Rivista Anarchica Online
Osteria e anarchia
di Giorgio Sacchetti
Occasione di socializzazione antagonista, non solo luogo di piaghe sociali come l'alcolismo: ecco l'osteria, in
una originale analisi storica
Argomenti come il vino e le osterie sono stati da sempre più soggetti per
l'ispirazione letteraria che non di studio
da parte degli storici, con poche eccezioni spesso remote (1). Eppure la bevanda sacra a Bacco, elemento
mitologico della cultura mediterranea, ha svolto una innegabile funzione di socializzazione nell'Europa latina,
specie fra i nuovi ceti proletari urbanizzati che furono partoriti dalla rivoluzione industriale. Così fra
ottocento
e novecento le taverne malfamate, luoghi deputati alla trasgressione più o meno 'controllata', si sono
rivelate
anche ambienti del tutto idonei all'incubazione della sovversione sociale, all'aggregazione fra le "classi
pericolose" alienate dal lavoro e abbruttite dall'alcool. Non occorre scomodare Rousseau per dare conferma
a quella massima secondo la quale "Spesso la condotta di
un uomo riscaldata dal vino non è che l'effetto di ciò che, negli altri momenti, avviene nel suo
cuore". E di questa
attitudine a disinibire ci parla spesso la letteratura sulle rivoluzioni. Il vino viene associato all'entusiasmo, e
l'entusiasmo può accendere l'immaginazione. Ma questa è una condizione che ancor di
più, secondo canoni
rigorosamente illuministici, doveva essere mitigata dalla Ragione: come un corsiero indomito che si lanci
però
su una via ben tracciata. Già nelle "guinguettes" della Parigi post-rivoluzionaria, il popolo
aveva guadagnato il
diritto a bere liberamente e a buon mercato il così detto vino detassato - in realtà acqua
addizionata di aceto o
liquirizia - ed a fare nuovi brindisi, come: "Alla confederazione di tutti i popoli contro la tirannia". Il tutto
insomma all'insegna dell'antagonismo ma anche della fratellanza. Ed ancora, per venire alla letteratura italiana
del novecento, Ignazio Silone nella sua 'Fontamara' canta il vino asprigno dei "cafoni", un vino buono per gli
amici e la solidarietà, da bere per ricordare ed insieme progettare, e che fa dire ad un personaggio del suo
romanzo
- il Faina, un uomo che procura rifugio ai ricercati dalla polizia - che "Il vino nelle osterie vale poco; ma
chi ci
va a causa del vino? Nelle osterie non si è mai soli, quest'è il vantaggio" (2). Ma
è proprio nel XIX secolo, in concomitanza anche della comparsa della figura nuova del bevitore solitario,
che
si aprono feroci dibattiti "scientifici" intorno al nesso fra propensione all'alcool e immoralità della classe
proletaria, immoralità che si manifesterebbe soprattutto con il disordine nelle famiglie ed i focolai di
discordia
sociale. Le organizzazioni del movimento operaio rilanceranno molto più tardi questa campagna
antialcoolica,
in termini però assai diversi. Si cerca infatti di analizzare il male alle radici individuandone le cause
principali
nelle condizioni di miseria vissute dai ceti popolari; si considera l'alcool come il nuovo oppio dopo la religione,
un vero ostacolo allo sviluppo della lotta di classe. Alla donna in ambito familiare si affida invece il ruolo di
redentrice del deviante. Una specifica legislazione negli stati europei sancisce una maggiore tolleranza verso
il fenomeno se questo si
verifica nella sfera privata, ed è in genere di matrice borghese élitaria, piuttosto che non in quella
pubblica. Il
problema è insomma quello del controllo sociale sulle classi pericolose, sugli emarginati. La bottega del
vinaio
era diventata intanto spazio naturale per la socialità del lavoro, dove pubblico e privato si intrecciano. I
metallurgici, i tessili ed i nuovi schiavi della macchina sono portati a considerare il vino come miracoloso
"carburante" della "caldaia" corpo umano, antidoto alla fatica ed alla tristezza. L'alienazione, il disagio
psicologico dei nuovi soggetti sociali sradicati dal lavoro naturalmente regolato delle campagne e delle botteghe
artigianali si manifesta così in maniera evidente (3). Nel nord dell'Europa le bevande saranno altre
ma in sostanza è sempre il moloch industriale ad indirizzare i
