Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 28 nr. 243
marzo 1998


Rivista Anarchica Online

I conti con Camilla
di Emanuela Scuccato

Una giornalista tra impegno civile e tensione etica. Ricordo di Camilla Cederna

Detesto le commemorazioni ufficiali. Mi disgusta quel tirarsi i morti vicino, afferrandoli per la manica della giacchetta. Quel trasformarli in cammei da esibire al mignolo della propria identità politica. O culturale. O chissà cos'altro. Ma ho detestato ancor più il comportamento di Massimo De Carolis - democristiano negli anni '70 e '80, forzitaliota oggi - quando lo scorso novembre, a Milano, ha ingaggiato la sua battaglia personale per impedire che il consiglio comunale, da lui presieduto, ricordasse in aula, all'indomani della morte, la giornalista e scrittrice Camilla Cederna.
L'ho detestato perché si è trattato di un gesto arrogante. Un gesto meschino. Un gesto vile.
Come commentare, inoltre, la proposta di istituire un premio alla memoria della giornalista scomparsa, da bilanciare "con lo stesso premio a una presunta 'parte avversa'", per esempio Gemma Capra, la vedova del commissario Calabresi?
Se fosse stata ancora in vita, Camilla Cederna ne avrebbe certo tratto uno dei suoi impareggiabili pezzi: leggiadro e spietato.
La trama di un tale capolavoro di idiozia sarebbe stata messa in luce dalla giornalista milanese con garbo. Anzi, con garbata pignoleria.
"Io ho sempre avuto una grande mania della notizia, anche delle informazioni minute, che tutte insieme restituiscono, come dire? L'aria di un tempo", mi disse Camilla Cederna quando la incontrai per una intervista radiofonica nel 1986.
L'aria di un tempo... Dame ed anarchici, "lati deboli" e carriere di presidenti. Nuovi ricchi. Nuove mafie.
"... Puoi descrivere queste persone come un entomologo descrive le formiche, quasi catalogando dei comportamenti, dei linguaggi, delle forme, delle abitudini, dei particolari".
Quando la vidi per la prima volta, Camilla Cederna stava scrivendo a penna su un quadernone, assisa in mezzo a una piccola corte che si spendeva a fornirle notizie, informazioni, pettegolezzi per quel reportage su Vigevano che era venuta a fare.
Mi colpirono gli occhi. Vivissimi. Vigili. E, mi sembrò, canzonatori.
"... un'altra dote che bisogna avere per essere osservatrici di costume è, oltre all'ironia naturalmente, anche una certa autoironia, la capacità di sapersi prendere in giro da sé per non fare delle cose troppo pensose o troppo... profonde", mi disse ancora.
Ironia ed autoironia... Cose troppo pensose o troppo profonde...
Era questa la stessa "signora del giornalismo" che aveva scritto Pinelli. Una finestra sulla strage (1971), Sparare a vista. Come la polizia del regime Dc mantiene l'ordine pubblico (1975), Giovanni Leone. La carriera di un presidente (1978)?
Era questa la stessa "signora del giornalismo" che per avere non solo pensato, ma anche scritto, quello che erano in molti a sapere, si era venuta a trovare in un mare di guai?
"... Ma arriva il '68. Arriva Piazza Fontana, Camilla cui piace tanto piacere, non compiace più nessuno e accetta d'essere impopolare. Perde molti amici borghesi, è dileggiata, minacciata, processata." (Silvana Ottieri).
"Lei ci rimise tutti i gioielli di famiglia, perché chi le aveva garantito che una certa informazione era esatta e documentabile, non si presentò a testimoniare a suo favore nel processo per calunnia intentatole dai Leone." (Adele Cambria)
Sì, questa signora ancora molto affascinante che avevo davanti era proprio quella "signora del giornalismo" che aveva avuto il coraggio nell'Italia democristiana, omertosa, degli anni Settanta, di far scoppiare qualche bubbone.
"Mezzanotte è passata da poco, ma è difficile dormire dopo una giornata come quella del 15 dicembre 1969, dopo il funerale delle vittime della Banca dell'Agricoltura. Come se tutta quell'angoscia fosse entrata nelle ossa insieme a una nebbia mai vista che rendeva bassissimo il cielo e nero il mezzogiorno".
Comincia così il suo libro-inchiesta sui fatti di Piazza Fontana, comincia dall'angoscia che Camilla Cederna non riesce a scrollarsi di dosso, che le impedisce di dormire.
"Il tuo Pinelli è un libro pieno di furore e di pietà, in cui a un mondo di corrotti e corruttori se ne contrappone un altro, di vittime che ancora oggi aspettano giustizia [...]. Vengono in mente dei versi di Heine: '... Ogni tanto si sente uno scoppio. Sarà una fucilata? Forse è un amico che hanno abbattuto.'", scrive Grazia Cherchi ne Il mondo di Camilla.
Ma la preoccupazione per quel che stava succedendo nella vita politica italiana, quell'ormai quotidiana escalation della tensione, l'angoscia, risalivano già a qualche tempo addietro.
"La mia prima firma la deposi su un foglio volante in una giornata ventosa di settembre [del 1969 n.d.r.], a Milano, quando durante uno sciopero della fame di alcuni anarchici che protestavano per l'ingiusta carcerazione dei loro compagni (il gran gioco non era ancora cominciato), vidi abbattersi ad ondate successive contro di loro gruppetti dei più noti e muscolosi funzionari della questura d'allora".
E di quei "più noti e muscolosi funzionari della questura d'allora", Camilla Cederna faceva poi anche i nomi e i cognomi: "... erano cinque uomini fra cui i commissari Pagnozzi e Zagari, il vicequestore Luigi Vittoria, e il più ginnasticato ed elastico di tutti, precisamente il bruno Calabresi, dal ciuffo denso e il colletto dolcevita."
"Forse era un'ingenuità credere che nei palazzi del potere si desse ascolto alle proteste dei cittadini [...].", scriveva ancora la giornalista.
"Invece in quegli anni s'è visto come lo stare in trincea dei firmatari cronici abbia avuto la sua efficacia (vedi Valpreda, processo Pinelli, appello per la ricusazione del giudice Biotti)".
A ventotto anni dalla strage di Piazza Fontana, la sera dell'11 dicembre 1997, il signor Giuliano Ferrara chiariva finalmente dagli schermi televisivi che responsabile di quella carneficina fu lo Stato.
"Lo Stato fa delle stragi perché ha una logica diversa, un'etica diversa da quella vostra, persone normali. Lo Stato ha semplicemente un'altra morale". Questo il senso di quella trasmissione televisiva, lapidariamente sintetizzato da Luciano Lanza, autore di Bombe e segreti - Piazza Fontana 1969, in occasione della presentazione, il 12 dicembre scorso all'Iperspazio di Milano, del dossier di "A rivista anarchica" su quei tragici eventi.
Camilla Cederna non c'era già più quando il signor Giuliano Ferrara tirava fuori qualche scheletro dall'armadio italiano e si prodigava a dar conto della Verità. Naturalmente di Stato.

