Rivista Anarchica Online
Come marca Marcos?
Caro Cacucci, mi pare che alcune tue considerazioni nell'articolo sul Chiapas pubblicato
sull'ultimo numero di "A" meritino
attenzione. Premetto di non sapere praticamente nulla degli zapatisti, se non per quanto letto casualmente su
quotidiani e sulla stessa "A", e non intendo quindi entrare direttamente nel merito della diatriba
libertari/autoritari. Mi ha sorpreso innanzitutto l'uso disinvolto dell'etichetta stessa, visto che definisci
"eurocentrico" "pretendere
di applicare i nostri schemi ideologici a realtà profondamente diverse e complesse come quella
messicana". Ciò
che vale per il termine "nazionalismo" mi pare valga molto di più per il termine "libertarismo". Inbreve,
mi
sembra difficile che lo si possa usare in un contesto come quello della cultura degli indios zapatisti. Tu lo fai
equiparando da un lato il "libertarismo" con la "democrazia diretta", e dall'altro sostenendo che "il modo di
intendere la vita sociale, l'organizzazione del lavoro, la coltivazione comunitaria delle terre, la secolare tradizione
solidaristica" degli indios abbiano appunto caratteristiche libertarie. Per quanto riguarda il primo punto, la
"democrazia diretta" non coincide affatto con il libertarismo, può anzi rivelarsi uno degli strumenti
maggiori di
una logica totalitaria (si pensi a Rousseau). Identico discorso per quanto riguarda il secondo punto: il
comunitarismo e la solidarietà non implicano affatto una concezione di vita libertaria. A me pare che
l'anarchismo
e in senso più lato il libertarismo abbiano un senso peculiare - a meno che non siano ridotti a semplici
equivalenti
di una vita sociale comunitaria o magari collettivista - solo nella società complessa d'Occidente, dove
rappresentano uno dei possibili modelli di una convivenza basata sul pluralismo (etico ed economico), la libera
sperimentazione, la tolleranza. Al contrario di ciò che hanno sostenuto alcuni critici dell'anarchismo
classico,
non si tratta affatto di un'ideologia adeguata al mondo contadino, quanto piuttosto a una società variegata,
socialmente strutturata e altamente industrializzata. Il caso di Ricardo Florés Magon, del PLM e del suo
anarchismo agrario rientra proprio in questa casistica? a fronte di una distruttiva critica dello stato e di ogni forma
di governo, il loro programma concreto era fondato sull'endiade terra e libertà, in un quadro di libera
federazione
tra comuni agricole più vicino a Babeuf che a Bakunin. Ho trovato altrettanto sorprendente l'idea che
sia possibile conciliare la logica militare con l'anarchismo. Tu
chiedi persino Durruti puniva i suoi uomini; "è per questo taccciabile di autoritarismo?" Certo che
sì! Ovviamente.
La logica militare, che pure descrivi alludendo ai rischi di "autoritarismo", è uno dei più potenti
motori dei
meccanismi di gerarchia e dominio, proprio perché innalza l'obbedienza acritica - necessaria per
"difendere una
posizione" e le altre cose che citi - a principio organizzatore della vita associata. Gli eserciti - popolari o meno
- non sono mai libertari, anche se sbandierano il vessillo nero. A tuo parere l'alternativa è "evitare di
ribellarsi".
Certo che sì, anche in questo caso se ribellarsi implica entrare in una formazione armata, che per sua
stessa
natura non può evitare una logica di dominio, ciò significa semplicemente cadere dalla padella
alla brace. É per
questo motivo che buona parte degli anarchici, da William Godwin in avanti, ha sempre nutrito il massimo
sospetto per le "rivoluzioni" condotte con la forza delle armi. Fortunatamente, nella sua lunga storia
l'anarchismo ha concepito altri modelli di intervento, dall'azione diretta
alla propaganda educazionista, dal comunalismo alla disobbedienza civile. Forse ti stupirò, ma alcuni non
considerano affatto "sacrosante" le "ribellioni violente". In quanto alla figura di Durruti, che mi sembra
colpire particolarmente la tua immaginazione, si trattava certo di
una bella figura di guerriero, che agli occhi di taluni anarchici unisce il fascino dell'ideologia a quello del Far
West Bakunin più Jesse James. Ma si trattava pur sempre di un guerriero, con i tipici pregiudizi del genere
(patriarcalismo, machismo, ecc.), non esclusa una certa ferocia totalmente antitetica ai principi dell'umanesimo
anarchico (leggasi, per credere, La breve estate dell'anarchia di Enzesberger). Inoltre, e non a
caso, Durruti non era lontano dai "militarizzatori", cioè da quanti erano convinti che la
rivoluzione si sarebbe salvata solo con la vittoria militare. Il tuo accenno alla situazione della Spagna degli anni
trenta come a un paese "in una fase di guerra rivoluzionaria" mi sembra anch'esso ingenerare confusione. La
guerra civile non era affatto una guerra rivoluzionaria. La "rivoluzione" aveva avuto luogo essenzialmente in
Catalogna, con un sollevamento popolare (per niente interpretabile, nel suo complesso, come "ribellione
violenta") e con qualche altra sacca rilevante in Andalusia, e si era trattato di una serie di iniziative politiche e
sociali che applicavano (o tentavano di applicare) il principio dell'autogestione sia alla sfera della politica sia a
quella dell'economia. La guerra, con l'annessa militarizzazione, - pur se imposta da circostanze esterne - fu la
fine della rivoluzione, non il suo proseguimento. Non vorrei essere frainteso. Ben vengano interpretazioni,
letture e tesi che valorizzino le sfumature libertarie di
esperienze contemporanee (e mi sembra che questo sia il tuo obiettivo). D'altro canto, in questa vicenda del
Chiapas mi sembra di intravedere, sia pure in un quadro complessivo "piacevole", echi di certi antipatici
atteggiamenti della cultura italiana "progressista", sempre pronta a incensare i combattenti del terzo mondo
(Vietnam, Cina, Cuba, magari i Khmer rossi, ecc.), nonostante si tratti di spietati dittatori e di regimi totalitari,
e a idolatrare nuovi eroi (siamo poi certi che vi sia grande differenza tra il subcomandante Marcos, con tutte le
sue precisazioni "libertarie" che fanno tanto colore e tanto piacciono ai media, e personaggi del passato, da Mao
a Castro, anch'essi messi sull'altare a sproposito?). Saluti libertari
Pietro Adamo (Milano)
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