Rivista Anarchica Online
Storie dall'altra parte del mondo
di Elena Petrassi
Qualche mese fa abbiamo pubblicato sulla nostra rivista una scelta di brani tratti
dal libro di Pino Cacucci
Camminando - Incontri di un viandante (Feltrinelli Editore - 1996 - L. 23.000),
anticipazione gustosa che mi
ha invogliato ad acquistare il volume e adesso a scriverne. Forse non sarebbe necessario perché i lettori
di A già
conoscono Pino e i suoi scritti eppure voglio farlo perché il suo libro non è solo un libro di viaggio
o di "incontri
di un viandante" come recita il sottotitolo. Camminando è prima di tutto un libro politico
di denuncia, ma non
solo. É anche un libro a tratti poetico, benché la scrittura di Pino sia asciutta e tesa è un
libro di grandi passioni,
una galleria di ritratti, un diario di viaggio. Questo libro è una ricerca di un altrove possibile dove la
politica non
abbia abdicato all'economia, dove il senso dell'agire politico rivendichi pienamente la propria autonomia, dove
il piacere della conversazione, dello stare insieme prevalga su qualsiasi forma di comunicazione virtuale in tempo
reale. Uno degli aspetti che più ho amato di questo lavoro di Cacucci è la pazienza e la
passione che lo hanno portato
a girovagare per l'America latina per ascoltare, chiedere, parlare e riportarci come un viaggiatore dei tempi antichi
le sue impressioni e i suoi ricordi, a noi che siamo qui, sedentari e infelici, incantati dalla televisione (spero pochi)
o assorbiti da Internet, viaggiatori della domenica o dell'estate. Non c'è niente di meno che reale, corporeo,
sanguigno nei ritratti che Pino ci narra. I volti indimenticabili dei tarahumara, i corpi gettati nell'oceano dai
militari argentini in uno dei capitoli più cupi e sanguinari della storia latino-americana, le gambe tranciate
da un
treno al veterano statunitense che manifesta contro gli aiuti americani ai contras e la sua voce che dice "ora so
cosa provano i bambini che perdono le gambe a causa delle mine che noi inviamo in Nicaragua". E ancora le mani
dei contadini che in un luogo da fiaba chiamato La Realidad intrecciano giunchi per costruire cesti e stuoie, la
guerra combattuta da giovani poco più che bambini che combattono contro altri bambini inconsapevoli,
pronti
a morire per 500 dollari al mese in un paese chiamato Nicaragua che forse è vicino a quello dove loro
sono nati
e forse no. La memoria dei vecchi che combattono contro l'oblio e portano con sé ricordi di una
rivoluzione
mancata che ancora oggi ci fa rabbrividire, sono sessanta anni appena o sei secoli che la guerra di Spagna
è stata
combattuta? Gli esuli che cambiano nome per salvarsi la vita, ma non possono dimenticare di essere argentini a
Cuba e cadono in deliquio in un locale cubano dove si suona solo Tango. La voglia di combattere, il desiderio
feroce di non arrendersi all'esistente al pensiero unico, capace di veder il
mondo solo come un immenso mercato dove tutto è merce e dove tutto ha un prezzo, queste sono alcune
tra le
caratteristiche che accomunano il narratore alle persone di chi narra le storie. Un altro aspetto che mi piace molto
di questo libro è il continuo gioco di rimando che c'è tra una storia e l'altra come se ognuno dei
personaggi, le
persone narrate sono personaggi in quanto le loro vite diventano attraverso la scrittura storie esemplari, fosse
partecipe delle vite di ognuno e con ognuno fosse capace di combattere, gioire e raccontare. Ognuno di loro oltre
ad avere vissuto è capace di raccontare una storia, di strappare all'abbraccio mortale dell'oblio i visi amati,
tra
le persone incontrate da Pino ci sono parecchi scrittori: Luis Sepulveda, Ignacio Paco Taibo I e II, Abel Paz tra
gli altri. Uno scrittore scrive e racconta, trasmette ad altri quel che è chiuso nel suo cuore e nella sua
memoria.