Quella frase di Balzac
Ma restano le sue pagine, di ben altro spessore morale rispetto a quest'odierna messinscena televisiva.
Scriveva nel '71 la giornalista milanese: "Pinelli è infine un simbolo che va al di là del suo tremendo destino. 'La prova che la giustizia non è uguale per tutti: da una parte lo stato coi suoi baluardi da difendere, dall'altra un cittadino senza diritti [...]. I baluardi dello stato non si toccano, la magistratura non si discute [...], la polizia è al di sopra di ogni sospetto, va coperta, va giustificata...".
L'avvocato Luca Boneschi, il difensore degli anarchici incarcerati per le bombe dell'aprile '69, ha affermato che "la verità giudiziaria sulla morte di Pinelli oggi non mi interessa più [...]. Era chiaro allora ed è chiaro ora che la pista anarchica è stata un'invenzione che serviva a coprire la pista nera e i servizi segreti".
Credo che se fosse ancora viva Camilla Cederna condividerebbe l'amarezza che l'avvocato Luca Boneschi, suo amico e prezioso collaboratore, ha palesato nel corso del suo intervento all'Iperspazio di Milano.
"L'importante è capire il senso della storia e trarne degli insegnamenti [...]. Valpreda ha fatto tre anni di carcere preventivo, di cui tre mesi di cella d'isolamento", ricordava ancora Boneschi.
Sì, credo che queste parole Camilla Cederna le comprenderebbe bene. Ma se è vero che durante la causa-Leone, mentre l'Accusa le si scatenava contro, la giornalista milanese prendeva appunti per un galateo che le era stato commissionato, non c'è dubbio che per lei continuerebbe a valere come un imperativo categorico quella frase di Balzac che ripetè più volte. E scrisse, anche: "Si comincia a vedere il male e a tollerarlo. Poi si comincia con l'approvarlo e si finisce col commetterlo".
La giornalista Adele Cambria racconta che Camilla Cederna non fu mai femminista, "prima di tutto perché la debolezza delle donne [...] era stata negli anni del suo esordio e formazione [...] troppo irresistibile materia da 'presa in giro', e poi perché la sua vita privata, intima, è sempre rimasta custodita sotto una campana di vetro, anzi di cristallo, tersa ma impenetrabile".
Se la scrittrice milanese avesse letto il libro Nel cuore della bestia - Storie personali nel mondo della musica bastarda, magari per documentarsi su un altro pezzo di storia italiana, questa volta musicale, penso che avrebbe pienamente sottoscritto il senso di questo passaggio: "... guai a non mettersi a fuoco nel mirino di chi ti legge, guai a non dichiararsi. Definizioni, etichette, ruoli e regole da rispettare [...]. La realtà è più sottile...".
Forse non era femminista. Certo proveniva da un ambiente sociale borghese. Non si dichiarò mai anarchica.
"La realtà è più sottile" infatti.
"Io ho sempre scelto di non sposarmi, di non convivere lungamente", mi rispose a sorpresa la scrittrice milanese quando un pò scherzosamente le chiesi di svelare un suo piccolo "lato debole".
"Insomma, non è che sono una santarellina... Però ho deciso di fare sempre cose brevi o sennò di non convivere mai. Ho sempre pensato che sarebbe stato la distruzione di un ménage. Anche perché ero molto indipendente, amavo molto il mio lavoro".
E poi, con il consueto garbo, aggiunse: "Ho scelto la libertà e non mi sono mai pentita, perché se in questo periodo avessi dei figli sarei molto triste. Molto affannata".

