Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 28 nr. 244
aprile 1998


Rivista Anarchica Online

Femminismo

FATTI DI PENSIERO....
L'interpretazione cammina su un bizzarro esercizio di dogmatismo. Essa infatti dice molto di più dell'interpretante che dell'interpretato e come in un accecante gioco di specchi si perde il senso della riflessione: immagine reale confusa nell'immagine rispecchiata. Si perde il bandolo dell'intrigo, ma la perdita può mettere in cammino. Mi sembra di intravedere nello scompiglio della contraddittorietà l'antico, fondante, logico principio di identità (ovvero di non contraddizione... quando si dice l'ironia del nome...) di aristotelica fattura. Il principio che ha governato quale impalcatura filosofica tutto il pensiero occidentale, che porta con sé l'esercizio della fallacia dogmatica. E da cui si fa fatica a partire.
Inutile nasconderla, essa salta fuori nei pensieri e nei linguaggi contemporanei, tanto simili in questo essere accomunante da qualificarli, senza timore di essere ritenuta affetta da sindrome nichilistica, monopensiero e monolinguaggio, cioè niente pensiero, niente linguaggio. Da qui il senso di miseria e di grigiore che spesso avvolge situazioni e fatti, proposte e controproposte, fino ai futuribili scenari immaginabili e immaginati avanzati da "Cyberfemministe e queer" (A 242, febbraio '98)
Mi sia concessa la fiducia di considerare quanto sopra espresso non il frutto di una mia interpretazione, ma la messa in parole di uno sconcertante fastidio avvertito con la lettura di quell'articolo e, in particolar modo, dell'intervista alle redattrici di "Fikafutura". Alcune affermazioni lì riportate:
"... Se nuovi grimaldelli ci aprono inaspettati orizzonti interpretativi della realtà o ci danno addirittura accesso a nuove realtà... se tutto questo fa saltare in aria il vecchio simbolico, che senso ha continuare a speculare intorno alla differenza tra uomo e donna?" (in riferimento al pensiero della biologa americana Donna Haraway); e ancora "...nel panorama abbastanza a senso unico del femminismo di casa nostra, incanalato principalmente in quello che passa come "il pensiero della differenza", Cromosoma X fa indubbiamente un lavoro di frontiera..."; "...l'obiettivo finale della rivoluzione femminista deve essere... non solo l'eliminazione del privilegio maschile, ma della stessa distinzione dei sessi".
Che pensare, che dire? Ignoranza della vasta letteratura prodotta dalle filosofe della differenza?; affrettata ma non malevola critica a quanto passa del pensiero sulla differenza?; superficiali affermazioni spinte fuori dall'esuberanza di chi si sente portatrice di un verbo salvifico? Non so, non so dire. Vero è che tutte le scuse da me supposte sono quantomeno mortificanti, per chi le accampa e per chi se ne serve. Allora mi do una mossa e replico su altri livelli.
Ammesso e non concesso di avere in mano nuovi grimaldelli che apriranno nuovi orizzonti, come si fa, a mani nude, asserire disinvoltamente che pensiero della differenza equivale a disquisizione sulle differenze uomo/donna, come se fossero già lì ben confezionate e precotte? Evidentemente ciò che asserisce l'articolista, e chi per essa, corrisponde a tutto quanto ha saputo leggere di quel pensiero o, peggio, a quanto ha saputo interpretare. Ma resto ai fatti che nella dimensione del pensiero sono parole e lettere articolate in varie combinazioni. Non ho mai trovato una sola riga o una sola frase che mi abbia condotto a concludere in tal senso: ossia di essermene ritornata con così poco e superfluo dire. Anzi, adesso che ne posso scrivere, essendomi coinvolta in quel pensiero alla ricerca di qualcosa che fosse anche mio, affermo con certezza - certezza tutta mia, sia ben chiaro e non certezza interpretativa - di aver capito proprio il contrario. E poiché ho affrontato il pensiero della differenza dove esso vive e parla, e non disposta ad entrare in uno dei molti conventi che danno voce ad altrettanti dogmi â la carte, mi sento di dire che di confronto con l'uomo se ne parla alla luce del senso libero della differenza femminile; e se c'è (stato) confronto esso è (riconosciuto quale) ingombro da rimuovere per trovare misure che in quello stesso senso si ritagliano.
