Rivista Anarchica Online
Piselli e papere. La differenza tra le differenze
di Filippo Trasatti
C'è stato, c'è e ci sarà qualcosa che distingua in modo netto
e atemporale uomini e donne? La "ridicola
appendice" e le "invereconde labbra" sono davvero quanto basta per distinguere radicalmente due esseri umani?
O non ci sono altri tratti che li distinguano ancor più radicalmente? Sono più differenti un uomo
e una donna di
mezza età bianchi , occidentali, benestanti, del primo mondo o una donna di una grande città
occidentale,
femminista, insegnante universitaria e una donna della tribù dei Lobi in Mali? E davvero val la pena di
cercare
qualcosa che distingua assolutamente i due sessi? Che strategia si persegue cercando la divaricazione originaria?
A questo genere di questioni non risponde il libro di Geneviève Fraisse, filosofa francese, La
differenza tra i
sessi (Bollati Boringhieri, Torino, 1996, L. 22.000). Studiosa vicina a un filosofo francese come
Deleuze, con
qualche inflessione qua e là lacaniana, Fraisse cerca già con il titolo di prendere le distanze da
altre impostazioni
della stessa questione. Si parla di "differenza sessuale" per indicare una posizione filosofica che ha avuto in
Francia la sua massima elaborazione teorica con il pensiero di Luce Irigaray. "Genere" (gender) indica una
posizione di area anglosassone; la categoria si contrappone a sesso per indicare ciò che è costruito
socialmente
a proposito delle differenze tra i sessi. "Sexual difference è connotato biologicamente, e ne è
scaturita la necessità
di creare il "genere", nella speranza di sfuggire a una rappresentazione deterministica"(46) Proponendo
"differenza tra i sessi" Fraisse cerca di lasciare aperta la questione, di non pregiudicarla filosoficamente
applicando le precedenti categorie, già troppo connotate. Il primo passo è importante: nonostante
l'abbondanza
di studi disponibili sull'argomento, Fraisse cerca di costruire un oggetto filosofico, il concetto chiamato
"differenza tra i sessi", dunque qualcosa di nuovo e diverso, da ciò che esisteva prima. Ma poi non sembra
mantenere le promesse. La ricerca infatti trova troppo presto il suo primo punto da approdo e lo costituisce come
fondamento. "La differenza tra i sessi- dice- è la prima delle differenze, quella sulla quale tutte le altre
si
costruiscono e si dicono" (47-48). E più avanti: "la differenza tra i sessi è l'oggetto a partire dal
quale si dispiega
il pensiero, è il materiale con cui si costruisce il pensiero" (55). Altrove ancora in modo più
epocale sembra
suggerire che con l'idea di uguaglianza dei sessi nel XIX secolo comincia inarrestabile il declino della
metafisica, che dunque sarebbe fondata sulla differenza sessuale nell'asimmetria. D'altra parte la rilettura in
questa chiave della storia della filosofia era già stata intrapresa da Luce Irigaray. Queste affermazioni
danno
evidentemente per scontato ciò di cui si va alla ricerca. Si crea insomma un circolo in cui ciò che
si dovrebbe
trovare lo si dà per presupposto. La differenza, come l'uguaglianza non sono proprietà ma
operazioni, atti,
processi. Nella comparazione tra due cose scelgo la pertinenza di certi tratti e l'irrilevanza di altri. Diceva
già il
vecchio Aristotele sulla faccenda: "ciò che è differente da qualcosa è sempre differente
per qualche cosa, tanto
che necessariamente ci dev'essere qualcosa di identico per cui sono differenti". Non c'è dunque differenza
assoluta . Si è differenti per una certa misura relativamente a qualcosa, fino ad arrivare a quella che lo
Stagirita
chiama "differenza perfetta", cioè la contrarietà. Questa volontà di differenziare senza
limite e senza rapporto
cerca il proprio fondamento nel dato biologico: ci sono solo due sessi. Ma il cosiddetto dato biologico è
già da
sempre interpretato culturalmente. Non è nulla di originario, se non per una scelta culturale che poi viene
occultata
sotto la coperta sempre ampia e disponibile del naturale. Non bisognerebbe mai dimenticare che il naturale
è per
l'uomo non ciò che è dato in quanto tale, ma ciò che culturalmente viene situato in
posizione originaria, in un al
di là della cultura. In questo recupero della presunta naturalità vedo una rivendicazione di
differenza che vuol
essere imposta a livello sociale, al di là di ogni discorso. É il paradosso di un discorso, quello sul
sesso, che vuol
cancellare se stesso in virtù di una differenza che lo precede. Se questa differenza radicale fosse vera,
resterebbe
soltanto il silenzio, mentre invece è fittissima da sempre la comunicazione. Ma se i sessi sono due, non
ci sono
due persone che pensino e vivano il sesso nella stessa maniera. E neppure, immagino, la maternità.