Agra verità
Riascoltando la sua voce incisa sul nastro mentre parla con tenerezza della madre, Ersilia Gabba, dei fratelli e di quel padre che confezionava per loro libri e giochi "fatti tutti a penna con l'inchiostro di china o ad acquarello"; mentre racconta della sua difficoltà a scrivere anche se tutti le dicono sempre che "scrivi come parli"; riascoltandola mentre civetta a proposito della sua bellezza giovanile o mentre torna improvvisamente seria affermando che Grazia Cherchi "secondo me è l'unico critico che dice la verità... Certe volte agra. Non con quella mafia che hanno i critici in generale verso gli scrittori, che guai a parlarne male...", riascoltandola mi viene in mente un pugno di versi:
Il vento della sera/ spiana tutto/ forma/ deforma l'arena/ in strie uguali/ che mi fanno ricordare il mio ventre.
E' tutto qui, racchiuso in questa immagine che la poetessa messicana Maria Guerra modula scabra, eppure dolce, "quell'indicibile che è la mortalità dell'uomo".
Ma Maria Guerra torna al centro, torna al ventre. Alla vita. Ciò che soltanto ci appartiene.
Torna a quelle "strie uguali" che intrecciano dolore e gioia in un disegno unico, irripetibile.
Camilla Cederna era nata a Milano il 21 gennaio 1911. Laureatasi in Lettere, fu tra i fondatori con Arrigo Benedetti, nel '45, del settimanale "L'Europeo". Nel '58 passò all'"Espresso" dove restò fino al 1980, quando prese a collaborare con "Panorama".
"Tu mostri certamente ciò che un uomo può compiere, ma dal fatto che tu, un uomo, lo abbia fatto, non discende assolutamente che lo possano fare anche altri, pure uomini: tu l'hai compiuto soltanto in quanto Unico fra gli uomini e in ciò resti unico", scrisse nel 1844 Max Stirner.
Mi sembrano le parole più appropriate per non congedarci dalla memoria di Camilla Cederna.

Bibliografia
Enrico Bonerandi, Borsa di studio per Camilla in "la Repubblica" del 19.12.1997, Cronaca Milano;
Silvana Ottieri, Prefazione a Il mondo di Camilla (1980);
Adele Cambria, Lezioni di stile in "Noi Donne", dicembre 1997;
Camilla Cederna, Pinelli. Una finestra sulla strage, Feltrinelli, Milano, 1971;
Grazia Cherchi, Interventi ne Il mondo di Camilla (1980);
Camilla Cederna, Perché firmo sempre in De gustibus, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1986;
Luciano Lanza, Bombe e segreti - Piazza Fontana 1969, Elèuthera, Milano, 1997;
Stefano Giaccone e Marco Pandin, Nel cuore della bestia - Storie personali nel mondo della musica bastarda, Cooperativa Editrice Umanità Nova - Editrice Zero in condotta, Milano, 1996;
Maria Guerra, Dove duole il tempo, Edizioni Fahrenheit 451, Roma, 1995;
Franco Melandri, L'anarchia della comunità, in "A rivista anarchica", dicembre '97 / gennaio '98;
Max Stirner, L'UNICO e la sua proprietà, Adelphi, Milano, 1979.