Secolare e ignobile abitudine, dispositivo di potere e di dominio è affermare creando rivali e soppiantando avversari. Non è forse questa la lingua parlata proprio dai confessionalismi tuttora imperanti?
Quest'anno al seminario pubblico di "Diotima", comunità filosofica operante all'Università di Verona da oltre quindici anni, hanno tenuto lezione alcune donne - perfette sconosciute per intendersi, senza titoli e senza poteri carismatici, ma forti dell'autorità del loro sapere esperienzale, guadagnato dalle esistenze proprie (le filosofe della differenza lo nominano "opera femminile di civiltà"), ebbene queste donne molto diverse tra loro hanno dato lezioni sul tema: "Saperi e sapori dell'esperienza". Bidella, infermiera, maestra, psicanalista, madre di famiglia, donna algerina nella quotidianità dei massacri integralisti, hanno raccontato un'eccellenza propria che non ostacola un'eccellenza di altre e di altre: basta, e non è né poco, né facile, che la si sappia ascoltare e riconoscere come propria di chi la compie. Ma per trovare l'eccellenza, semplicemente per dire come stanno le cose, mi imbatto nell'inevitabilità storica e culturale dell'inadeguatezza del pensiero e del linguaggio: questi quasi sinonimi nell'ambito delle connessioni logiche e sintattiche. Il vecchio Simbolico scalzabile a colpi di nuovi grimaldelli?!
La novità sta forse nel sostituire un vecchio con un nuovo vecchio?
Affinché tutto rimanga com'è occorre cambiare tutto... il qualcos'altro, se non viene dissodato e macerato, sovente resta l'altro dentro di noi che, quando esce, ci riporta dentro, magari nella fantasmatica aspettativa di accesso a realtà nuove.
Il progresso mi sembrerebbe un ripetersi di nuovo. E il vecchio nuovo ha scalzato il differente - precisa etimologia dis/fero, porto altrove - differente che c'è qui ed ora, ma si con/fonde appunto con il nuovo... pensiero, soggetto, realtà, ecc.... ecc..... Cosicché differente è futuro e il presente assente per eccellenza. L'ordine delle parole gioca begli scherzi!
Forse chi asserisce quanto sopra riportato dall'articolo non ha avuto modo di domandarsi o di verificare cosa vogliano dire per lei, per lui, per loro: 'oltre l'uguaglianza', 'pratica delle relazioni', 'partire da sé', 'politica del desiderio', 'sistema dei diritti come tirannia democratica', 'pari opportunità come miseria dell'omologazione', 'azione perfetta' agita e significata che non si cura dei frutti, che è così fine a se stessa da essere assolutamente trasparente.
E questa fine trasparenza fa spazio alla pratica della libertà, 'alla messa al mondo del mondo'. Non vende modelli precostituiti, ma arrichisce l'orizzonte simbolico dove può starci di tutto, dal computer alla partita di tennis, dai figli al lavoro, dalla filosofia alla letteratura, purché le pratiche o anche una sola di esse non pretenda di essere unica e identica, il mezzo e lo scopo, l'orizzonte e il simbolico.
Eppure le virgolette racchiudono solo alcuni dei titoli, dei temi, dei dibattiti, degli scontri sorti ed elaborati nel pensiero della differenza. Non mi sembrano una insipida minestra, anche se sui gusti non c'è da disputare. Eppure questa minestra è stata cucinata da un pensiero incarnato in corpi di sesso femminile. Il corpo maschile tace la parzialità della sua differenza. Ha già detto e compreso tutti e tutte, nel nome del padre e dell'universale.