forzati della catena verso l'alcoolismo. Il padre di famiglia che sperpera la paga del sabato all'osteria, immagine
terrificante del "Vicolo del Gin" nelle incisioni di William Hogarth - artista londinese, fra i maggiori
rappresentanti del genere moraleggiante didattico del settecento - si replicherà all'infinito e, fino a qualche
decennio fa, sarà ancora diffusa in quadri murali nelle scuole elementari italiane. Le mense operaie, le
cucine
popolari, ma anche le pizzerie della Napoli del secolo scorso, sono gli altri luoghi conviviali delle nuove classi
inurbate, garzoni e avventizi; luoghi destinati ai vari apostolati religiosi e laici. Sull'onda di Zola, ma anche di
molti scrittori della Scapigliatura, la letteratura sociale lascia le sue testimonianze alla memoria. La tristezza della
miseria si abbina comunque alla gioiosità dei commensali affamati. Nelle taverne fetide bollono le pentole
dei
maccheroni. Cleto Arrighi nel suo "Ventre di Milano" descrive con efficacia questa alimentazione plebea: polenta
fritta e baccalà tutti i giorni, o la ghiotta "repubblica" mistura combinata con gli avanzi del salumaio, pane
fatto
con farina, cenere e polvere di marmo, e vini "che non si dovrebbero bere" (4). Ed a proposito della cattiva
qualità
del vino non manca neppure chi manifesta preoccupazione per la salute dei malcapitati bevitori, perfino nella
Toscana: "(...) fatte alcune eccezioni, si ha un liquido molto imbevibile. Ora siccome in alcune cantine della
nostra zona si vendono vini a 20 centesimi il fiasco, non sarebbe bene che da chi spetta si analizzassero un
momento codesti vini? (...) l'operaio non ci bada attentamente, pur di spendere poco, acquistando talvolta delle
bevande degne solo della corrente del fiume" (5).
Canti sovversivi La fine ottocento in tutta Europa è caratterizzata da
una levata di scudi dei governi, che agiscono per la prima
volta di concerto, nei confronti delle classi pericolose e dei potenziali sovversivi con i classici strumenti di polizia
e con le legislazioni speciali. La repressione di quei comportamenti ritenuti, spesso a torto, "devianti" rappresenta
così l'aspetto più evidente del sentimento di paura che ormai sta attanagliando le classi dominanti.
In Italia questo
è particolarmente vero intorno all'anno 1894, in concomitanza con i fatti insurrezionali di Sicilia e
Lunigiana e
dopo il fallito attentato a Crispi di Paolo Lega. Significativo ad esempio che anche sul quotidiano clericale e
anticrispino "L'Unità Cattolica" si dedichi una rubrica fissa al tema dal titolo "Cronaca dell'anarchia in
Italia". In un clima culturale siffatto capita ad esempio che si proceda ad arresti per questua nella pubblica
via, o che si
incarcerino cantastorie anarchici e socialisti, o che - appunto - si individui in particolare nel frequentatore delle
osterie ai margini degli agglomerati operai un potenziale sovvertitore dell'ordine sociale. Per questo le prefetture
del Regno che hanno competenza su territori "a rischio" emanano disposizioni per sorvegliare questi luoghi di
ritrovo. I canti sovversivi o le manifestazioni sediziose nelle fiaschetterie e nei caffè sono così
motivazioni
sufficienti per chiudere questi che sono ritenuti veri covi di anarchici. Il tutto rientra anche in una vera e propria
battaglia culturale volta ad una certa moralizzazione del comportamento nelle classi sociali
subalterne. Così, nella accezione della stampa benpensante del tempo, l'osteria rappresenta soprattutto
un "covo di perdizione
ove i capi setta del radicalismo, del socialismo e dell'anarchia arruolano i loro gregari, ove la bestemmia ha
tutte le sue forme infernali" mentre (facile profezia) "coloro che sono soliti frequentare quelle
spelonche del vizio,
o presto o tardi passeranno dall'osteria alla galera..." E questa è la descrizione demonizzante che
ne viene fatta:
"(...) antro il cui ambiente è saturo di gas alcoolici e di fumo, e vi echeggia continuamente un
cicaleccio strano,
un vocio incomposto (...) luogo che è per l'operaio sorgente di tutte le sue sventure, e la causa di tutti i
suoi
