Rivista Anarchica Online
Liberarete
a cura di Marco Cagnotti(cagnotti@venus.it)
Tempi grami...
Gli ultimi tre anni hanno visto una vera e propria esplosione dell'interesse per Internet. Quello che in origine
era
solo uno strumento militare destinato a mantenere i contatti fra gli Stati Maggiori dell'esercito americano si
è
trasformato a metà degli anni Settanta in un mezzo di comunicazione e diffusione delle conoscenze in
ambito
accademico. Lo ritroviamo all'inizio dei Novanta come uno spazio virtuale accessibile anche al grande pubblico
e, inevitabilmente, terra di conquista per le aziende. Uno strumento di diffusione delle informazioni nuovo,
potente, veloce e flessibile si presta ad applicazioni originali che ne sfruttano le peculiarità. Come dubitare
che
agli imprenditori, e in particolare a quelli legati all'industria informatica, sarebbe venuto in mente di inventarsi
qualche servizio o prodotto legato alla Rete da vendere alle centinaia di migliaia di persone che sono entrate nel
cyberspazio, o stanno per decidersi a farlo? Ed ecco infatti nascere realtà imprenditoriali nuove: gente
che fino
a ieri era un oscuro tecnico delle grandi aziende di software o uno sprovveduto studente di informatica, dalla sera
alla mattina si è messa in proprio, a vendere browser, o a mantenere motori di ricerca, o a rendere
disponibili
programmi shareware o documenti in formato elettronico. Qualcuno c'è riuscito, e sull'onda della
novità ha fatto
un mucchio di quattrini. Un nome per tutti: Netscape. Sfruttando la vera grande novità del Net degli anni
Novanta,
il World Wide Web, Jim Clark e Marc Andreessen lo hanno trasformato in un gigantesco ipertesto multimediale,
ricco di immagini, filmati, suoni (chi si ricorda più i tempi di Lynx e delle interfacce a caratteri?
eppure
si tratta
di tre anni fa!
). Risultato: alcuni milioni di dollari nelle loro tasche. A partire praticamente dal nulla. E tutti a
gridare al miracolo economico, forse addirittura alla nascita di un vero, pericoloso concorrente per Bill Gates.
Sull'onda della moda, con davanti agli occhi l'esempio di Netscape, un sacco di gente s'è inventata un
mestiere
che avesse a che fare con Internet. Peccato che a tutti quanti le cose stiano andando maluccio
Eh, già,
perché ancora nessuno è riuscito a trovare un sistema sicuro per fare soldi vendendo servizi
attraverso
la Rete. Il risultato è che gran parte delle nuove imprese che si sono lanciate nel cyberspazio hanno dovuto
o
ritirarsi precipitosamente oppure rimanerci ma in una forma neppure lontanamente paragonabile alle più
rosee
speranze. Nessuna grande azienda può più permettersi di non avere un proprio sito pubblicitario,
ma quello che
si deve scordare è di usarlo per farci i soldi. Chi è entrato partendo dal nulla credendo di aver
trovato l'Eldorado,
e per crearsi un capitale con cui lavorare ha deciso di farsi quotare in Borsa, ha fatto male i suoi conti: le azioni
di quasi tutte le aziende che offrono servizi via Internet sono drasticamente in calo. La stessa Netscape, che
nell'agosto '95, all'inizio del collocamento in Borsa, aveva azioni del valore di 25 dollari, dopo un picco che
superò gli 80 dollari tre mesi dopo, si ritrova oggi a essere quotata fra 40 e 50 dollari per azione. Un bel
guadagno,
non c'è che dire, ma certo non quel miracolo di cui tutti parlavano un anno fa. L'ultimo grande exploit
borsistico
risale ad aprile dell'anno scorso, quando Yahoo!, che gestisce uno dei più gettonati motori di ricerca, si
era
collocata con azioni da 12 dollari per vedersele subito lanciare a 33 dollari l'una. Da allora, solo crolli per quasi
tutti, con un generale e indiscutibile trend negativo
e proprio mentre l'indice Dow Jones andava alle stelle (tanto
per chiarire che la tendenza al ribasso non è generalizzata). Le azioni di Infonautics, che offre una
biblioteca
multimediale a pagamento attraverso il Web, sono scese dal valore iniziale di 13 dollari ai primi di maggio
dell'anno scorso ai 4 dollari all'inizio di novembre. Il flop borsistico più recente è quello di
Wired, la rivista di
culto che i fanatici della Rete devono leggere per forza di cose: per tenersi aggiornati, per conoscere le opinioni
dei commentatori più autorevoli, o anche solo perché "fa figo" averla in casa da mostrare agli
amici. Ebbene, la
più nota rivista dedicata alla cybercultura ha un buon successo nella sua versione cartacea, ma
paradossalmente
la sua versione online, Hotwired (http://www.hotwired.com), è
un vero e proprio fallimento. Al punto da dover
essere drasticamente ridimensionata, perché non riusciva a sopravvivere nella forma in cui era stata
pensata
originariamente. Quando Wired Ventures, che edita entrambe le testate, ha deciso di quotarsi in Borsa, la reazione
degli analisti è stata talmente pessimista da dissuaderla dal fare il grande salto. Acquistare le azioni
di una società significa concederle fiducia, e contare sul fatto che quella società
guadagnerà
e si espanderà. Come mai i risparmiatori non si fidano delle aziende che si sono lanciate in Internet? Finite
le
speranze di colonizzare lo spazio esterno che alimentavano l'immaginario collettivo degli anni Sessanta e
Settanta, il cyberspazio sembra essere diventato l'ultima frontiera di fine secolo, eppure
sono in pochi a
scommettere sulla possibilità di guadagnarci. C'è qualcosa che non torna. E questo qualcosa
è nello spirito che
anima gli utenti della Rete, che sono ben felici di trovare un servizio gratuito ma, quando si tratta di scucire anche
solo due lire, fanno orecchio da mercante. Perché? Un mese di pazienza, e ne riparliamo.
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