Dall'accecata gara tra interpretazioni e modelli ecco ancora il vecchio nuovo "dover essere.... dell'obiettivo finale". Finale perchè?; dopo non ci sarà piu altro come nelle ben consolidate e devastanti visioni apocalittiche su cui si sono costruiti tutti i poteri ideologici e istituzionali? Mi scusino le entusiaste, vivacissime e simpatiche redattrici di "Fikafutura", ma non posso non provare fastidio e sconcerto di fronte alle loro certezze. Perchè di loro c'è ben poco, ma molto di altro, del linguaggio di essere omologato, di già detto, pensato, ripetuto magari sotto sembianze mentite, diverse e nuove, ma indifferenti. Che cosa dice la loro paura?: "non voglio un ordine materno", la loro mistificazione?: "il pensiero della differenza ha fatto ancor peggio. Ha stabilito che siccome sei donna, sarai pacificatrice di mondi, santa, madre, terra, immanenza...." Ma da dove è stato ricavato un simile messaggio? Non certo da 'L'ordine simbolico della madre'. L'ho studiato con tenacia quel testo, difficile per l'originalità del linguaggio, scritto sulla punta dell'anima. Volevo imparare dalla mia incertezza e così mi ha insegnato. Non credo di non aver capito niente perché non ho capito quello che le redattrici di ''Fikafutura" hanno trovato. Ho capito quello che di cui avevo bisogno. Vi ho riconosciuto il senso della necessità. Certo la parola ordine è aggravata da un carico millenario di subordinazione e sfruttamento. Evidentemente Fikafutura non vuole essere più in questo ordine, non vuole esserci più in futuro senza accorgersi però di esserci ora, perché quell'ordine di necessità non lo riconosce differentemente da come i dispositivi simbolici glielo permettono. Forse provare a significare e non a interpretare aiuta. Forse se a questi due verbi - significare, interpretare - si facesse occupare il posto dei termini medi di un rapporto tra valutare e giudicare, le proporzioni sarebbero meno disordinate. L'ordine che in quel libro si rintraccia è inscritto nella relazione d'origine, fra madre e creatura femmina o maschio che sia. E questa è una necessità improcastinabile su cui spendere tutte le possibili diversità. La necessità non è un obbligo, come la realtà non è un dovere. La vita umana si snoda sulla striscia d'ombra tra essere e pensiero descritta dal loro terribile, infaticabile, abbagliante lavoro a distanza ravvicinata. Nascere è una probabilità verificatasi per pura casualità; maschio o femmina è una contingenza, ma una volta nate o nati o si è femmine o si è maschi. Poi diventererno quello che faremo....
Termino con una frase di pensiero sottratta a quel capolavoro della filosofia mistica del 14° sec. "Lo specchio delle anime semplici" per la cui autrice - Margherita Porete - fu acceso il rogo. Lo strumento di un dispositivo secolare con il quale la Chiesa, metonimia per dire il potere, si è affermata bruciando tutti gli ordini simbolici che rendevano superflui i suoi ordini, le sue misure, le sue leggi. Un tale ordine lo aveva pensato e scritto quella tale donna. "Colui che è quel che crede, crede veramente; ma chi crede quel che egli è, non vive quel che crede. Egli non crede veramente, poiché la verità del credere consiste nell'essere quel che si crede. E chi crede questo, è colui che è questo".

Monica Giorgi (Bellinzona)

....E RISPOSTA
Cara Monica,
sono sinceramente dispiaciuta dello "sconcertante fastidio" che la lettura di Cyberfemministe e queer ti ha provocato. Ma, come si usa dire, non tutto il male vien per nuocere. Possiamo aprire un dialogo.
Fai attenzione però, sto parlando di dialogo, non di diatriba.
