Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 27 nr. 235
aprile 1997


Rivista Anarchica Online

Una catastrofe in meno
di Carlo Oliva

Il papa annuncia che non ci sarà il diluvio universale. Cerchiamo di capire perchè una tale non-notizia ha avuto tanto spazio nei mass media. Ma poi è davvero una non-notizia?

Suppongo che anche i lettori di "A" si siano rallegrati apprendendo che il Padre Eterno non ha intenzione di mandare all'umanità peccatrice un secondo diluvio. La notizia, degna senz'altro di un certo interesse, è stata battuta dalle agenzie giornalistiche una domenica di febbraio: accanto alle informazioni relative alle ultime mosse di Prodi, Berlusconi e D'Alema, al corso del marco e all'imminente festival di Sanremo, qualcuno comunicava che Dio non avrebbe distrutto il mondo. All'annuncio, per chi avesse voluto controllare, corrispondeva un testo di sedici righe, in cui si rendeva noto che il Papa, in visita alla parrocchia romana di S. Andrea Avellino, aveva commentato le letture bibliche della giornata, dedicate all'episodio del Diluvio Universale (Genesi, 6-9), specificando che "nel corso delle epoche della storia gli uomini hanno continuato a commettere peccati, forse persino maggiori di quelli descritti prima del Diluvio. Tuttavia, dalle parole dell'alleanza stretta da Dio con Noé si comprende che ormai nessun peccato potrà portare Dio ad annientare il mondo da lui creato." Dopo di che l'autore della notizia passava ad altro, occupandosi della distribuzione ai romani di un milione di copie del vangelo di S. Marco, che è senz'altro una cosa di grande interesse, ma con la distruzione del mondo ha poco a che fare.
Be', non so voi, ma io non sono restato particolarmente emozionato. Che Dio avesse assicurato di non avere intenzione di distruggere il mondo una seconda volta mi sembrava di saperlo già, come lontana reminescenza della frequentazione giovanile delle lezioni di catechismo. In effetti è scritto che più chiaro di così non si può nella Bibbia, Gen. 9, 11: "Io fermo il mio patto con voi, che ogni carne non sarà più distrutta per le acque del diluvio e che non vi sarà più diluvio per guastar la terra." Un messaggio, ne converrete, dal significato assolutamente esplicito e tranquillizante, a meno che qualcuno voglia avanzare l'ipotesi di un Dio burlone e causidico che, impegnandosi a evitare per il futuro un diluvio propriamente detto, si riservi la possibilità di ricorrere a qualche altro espediente distruttivo, che è un'interpretazione che nemmeno il più incallito fondamentalista, credo, oserebbe far sua. Il papa, quindi, non aveva sfoggiato arditezze teologiche particolari: si era limitato a riferire una verità nota e normalmente accettata dalla dottrina ecclesiastica. Aveva fatto, in altre parole, il suo mestiere, cosa che, in sé, non dovrebbe meritare interesse giornalistico alcuno. Anche perché, in fondo, affermazioni di questo genere sono difficilmente verificabili (o falsificabili, se proprio volete essere dei popperiani ortodossi) e comunque hanno natura tale che ognuno può sempre azzardarsi ad esprimerne senza timore, nella serena consapevolezza che anche se fossero completamente sbagliate nessuno sarebbe ovviamente in grado di farlo rilevare. La vera notizia si avrebbe avuta se il pontefice avesse affermato che, tutto sommato, il rischio di finire tutti affogati c'è, eccome, raccomandando ai giusti di tenersi un'Arca pronta nel cortile di casa.
Ma i giornali italiani, su cosa sia o non sia una notizia, hanno le loro particolari opinioni. Niente da stupirsi, quindi, se il giorno dopo quella non notizia compariva con rilievo su tutte le testate. Anzi, i principali quotidiani nazionali facevano a gara a chi le dava più spazio: il Corriere dedicandole un rispettabile riquadrato a tre colonne in una pagina interna, con interviste a teologi e ad altri specialisti e la Repubblica con uno strillo in prima pagina (quatto colonne in taglio centrale: "Mai più un altro Diluvio") e un'intera pagina di servizi nell'interno.
Quest'ultima, oltre a citare S. Ireneo, Nostradamus e il terzo mistero di Fatima, spaziava nel campo della mitologia comparata, ricordando diluvi presenti nella tradizione mesopotamica, indiana e persino amazzonica, visto che anche certi indiani Mura raccontano che un tempo i loro antenati furono sommersi dalle acque, tranne uno abbastanza furbo da arrampicarsi su una palma.