Un altro scrittore che appartiene all'altra parte del mondo ma che è un stancabile viandante, un uomo
curioso parte
e va a cercarli. Ascolta, quanta capacità di ascolto ci vuole per poter raccontare con questa abilità,
e scrive. Forse
chiuso in una casa di Bologna con la mente che vaga tra le Ande e la Terra del Fuoco, forse seduto su un treno
o su un autobus scalcagnato, accompagnato giorno dopo giorno da quelle voci che dicono: "adesso ti racconto,
io ero lì, lo conosciuto..." Nel suo ritorno - quanti ne ha avuti verso l'Italia Pino per portarci così
tante storie? -la
memoria diventa necessità di comunicare. Primo Levi scriveva che comunicare è un dovere, Paul
Auster che le
cose accadono a chi le sa raccontare. Pino Cacucci ha il dono della comunicativa e il dono della parola.
Soprattutto ha una grande passione per la
politica che non lo abbandona mai. Una politica diversa da quella portata avanti "dalle socialdemocrazie
interessate solo alla cogestione del potere e non certo alla ricerca di un diverso modello di vita" come afferma
Abel Paz. Tre soli racconti non sono ambientati nell'altra metà del mondo che per noi è lontana
per un mucchio
di motivi: la storia dell'ex-soldato nazista che ha combattuto in Italia durante la seconda Guerra Mondiale, Paolo
Casaroli, bandito pittore in lotta contro il mondo intero, due personaggi, pur nella loro umanità contorta,
estremi
e negativi, e Tania profuga Jugoslava costretta a vivere dagli eventi nel paese che le ha ucciso il marito. Ma
quante anime salve per dirla come Fabrizio De André, anime salve, cioè spiriti liberi. Ad esempio
Maraja,
giornalista spagnola: "Ma se dovessi pensare alle sensazioni, a quel bisogno di risentire odori, suoni, silenzi, allora
è la Bolivia, il luogo che mi ha affascinato maggiormente. Quel cielo notturno di cristallo nero, con le
stelle che
ti cascano in testa... dove il mondo finisce nel nulla, poco alla volta, fino a darti il senso della solitudine assoluta."
I cieli di quel mondo lontano dagli occhi del quale noi siamo quelli strani, sono una delle costanti della bella
narrazione di Pino: "Faceva freddo e c'era la luna piena: per osservare il cielo straordinariamente stellato, bastava
guardare davanti a sé, non in alto." O ancora: ".... l'Orsa Maggiore che è tanto nitida da apparire
vicinissima,
praticamente appesa a quest'albero immenso le cui radici trattengono la memoria dell'intera valle. ..osservo le
luci intermittenti che lampeggiano all'estremità del villaggio. Tutto va bene la pace è ancora con
noi". Il noi è
riferito agli abitanti di La Realidad utopia concreta che in altri suoi scritti Pino ci ha raccontato. Che nostalgia
di quei cieli mai visti, di quelle stelle, di quelle anime che lottano per trasmettere all'eternità "la loro
goccia di
splendore". Alla fine del libro un altro dono, perché questa nostalgia di luoghi mai visti e persone
sconosciute non
ci riduca alla paralisi, alla immobilità, all'accondiscendenza nei confronti del potere, all'inerzia che ci
rende
complici: "Si possono percorrere milioni di chilometri in una sola vita senza mai scalfire la superficie dei luoghi
né imparare nulla dalle genti appena sfíorate. Spostarsi è facile, spesso lo impone il
lavoro, o si vola in vacanza
dall'altra parte dell'emisfero per spedire cartoline, scattare diapositive, comprare ricordini per amici e parenti,
e tornare indietro identici a come si è partiti. Viaggiare con occhi sgranati nati sulle meraviglie altrui
è inutile,
quando l'anima resta chiusa nella cassaforte di casa. Un vero viaggio, si può fare anche camminando a
piedi fino
a un quartiere della propria città, dove vivono, o sopravvivono, persone venute da lontano, spinte dal
bisogno ma
non per questo povere in assoluto. Siamo abituati a considerare gli immigrati come valanghe umane di diseredati
in cerca di fortuna, dimenticando che, per quanto arrivino a man vuote, dentro si portano mondi che non
conosciamo." Se le anticipazioni non vi hanno incuriosito a suo tempo e le mie scorribande nel libro di Cacucci
non sortiranno nessun effetto, peggio per voi. Dal mio canto voglio ringraziare Pino per avere condiviso con noi
un po' dei suoi mondi interiori.
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