Infatti, poiché non sono una teorica del femminismo né una filosofa, mi risulta difficile anche solo pensare di misurarmi con chi invece queste strade le percorre da tempo e con cognizione di causa. Il che, tuttavia, non implica necessariamente "una ignoranza della vasta letteratura prodotta dalle filosofe della differenza" - sebbene, in tutta onestà, non possa certo paragonare la mia conoscenza dell'argomento a quella che dimostri di avere tu -, e neanche, voglio sperare, una particolare superficialità nell'accostarsi alle cose dettata "dall'esuberanza di chi si sente portatrice di un verbo salvifico".
Consapevole come sono del fatto che ogni argomento può essere trattato da diversi punti di vista e dar luogo a riflessioni diverse, mi sento di riaffermare in toto quanto ho scritto nell'articolo e nell'intervista che tu mi contesti.
Almeno per quanto riguarda le mie di affermazioni.
Tu citi in particolare tre punti nella tua lettera. Dei tre soltanto uno, e cioè quando dico che nei primi anni Novanta "nel panorama abbastanza a senso unico del femminismo di casa nostra [...] Cromosoma X fa indubbiamente un lavoro di frontiera", si può dire che sia del tutto, se vuoi, un mio azzardo.
Ma davvero questo ti ha infastidita così tanto?
Quando parlo di "lavoro di frontiera", mi riferisco a tutto quel lavoro d'avanguardia che Cromosoma X ha indubbiamente svolto. Parlo di traduzione di testi ancora sconosciuti in Italia, per esempio. Oppure di riflessioni sulle Tecniche di Riproduzione Assistita quando l'argomento non era ancora così d'attualità. O anche dell'esplorazione delle possibilità offerte dalla tecnologia...
Come ha scritto bene Rosi Braidotti, il cyberfemminismo è soltanto una delle figurazioni femministe. Ce ne sono altre; c'è anche il pensiero della differenza. Ma perché non dar conto in maniera intellegibile, "descrittiva" mi ha suggerito qualcuno, e quindi affatto antidogmatica, di questi altri punti di vista e percorsi?
Si tratta del vecchio che si traveste da nuovo? Forse.
Non sarò certo io a sostituirmi alle valutazioni che suppongo il lettore sia perfettamente in grado di fare per conto suo dopo avere letto l'intervista. Del resto, come avrai notato, mi premuro sempre di fornire in corso di scrittura un'accurata bibliografia di tutti i testi citati, a costo di risultare perfino pedante.
Ma ti chiedo: vale la pena di buttare via anche il pupo insieme all'acqua sporca?
Cioè: sei davvero convinta che tutto ciò che vien fuori dalle riflessioni delle cyberfemministe sia da buttare? A leggerti, mi sembra proprio che tu non abbia dubbi. Io qualcuno invece ce l'ho.
Un'ultima cosa. Se hai avuto modo di dare un'occhiata ai più recenti numeri di A Rivista anarchica, avrai potuto vedere come spesso il pensiero della differenza abbia trovato spazio e modo di mostrare i suoi frutti migliori. Mi riferisco, per esempio, all'ampio servizio dedicato alle scienziate di Ipazia apparso sul numero 238. Ma anche al dossier "Antimilitarismo, mascolinità, femminismo" del numero 237.
Se alcune delle tue considerazioni sul cyberfemminismo potrebbero trovarmi d'accordo, e di fatto è così, il tuo modo di esprimerle, molto tranchant per usare un eufemismo, francamente non mi pare il più adatto ad avviare un dialogo costruttivo.
Infatti, cara Monica, una delle cose che proprio "il partire da sé" e la faticosa "pratica delle relazioni" mi hanno insegnato è prima di tutto il rispetto degli altri. Del loro lavoro.
E non mi pare che tu, nonostante tutto, me lo dimostri.
Mi auguro che donne che hanno percorsi diversi intervengano sempre più spesso sulle pagine di A Rivista anarchica. Con critiche dure. E durissime, quando occorre. Ma senza salire in cattedra.
Cordiali saluti

Emanuela Scuccato