Tanta messe d'informazioni, naturalmente, suscita altrettanti problemi. Un teologo potrebbe chiedersi come fa un Essere onnipotente per definizione a sentirsi legato a qualcosa, sia pure un impegno da Lui stesso preso. Uno scettico come me sarebbe tentato di far notare che non c'è niente di più ovvio che racconti di innondazioni disastrose allignino nella memoria collettiva di popoli situati sulle sponde di fiumi grandi e indisciplinati come il Tigri e l'Eufrate, il Gange e il Rio delle Amazzoni: magari potrebbe spingersi persino ad affermare che la presenza nella Bibbia di un racconto evidentemente derivato da esperienze altrui è uno dei tanti elementi che rafforzano degli igienici dubbi sulla natura ispirata e assoluta di quel testo. Uno studioso attento a problemi di semantica diacronica potrebbe chiedersi cosa, nelle affermazioni bibliche riprese dal buon Wojtyla, si intenda per "mondo", visto che gli autori della Bibbia (e dei testi mesopotamici, indiani e amazzonici, suppongo) identificavano con il mondo la regione in cui abitavano loro e pensavano che oltre ad essa ci fosse ben poco, mentre noi abbiamo delle opinioni leggermente diverse (e io, pur ignorando ebraico, posso assicurarvi che il kòsmos del testo greco e il mundus di quello latino vogliono dire "Universo"). E il buon giornalista, naturalmente, dovrebbe spiegare ai suoi lettori perché mai il papa, che è il papa, non l'ultimo venuto, abbia sentito il bisogno di ripetere solennemente una banalità teologica così banale che qualsiasi curato di campagna attento alla propria immagine se ne terrebbe alla larga. Una domanda che, in tutti gli articoli che ho scorso io, nessuno, naturalmente, si sogna di fare.
Già, perché come si fa? Non si può dire che anche il papa, poveretto, fa quello che può. Che da un lato non può lasciarsi sfuggire un'occasione per sottolineare il ruolo del Divino nella storia e ricordare quel "patto" tra Dio e l'uomo su cui si fonda il sistema teorico della sua chiesa, dall'altro proprio non può ricorrere ad argomenti ideologicamente controproducenti, a onta della larghezza con cui hanno potuto valersene i suoi predecessori, più fortunati di lui. E tra gli argomenti particolarmente ostici alla cultura di oggi temo proprio rientri la minaccia di punizioni, vuoi collettive, vuoi individuali. La stessa parola "inferno", avrete notato, non fiorisce spesso sulle labbra pontificie. E' lo stesso problema che abbiamo potuto rilevare in occasione della riabilitazione di Galileo e dei flirt wojtyliani con il darwinismo: la chiesa non controlla più al cento per cento il quadro valori delle comunicazioni di massa e, per salvare quello che davvero le interessa, deve scendere a compromessi sul resto. E così getta alle ortiche, chissà con quanto dispiacere, un classico dell'argomentazione profetico ecclesiastica: la minaccia della catastrofe, del castigo solenne, del dies irae dies illa, che, per ovvia analogia con il diluvio, l'universo a questo punto non ha più ragione di aspettarsi. Per chi deve continuare a esortare a tenersi alla larga dal peccato, deve'essere, con rispetto parlando, una fatica da bestie.
Poi, certo, i teologi possono cercare di recuperare, spiegando che il "mondo" non sarà distrutto, no, ma profondamente trasformato, che, più o meno, è la stessa cosa. Ma chi ha paura della trasformazione? Forse, tutto sommato, la notizia di quel discorsetto del papa alla parrocchia di S. Andrea Avellino era davvero importante.

Post scriptum: spero abbiate apprezzato la breve citazione biblica di cui sopra. É tratta dalla traduzione italiana del 1607 di Giovanni Diodati, un classico delle nostre lettere e uno dei più notevoli esempi di prosa religiosa in lingua italiana. E non vergognatevi se non avete mai sentito nominare Giovanni Diodati: capita a molti. É stato un insigne ebraista, uno dei teologi e dei politici più acuti del suo secolo, nonché il primo a tradurre le Scritture in italiano (e in francese) dai testi originali, ma ha avuto un grave torto: ha aderito alla Riforma. E in quanto "nemico" della chiesa cattolica è stato cancellato dalla storia della cultura italiana: a tutt'oggi non troverete il suo nome in un'enciclopedia o in una storia della letteratura che sia una. L'unica edizione disponibile della sua opera è stampata in Inghilterra, a cura della "Società Biblica Britannica e Forestiera". Tanto per ricordare che la chiesa cattolica non ha più il monopolio sulla cultura, ma qualche posizione di potere la detiene ancora.