Rivista Anarchica Online
Una catastrofe in meno
di Carlo Oliva
Il papa annuncia che non ci sarà il diluvio universale. Cerchiamo di capire perchè una tale
non-notizia ha avuto
tanto spazio nei mass media. Ma poi è davvero una non-notizia?
Suppongo che anche i lettori di "A" si siano rallegrati apprendendo che il Padre
Eterno non ha intenzione di
mandare all'umanità peccatrice un secondo diluvio. La notizia, degna senz'altro di un certo interesse,
è stata
battuta dalle agenzie giornalistiche una domenica di febbraio: accanto alle informazioni relative alle ultime mosse
di Prodi, Berlusconi e D'Alema, al corso del marco e all'imminente festival di Sanremo, qualcuno comunicava
che Dio non avrebbe distrutto il mondo. All'annuncio, per chi avesse voluto controllare, corrispondeva un testo
di sedici righe, in cui si rendeva noto che il Papa, in visita alla parrocchia romana di S. Andrea Avellino, aveva
commentato le letture bibliche della giornata, dedicate all'episodio del Diluvio Universale (Genesi, 6-9),
specificando che "nel corso delle epoche della storia gli uomini hanno continuato a commettere peccati, forse
persino maggiori di quelli descritti prima del Diluvio. Tuttavia, dalle parole dell'alleanza stretta da Dio con
Noé
si comprende che ormai nessun peccato potrà portare Dio ad annientare il mondo da lui creato." Dopo
di che
l'autore della notizia passava ad altro, occupandosi della distribuzione ai romani di un milione di copie del
vangelo di S. Marco, che è senz'altro una cosa di grande interesse, ma con la distruzione del mondo ha
poco a
che fare. Be', non so voi, ma io non sono restato particolarmente emozionato. Che Dio avesse assicurato di
non avere
intenzione di distruggere il mondo una seconda volta mi sembrava di saperlo già, come lontana
reminescenza
della frequentazione giovanile delle lezioni di catechismo. In effetti è scritto che più chiaro di
così non si può
nella Bibbia, Gen. 9, 11: "Io fermo il mio patto con voi, che ogni carne non sarà più distrutta per
le acque del
diluvio e che non vi sarà più diluvio per guastar la terra." Un messaggio, ne converrete, dal
significato
assolutamente esplicito e tranquillizante, a meno che qualcuno voglia avanzare l'ipotesi di un Dio burlone e
causidico che, impegnandosi a evitare per il futuro un diluvio propriamente detto, si riservi la possibilità
di
ricorrere a qualche altro espediente distruttivo, che è un'interpretazione che nemmeno il più
incallito
fondamentalista, credo, oserebbe far sua. Il papa, quindi, non aveva sfoggiato arditezze teologiche particolari:
si era limitato a riferire una verità nota e normalmente accettata dalla dottrina ecclesiastica. Aveva fatto,
in altre
parole, il suo mestiere, cosa che, in sé, non dovrebbe meritare interesse giornalistico alcuno. Anche
perché, in
fondo, affermazioni di questo genere sono difficilmente verificabili (o falsificabili, se proprio volete essere dei
popperiani ortodossi) e comunque hanno natura tale che ognuno può sempre azzardarsi ad esprimerne
senza
timore, nella serena consapevolezza che anche se fossero completamente sbagliate nessuno sarebbe ovviamente
in grado di farlo rilevare. La vera notizia si avrebbe avuta se il pontefice avesse affermato che, tutto sommato,
il rischio di finire tutti affogati c'è, eccome, raccomandando ai giusti di tenersi un'Arca pronta nel cortile
di casa. Ma i giornali italiani, su cosa sia o non sia una notizia, hanno le loro particolari opinioni. Niente da
stupirsi,
quindi, se il giorno dopo quella non notizia compariva con rilievo su tutte le testate. Anzi, i principali quotidiani
nazionali facevano a gara a chi le dava più spazio: il Corriere dedicandole un rispettabile
riquadrato a tre colonne
in una pagina interna, con interviste a teologi e ad altri specialisti e la Repubblica con uno strillo
in prima pagina
(quatto colonne in taglio centrale: "Mai più un altro Diluvio") e un'intera pagina di servizi
nell'interno. Quest'ultima, oltre a citare S. Ireneo, Nostradamus e il terzo mistero di Fatima, spaziava nel
campo della
mitologia comparata, ricordando diluvi presenti nella tradizione mesopotamica, indiana e persino amazzonica,
visto che anche certi indiani Mura raccontano che un tempo i loro antenati furono sommersi dalle acque, tranne
uno abbastanza furbo da arrampicarsi su una palma. Tanta messe d'informazioni, naturalmente, suscita
altrettanti problemi. Un teologo potrebbe chiedersi come fa
un Essere onnipotente per definizione a sentirsi legato a qualcosa, sia pure un impegno da Lui stesso preso. Uno
scettico come me sarebbe tentato di far notare che non c'è niente di più ovvio che racconti di
innondazioni
disastrose allignino nella memoria collettiva di popoli situati sulle sponde di fiumi grandi e indisciplinati come
il Tigri e l'Eufrate, il Gange e il Rio delle Amazzoni: magari potrebbe spingersi persino ad affermare che la
presenza nella Bibbia di un racconto evidentemente derivato da esperienze altrui è uno dei tanti elementi
che
rafforzano degli igienici dubbi sulla natura ispirata e assoluta di quel testo. Uno studioso attento a problemi di
semantica diacronica potrebbe chiedersi cosa, nelle affermazioni bibliche riprese dal buon Wojtyla, si intenda per
"mondo", visto che gli autori della Bibbia (e dei testi mesopotamici, indiani e amazzonici, suppongo)
identificavano con il mondo la regione in cui abitavano loro e pensavano che oltre ad essa ci fosse ben poco,
mentre noi abbiamo delle opinioni leggermente diverse (e io, pur ignorando ebraico, posso assicurarvi che il
kòsmos del testo greco e il mundus di quello latino vogliono dire "Universo").
