministe. Ce ne sono
altre; c'è anche il pensiero della differenza. Ma perché non dar conto in maniera intellegibile,
"descrittiva" mi ha
suggerito qualcuno, e quindi affatto antidogmatica, di questi altri punti di vista e percorsi? Si tratta del
vecchio che si traveste da nuovo? Forse. Non sarò certo io a sostituirmi alle valutazioni che suppongo
il lettore sia perfettamente in grado di fare per conto
suo dopo avere letto l'intervista. Del resto, come avrai notato, mi premuro sempre di fornire in corso di scrittura
un'accurata bibliografia di tutti i testi citati, a costo di risultare perfino pedante. Ma ti chiedo: vale la pena di
buttare via anche il pupo insieme all'acqua sporca? Cioè: sei davvero convinta che tutto ciò
che vien fuori dalle riflessioni delle cyberfemministe sia da buttare? A
leggerti, mi sembra proprio che tu non abbia dubbi. Io qualcuno invece ce l'ho. Un'ultima cosa. Se hai avuto
modo di dare un'occhiata ai più recenti numeri di A Rivista anarchica, avrai potuto
vedere come spesso il pensiero della differenza abbia trovato spazio e modo di mostrare i suoi frutti migliori. Mi
riferisco, per esempio, all'ampio servizio dedicato alle scienziate di Ipazia apparso sul numero 238. Ma anche al
dossier "Antimilitarismo, mascolinità, femminismo" del numero 237. Se alcune delle tue
considerazioni sul cyberfemminismo potrebbero trovarmi d'accordo, e di fatto è così, il tuo
modo di esprimerle, molto tranchant per usare un eufemismo, francamente non mi pare il più adatto ad
avviare
un dialogo costruttivo. Infatti, cara Monica, una delle cose che proprio "il partire da sé" e la faticosa
"pratica delle relazioni" mi hanno
insegnato è prima di tutto il rispetto degli altri. Del loro lavoro. E non mi pare che tu, nonostante
tutto, me lo dimostri. Mi auguro che donne che hanno percorsi diversi intervengano sempre più
spesso sulle pagine di A Rivista
anarchica. Con critiche dure. E durissime, quando occorre. Ma senza salire in cattedra. Cordiali saluti
Emanuela Scuccato
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