Rivista Anarchica Online
Lo stato delle cose
L'idea di nazione è divenuta oggetto di ricerca tra le due guerre, quando è stata ripresa l'ipotesi
di «carattere
nazionale» e si è affermata in occidente durante il XVIII e il XIX secolo col romanticismo e con la sua
rivalutazione della tradizione. Il termine «nazione» è usato per indicare una popolazione accomunata da
una stessa
lingua e da una stessa cultura, nonché da una comunanza di territorio e di modello economico. Tesi
sostengono
che le nazioni non esistono prima degli stati, ed è lo Stato che come istituzione politico legale e come
apparato
ideologico crea la nazione. Comunque nazione è un concetto recente, non una realtà eterna
ed universale, ma piuttosto storico e contingente
come lo stato. Inoltre nazione e stato non sono sinonimi. É possibile quindi l'esistenza di nazioni senza
stato,
sopratutto nei paesi ex-coloniali, dove convivono più nazioni in conflitto fra loro entro confini disegnati
artificialmente sulla carta geografica. "Miglioramento" e "purificazione" spesso però fanno da fondamento
al
sogno statale, che su basi di presunte identità etnico-linguistiche incontrollate porta ad un nazionalismo
che è il
prodotto del nazionalismo stesso, ossia reazione ad altri nazionalismi già esistenzi in un circolo vizioso
senza fine.
Stato e nazione sono due entità complementari, l'una per l'altra e ciascuna di esse sola rappresenterebbe
qualcosa
di incompleto. Una presunta soluzione a idee quali nazione e stato la diedero Marx ed Engels che nel
"Manifesto del partito
comunista" affermano: "I lavoratori non hanno nazionalità" relegando la questione della
nazionalità ad una
importanza del tutto marginale per quanto essa costituisse un problema enorme e riponendo le speranze nella
coscienza di classe internazionalista proletaria. Quindi dopo la fase cosidetta rivoluzionaria, lo stato sarebbe stato
estinto, previa costituzione di uno stato transitorio detto "dittatura del proletariato" che avrebbe dovuto nel tempo
alienarsi da se stesso. Approdarono invece al dispotismo di una classe sfruttatrice e privilegiata, "la burocrazia"
che, come la borghesia, riconobbe il carattere positivo del progresso e dell'industria. Lenin, poi, riteneva che
il nazionalismo potesse essere utilizzato in determinate circostanze per contribuire alla
causa della rivoluzione comunista, quindi il diritto all'autodeterminazione è inteso solo unicamente
nell'ambito
di quest'ottica. Il sistema federale creato da Lenin e perfezionato da Stalin fu una facciata che copriva uno
stato monolitico e
centralizzato, dove il sistema sovietico ebbe rispetto per lo status nazionale solo nella misura in cui questo potesse
essere funzionale agli obiettivi sovietici-non nazionali (anche se l'essere cittadino sovietico di nazionalità
russa,
secondo il regime di doppia appartenenza apriva le porte a molti privilegi noto come «etnocrazia») e soffocando
focolai non statali e libertari. Anche la nascita dei regimi comunisti nei Balcani, dopo il 1945 sembrò
costituire
una frattura con il passato nazionalistico dell'Europa orientale. La Jugoslavia però, pur proclamando la
propria
obbedienza alla retorica marxista-leninista continuò a perseguire i tradizionali obiettivi nazionali,
poiché la classe
fu sempre subordinata ai sentimenti nazionali, ri-legittimando il nazionalismo per ampliare il proprio
sostegno. Il crollo comunista ha risvegliato aspirazioni nazionali da esso stigmatizzate ma non spente, il
richiamo ad una
nuova integrità nazionale, una omogeneità culturale che rivendica l'assoluto controllo sulla
propria economia.
Riemerge il circolo vizioso (autodetermi - nazione; nazione - internazionalismo; internazionalismo -
autodeterminazione; autodeterminazione - nazione) col quale intendo un infinito processo conflittuale, interno
ad esso, fra due diverse modalità interpretative statali, dove il collante che ne costituisce l'identità
è una unità
teorico-statale di cui la differente ideologia non è che un atomo. Queste nell'assenza di una opposizione
estranea
(non-statale) divengono incapaci di una vera rottura radicale, cioè inette a spezzare la viziosità
del cerchio. Un vero rinnovamento è proponibile solo in vista di una nuova contrapposizione tra due
alternative in vero
conflitto fra loro, ossia quella tradizionale-sperimentata (lo stato in tutte le sue sfaccettature) e la nuova-non
sperimentata (astatale) sempre rimossa o rifiutata a priori. Quest'ultima deve ridare vivacità,
introducendo un'altra identità, proponendo un complesso di modelli e valori
efficienti per contrapporsi alla storicità statale, divenuta assoluta ed inevitabile. Realizzare un'idea
autonoma
rispetto al marxismo (che nelle sue possibilità storiche di sperimentazione si è dimostrato
fossilizzante e
inaffidabile), il dinamismo libertario che deve promuovere con proposte concrete e realizzabili in tempo reale il
passaggio dalla pratica statale a quella di una società aperta e libera. Essa deve innanzitutto riconoscere
al singolo
individuo, avente facoltà di produrre autonomamente la propria felicità, la capacità di
creazione e di scelta sulla
quale costruire la vita anche oltre la collettività, conferire al tutto un nuovo senso, poiché
è in gioco la vita stessa.
Massimo Mannarelli (Milano)
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