malanni. É colà che il filosofo ed il sociologo debbono studiare il tipo dell'operaio pervertito e
la questione
sociale. Colle bevande alcooliche l'operaio va incontro a mille malanni fino alla paralisi o delirium tremens e
si procura figli idioti, rachitici, convulsionari (...) Vogliamo che l'osteria cessi di essere il ricettacolo di ogni
operaio (...) vogliamo che la polizia vi eserciti la massima sorveglianza, vogliamo finalmente che coloro che
vantano patriottismo a parole siano patriottici coi fatti intrattenendo spesso gli operai con discorsi e conferenze
morali per ritrarli da quei covi di perdizione e di anarchia" (6). La questione si riproporrà in
termini sostanzialmente identici sotto il fascismo. Il controllo stretto dei locali
pubblici, specie di quelli frequentati da operai, e delle mense e refettori di fabbrica sarà una vera
ossessione per
la polizia segreta di Mussolini, la famigerata OVRA. Nel 1925 a Trieste, con una operazione spettacolare fatta
di decine di arresti e perquisizioni, si chiude il Caffè Union, ritenuto un centro terroristico frequentato
da portuali
anarchici. La medesima cosa si verifica all'osteria "Melafumo" di via Flaminia a Roma con sedici arresti. Per il
medesimo anno molti prefetti relazionano al competente ministero dell'interno di altrettante riunioni tenute da
antifascisti libertari nelle osterie, a Carrara ma anche altrove. Negli anni trenta, in concomitanza di un
incremento dei controlli negli ambienti più popolari, si moltiplicano le
denunzie per grida sediziose e simili, per scritte murali antinazionali. Si inneggia spesso all'anarchia, nelle osterie
e nei luoghi di ritrovo pubblico, anche come semplice gesto di ribellione individuale contro l'autorità
costituita,
come fatto "culturale" scollegato da una qualsiasi militanza. Le segnalazioni in questo senso giungono ancora da
tutte le prefetture del Regno: grida sediziose a Savona e a Torino, canti anarchici a Sondrio ed ancora a Trieste
e Carrara (con decine di assegnazioni al confino per aver intonato "Addio Lugano bella.."), vilipendio alla regina
a Roma, minaccia al Duce a Como, ecc.., ecc.. Durante la guerra di Spagna, mentre fervono appassionate le
discussioni, l'Ovra registra informali riunioni di 'combriccole anarchiche' fra operai nelle mense delle fabbriche
del nord e nelle osterie dei quartieri popolari nelle grandi città del centro-sud (7).
Meccanismo di controllo Ecco l'osteria: occasione di socializzazione
antagonista quindi, oltre che di sempiterne piaghe sociali come
l'alcoolismo. Ma le stesse organizzazioni del movimento operaio, come abbiamo già visto, si erano fatte
a suo
tempo carico di questa grande questione. Questa battaglia di civiltà, invito ripetuto ai lavoratori del
braccio alla
moderazione nel bere, accomuna tutte le correnti del socialismo. É una campagna che vede uniti riformisti
e
rivoluzionari; vi partecipano la "Critica Sociale" di Filippo Turati come la stampa sindacalista anarchica. In
tal senso è davvero drammaticamente significativa la testimonianza di Alberto Meschi (8): "Chi
vi scrive è
figlio di un alcolizzato suicidatosi a 33 anni per il troppo alcool bevuto, ed ha passato la sua fanciullezza nella
casa paterna, resa squallida e triste dalle continue liti tra il babbo e la mamma che ha sopportato il duro calvario
di convivenza con un uomo, alcolizzato, che trasformava la casa, il focolare domestico, in un luogo di tormento
e di dolori inenarrabili. Le sofferenze morali, le privazioni erano tante e dolorose che formano ancor oggi un
ben doloroso ricordo". Lo stesso Meschi, sindacalista mitico dei cavatori apuani prima e dopo il periodo
fascista,
aveva ingaggiato fin dal 1912 una lotta affinché i padroni cessassero di effettuare i pagamenti del salario
nelle
osterie: "(...) I lavoratori si ubriacano mentre aspettano per delle ore nelle bettole la loro paga. Metteremo
fine
anche a questo sistema" (9). In questa rivendicazione, solo apparentemente marginale, c'è tutta
l'intuizione
intelligente del funzionamento perverso di un meccanismo di controllo eterodiretto sulla trasgressione e sulla
socialità operaie.
