Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 28 nr. 244
aprile 1998


Rivista Anarchica Online

Dietro la banda
di Dino Taddei

Milano si sa, non è proprio Pigalle e la sua innata austerità patarinica si respira in ogni aspetto della vita sociale, facendo spesso confondere il serio con il triste. Ma ogni tanto qualche scheggia riesce ad evadere, portando colore e musica capace di spezzare questa cappa plumbea: è il caso della Banda degli Ottoni a Scoppio che da anni con i suoi fiati fa ballare e cantare i cortei milanesi, riuscendo a proporre un modo d'intendere l'agire politico assolutamente originale in parte ricollegabile a tradizioni popolari oramai presenti solo nei ricordi dei vecchi compagni.
Sono andato a trovarli nella loro nuova sede che stanno costruendo all'interno della cascina autogestita Torchiera ed è venuta fuori questa intervista a più voci.

Iniziamo con una breve presentazione storica....
La Banda degli Ottoni a Scoppio è nata tredici anni fa, precisamente nell'inverno del 1985. Attualmente del gruppo di partenza è rimasto solo un suonatore che tramanda la leggenda del desiderio di partecipare ad un Carnevale alternativo qui a Milano, si trovarono cinque o sei suonatori scarsi che decisero di continuare l'esperienza in modo più strutturato riunendosi a provare settimanalmente nei centri sociali.

Mi pare di capire che da subito la vostra banda si connota politicamente...
Beh, dimenticavo di dirti che in quel lontano Carnevale ci travestimmo da musicisti della rivoluzione spagnola. Eravamo suonatori provenienti dall'area dei centri sociali e per essere ammessi nella banda bisognava superare un "esame" che consisteva nel saper suonare senza leggere Rosamunda e l'Internazionale, oltre naturalmente ad avere il cuore a sinistra. Una sinistra libertaria intesa in senso molto ampio: tra noi ci sono comunisti irriducibili ed anarchici di vecchia data.
Indubbiamente un esperimento di convivenza interessante, soprattutto per chi ha vissuto la disgregazione politica dovuta al settarismo ed alla guerra tra poveri che ha solo favorito i nostri nemici. Ciò è stato possibile perché la nostra banda ha due anime: una più propriamente politica e l'altra ludica che stempera i conflitti.

Come siete organizzati al vostro interno?
In fatto di organizzazione siamo profondamente anarchici; c'è chi si occupa della cassa comune, chi cerca i contatti, chi pensa agli arrangiamenti ma non ci sono delle figure istituzionalizzate, i ruoli sono intercambiabili, non esiste un gruppo dirigente e tutto viene deciso nelle assemblee collettive.
Questa impostazione è favorita dalla estrema flessibilità nel numero dei componenti della banda che oscilla tra i dieci ed i trentacinque componenti a seconda dell'occasione.

Un elemento che mi ha sempre incuriosito della vostra esperienza è il recupero di una tradizione bandistica popolare oramai dileguata specie nelle realtà metropolitane, come ad esempio la vostra presenza nei funerali dei compagni.
La scelta di un repertorio tradizionale (composto da vecchie canzoni di lotta e di canti popolari) non è casuale, così come non è casuale la nostra presenza nei cortei o nei cortili dei palazzi: un modo di dar voce a dei valori in una maniera che pochissimi oramai praticano. Questo senza chiudersi in una dimensione esclusivamente regionalistica ma lasciando spazio alle sonorità centro americane, magrebine, balcaniche.

Ultimamente avete scelto di mettere radici nella cascina autogestita Torchiera, una mera necessità di spazi o c'è dell'altro?
Noi siamo stati sempre nomadi, in tutti i posti che abbiamo frequentato abbiamo sempre rivendicato la nostra autonomia: noi siamo la Banda degli Ottoni a Scoppio non la banda del centro sociale di turno come la stampa ci vuole far passare (una volta siamo la banda del Leoncavallo un'altra siamo la banda del Piccolo Teatro).
Fino ad ora non si era mai creato un grande clima di comunicazione umana che al contrario riscontriamo nel Torchiera e che ci ha spinto a prenderci carico della ristrutturazione di un locale con notevole impegno di braccia e di economie. Un modo per creare nuovi legami con le realtà autogestite.

La vostra esperienza è rimasta isolata o ha favorito la nascita di gruppi simili?
A Bologna esiste la Banda Roncati che ha fatto un percorso musicale simile al nostro, puntando non su un tecnicismo esasperato ma sulla partecipazione e sul divertirsi nel suonare e questo la gente lo apprezza molto.
Si può benissimo far passare dei messaggi di lotta senza per forza incupirsi in livide riunioni e questo, ahinoi, lo hanno capito molto prima gli skinheads e neonazi vari che da dieci anni propongono rave e tecno con parole d'ordine deliranti ma che riescono ad arrivare ai ragazzi in modo molto più convincente rispetto ai volantini scritti in un trito politichese.

La moto di Andrea

Purtroppo il destino ha voluto che nel consegnare questo pezzo apprendessi la notizia della morte di Andrea Giorcelli, percussionista della banda. Il 28 febbraio a Milano, è caduto dalla sua moto e ci ha lasciati. Inutile fare della filosofia sull'ingiustizia di vedere un nostro compagno di 24 anni andarsene in modo così assurdo, spezzando i fili di mille e mille futuri che immaginavamo assieme. Meglio fare tesoro del suo lascito maggiore: la gioia di godere la vita fino all'ultimo centesimo, impiegandola per conoscere, scoprire, mettersi continuamente in gioco come uomo e come compagno. Andrea fu uno dei fondatori del centro Arti e Mestieri Libertari - il più giovane di noi avendo allora sedici anni - e, per gente un po' rigida come me, era considerato la bestia nera del gruppo (assieme al suo inseparabile fratello di vita Andrea Tondi), rappresentando un'idea di libertà radicale, immediata, vissuta quotidianamente sulla pelle. Una sfida continua a noi che passavamo ore interminabili a definire teoricamente il concetto di azione diretta mentre Andrea, silenziosamente ma seguendo con attenzione, aggiustava le moto dei ragazzi del quartiere coinvolgendoli. Risultato: dei cinquanta che eravamo, lui è rimasto l'unico a garantire la continuità di quell'esperienza fino ad oggi e sinceramente mi chiedo come abbia fatto, avendo una vita in continuo movimento e spendendosi senza remore in mille situazioni diverse. Tratto della sua personalità che è emerso in modo prepotente quando ci siamo trovati in tantissimi a ricordarlo: ognuno aveva dentro di sè un pezzetto di storia diversa che si è ricomposta quando gli amici della Banda (nella quale suonava da due anni) hanno trasformato con la musica il carico di dolore che ognuno si portava appresso in un momento di serenità che ad Andrea non sarebbe di certo dispiaciuto

Dino Taddei