E il buon giornalista, naturalmente,
dovrebbe spiegare ai suoi lettori perché mai il papa, che è il papa, non l'ultimo venuto, abbia
sentito il bisogno
di ripetere solennemente una banalità teologica così banale che qualsiasi curato di campagna
attento alla propria
immagine se ne terrebbe alla larga. Una domanda che, in tutti gli articoli che ho scorso io, nessuno, naturalmente,
si sogna di fare. Già, perché come si fa? Non si può dire che anche il papa, poveretto,
fa quello che può. Che da un lato non può
lasciarsi sfuggire un'occasione per sottolineare il ruolo del Divino nella storia e ricordare quel "patto" tra Dio e
l'uomo su cui si fonda il sistema teorico della sua chiesa, dall'altro proprio non può ricorrere ad argomenti
ideologicamente controproducenti, a onta della larghezza con cui hanno potuto valersene i suoi predecessori,
più
fortunati di lui. E tra gli argomenti particolarmente ostici alla cultura di oggi temo proprio rientri la minaccia di
punizioni, vuoi collettive, vuoi individuali. La stessa parola "inferno", avrete notato, non fiorisce spesso sulle
labbra pontificie. E' lo stesso problema che abbiamo potuto rilevare in occasione della riabilitazione di Galileo
e dei flirt wojtyliani con il darwinismo: la chiesa non controlla più al cento per cento il quadro valori delle
comunicazioni di massa e, per salvare quello che davvero le interessa, deve scendere a compromessi sul resto.
E così getta alle ortiche, chissà con quanto dispiacere, un classico dell'argomentazione profetico
ecclesiastica:
la minaccia della catastrofe, del castigo solenne, del dies irae dies illa, che, per ovvia analogia con
il diluvio,
l'universo a questo punto non ha più ragione di aspettarsi. Per chi deve continuare a esortare a tenersi alla
larga
dal peccato, deve'essere, con rispetto parlando, una fatica da bestie. Poi, certo, i teologi possono cercare di
recuperare, spiegando che il "mondo" non sarà distrutto, no, ma
profondamente trasformato, che, più o meno, è la stessa cosa. Ma chi ha paura della
trasformazione? Forse, tutto
sommato, la notizia di quel discorsetto del papa alla parrocchia di S. Andrea Avellino era davvero
importante.
Post scriptum: spero abbiate apprezzato la breve citazione biblica di cui sopra. É tratta dalla
traduzione italiana
del 1607 di Giovanni Diodati, un classico delle nostre lettere e uno dei più notevoli esempi di prosa
religiosa in
lingua italiana. E non vergognatevi se non avete mai sentito nominare Giovanni Diodati: capita a molti. É
stato
un insigne ebraista, uno dei teologi e dei politici più acuti del suo secolo, nonché il primo a
tradurre le Scritture
in italiano (e in francese) dai testi originali, ma ha avuto un grave torto: ha aderito alla Riforma. E in quanto
"nemico" della chiesa cattolica è stato cancellato dalla storia della cultura italiana: a tutt'oggi non troverete
il suo
nome in un'enciclopedia o in una storia della letteratura che sia una. L'unica edizione disponibile della sua opera
è stampata in Inghilterra, a cura della "Società Biblica Britannica e Forestiera". Tanto per
ricordare che la chiesa
cattolica non ha più il monopolio sulla cultura, ma qualche posizione di potere la detiene ancora.
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