L'anatomia
come destino ha prodotto non solo fiumi di inchiostro, ma anche di sangue e sofferenza. Il discorso di Fraisse non
si esaurisce però qui. Con un'altra mossa, quella della storicizzazione, cerca un'altra strada per ricostruire
l'oggetto "differenza tra i sessi". Attraverso (comode) categorie storiografiche (il 1700, il 1800) illustra le rotture
e le modificazioni storiche nella concezione della differenza tra i sessi. Il 1800 , con l'idea di uguaglianza,
metterebbe in crisi la gerarchia soggiacente all'idea di differenza. Il 900, con la psicoanalisi di Freud, fa passare
il discorso sulla differenza tra i sessi dal sesso alla sessualità. Certo con questi tagli un po' grossolani non
si va
molto lontano nell'analisi. Molto più interessante può essere la ricerca di come questa "differenza
tra i sessi"
senza essere un concetto esplicitato, ma essendo inscritta socialmente, visibile e fondamentale, abbia sotto traccia
segnato lo svolgimento di una parte del pensiero filosofico. "Dal colmo dell'immanenza empirica al sostituto
della trascendenza e dell'infinito, la differenza tra i sessi appare e scompare. Non è mai assente, è
più o meno
presente ovunque". (51) Qua e là appare in sordina nei discorsi dei filosofi , associata con altre differenze:
i
bambini, gli schiavi, i pazzi, gli ebrei, gli omosessuali. Ma è interessante vedere come opera. Che rapporto
c'è
tra il pensiero di un filosofo (o di una filosofa) e la sua posizione (consapevole e non) nei confronti della
differenza tra i sessi? In altri termini, come mi situo rispetto all'interminabile serie di differenze originate dalla
differenza tra i sessi? Non che prenda posizione esplicitamente su questo e su quello, ma nel modo di operare del
mio pensiero agisce la differenza. E' un tratto identitario forte e sarebbe assurdo che non avesse alcuna influenza.
Ma non ci sono un pensiero maschile e femminile, una scrittura maschile e una femminile, un amore maschile
e uno femminile: c'è un diverso modo di rapportarsi al pensiero, alla scrittura, all'amore socialmente
e
culturalmente costruiti e storicamente mutevoli. E assai mutati, anche se le resistenze tra donne e uomini sono
molte. Si va verso un'indifferenziazione? E questo, si dice, non sarebbe un impoverimento? Si tratterebbe,
poiché
le differenze sono infinite, di spostare l'accento su altre differenze, di costruire con i corpi un diverso rapporto.
Di liberare i corpi dalla presunta naturalità, dalle identità forti. Forse allora saremmo individui
differenti.
Conclu-diamo con un forse, ed è quello di Judith Lorber (L'invenzione dei sessi): "Liberate/i dalle
disuguaglianze
tra generi, razze e classi, che cosa potremmo essere? Forse ci identificheremo culturalmente come donne, uomini,
eterosessuali, omosessuali, cittadini di differenti paesi, a derenti a diverse religioni, lavoratori occupati in svariate
mansioni, persone di diversa origine biologica e sociale e così via. Forse saremo persone libere di provare
la
jouissance, la passione erotica che si esprime nei corpi umani, nelle identità, nelle credenze più
profonde, nel
lavoro, nell'amore, nella spiritualità".
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