1) Ad es. lo speciale n.29/1977 della rivista "Recherches", con saggi fra gli altri di G.
JACQUEMET, J.
LALOUETTE e M.R. MARRUS dedicati soprattutto al tema dell'alcoolismo sociale nella Belle Epoque; e C.
PLONEVEZ, L'alcoolisme dans les milieux ouvriers à Paris, 1880 - 1914, Parigi
1975. 2) Cfr. G. MAINARDI, P. BERTA (a cura di), Il vino nella storia e nella letteratura. Feste,
Magie, Storie e
Leggende di un simbolo universale: il fascino del Vino raccontato attraverso la letteratura, Bologna
1991. 3) Cfr. P. ARIES, G. DUBY (a cura di), Histoire de la vie privèe. IV De la
RÈvolution à la Grande Guerre, 1986
Editions du Seuil (passim). 4) Cfr. M. ALBERINI, Nascita della mensa operaia, sta in "La Gola"
Milano, n.25/1984. 5) Dal Valdarno / Attenti al vino, "L'Appennino" Arezzo 26/4/1894. 6)
L'operaio all'osteria, "L'Etruria" Cortona, 14/10/1894. Cfr. inoltre - per la rubrica "Cronaca
dell'anarchia in Italia" - "L'Unità Cattolica" Firenze, a.1894 passim. Fioriscono all'epoca una
letteratura ed una saggistica socio-giuridica in tema di criminologia, studi a carattere più
o meno scientifico legati alla individuazione del nesso fra classi pericolose ed alcoolismo; ne costituisce un
esempio il celebre saggio di A. ZERBOGLIO, L'alcolismo, ed. Bocca Torino
1892. Sull'argomento si attende anche la pubblicazione degli atti del convegno studi, tenutosi a Carrara nel
maggio
1994, su "Il 1894: rivolte e solidarietà popolari nella crisi di fine secolo". 7) Cfr. G. SACCHETTI,
Gli anarchici nell'Italia fascista attraverso le carte di polizia, sta in AA.VV., La
Resistenza sconosciuta. Gli anarchici e la lotta contro il fascismo. I giornali anarchici clandestini,
1943-1945,
Edizioni Zero in Condotta, Milano 1995. Sulla organizzazione delle mense operaie durante il fascismo, si
veda: M. GROSSMAN (a cura di), Mense e
refettori di fabbrica, Confederazione Fascista degli Industriali, Grafitalia, Roma, s.d. ma "anno
XIX". 8) Su "Il Cavatore" organo della Camera del lavoro di Carrara, Massa e paesi del marmo, n.1 del
8/1/1921. 9) Cit. in H. ROLLAND, Il sindacalismo anarchico di Alberto Meschi, La Nuova
Italia, Firenze 1972, p.48. Cfr. anche AA.VV., A memoria dei cavatori apuani. Convegno di studi sul
sindacalismo libertario di Alberto
Meschi. Carrara, 20 febbraio 1993 [Atti], Cobas del marmo, Carrara 1994.
Giorgio Sacchetti (Castelfranco di Sopra, 1951), studioso di storia sociale e del movimento operaio. Redattore
della "Rivista Storica dell'Anarchismo" (Pisa), pubblicista. É sommelier diplomato e "socio sapiente" di
Slow
Food Arcigola. Vive ad Arezzo.
|