Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 27 nr. 233
febbraio 1997


Rivista Anarchica Online

La donna, il parto, lo stato
di Emanuela Scuccato

Dovunque, in Occidente come nel Terzo e Quarto Mondo, le donne non sono messe nella condizione di sapere, di essere informate e quindi di poter scegliere consapevolmente il sistema "più giusto" per loro di far nascere

IL PARTO COME STRUMENTO DI CONTROLLO SOCIALE
Che il rapporto delle donne con la tecnologia sia effettivamente un rapporto difficile è fuori discussione. Lo sanno bene quante si sono occupate e tuttora si occupano di questo tema, sia dal punto di vista teorico che da quello pratico. Se è vero, infatti, che in quanto monopolio dei diversi poteri economico-politici la tecnologia resta, dal punto di vista strettamente teorico e decisionale, a latere della vita della stragrande maggioranza delle donne del mondo, è altrettanto vero che da quelle che sono le implicazioni stesse dello sviluppo tecnologico la loro quotidianità è stata ed è stravolta fin negli aspetti più intimi.
Lo mette ben in evidenza ancora una volta la femminista americana Robin Morgan quando, intervistata dalla giornalista e scrittrice Maria Nadotti, rievoca per esempio l'entusiastica teorizzazione della liberazione della donna attraverso le gravidanze in vitro - un'ipotesi, questa, che viene formulata agli inizi degli anni Settanta dalla studiosa americana Shulamith Firestone.
"Oggi, a distanza di vent'anni, sappiamo che quelle tecnologie sono state usate contro di noi", afferma recisamente la Morgan.
Su questo, però, le donne si interrogano già da qualche anno. Si tenta di capire quali siano le strategie - perchè di vere e proprie strategie si tratta - che sottendono i nuovi orientamenti della ricerca scientifica, specialmente per quanto attiene alla riproduzione; ci si vuole rendere conto di quali siano i vantaggi e quali i pericoli delle nuove frontiere della biotecnologia; soprattutto ci si chiede quali siano, in questo contesto, i reali margini di libertà per un'azione consapevole da parte dell'individuo.
"...Esiste un moderno uso del termine "vita" come soggetto sostantivo dove finiscono per confluire, mescolarsi, nutrirsi, istanze religiose, nuove risorse tecnologiche e nuove forme giuridiche del controllo sociale...", scrive senza mezzi termini la studiosa della "storia del corpo" Barbara Duden.
Dunque: "controllo sociale".
Controllare il corpo delle donne ha sempre significato, infatti, poter esercitare un forte controllo anche su tutti coloro con i quali esse entrano in relazione. Spossessarle della gravidanza e del parto, attraverso tutta una rigida serie di riti magico-propiziatori o, all'opposto, attraverso sempre più sofisticati, anche se non meno rituali, interventi tecnologici, significa voler marcare culturalmente e socialmente i nuovi nati, omologandoli fin da subito in un Sistema che non prevede libertà di scelta.
A chi giova tutto questo?
E a chi giova che in virtù e con l'ausilio delle nuove tecnologie la donna sia oggi trattata semplicemente alla stregua di "un sistema uterino di approvvigionamento", come scrive ancora Duden?
Se poi, leggendo i resoconti degli antropologi sui diversi sistemi di nascita nel mondo, ci lasciassimo prendere da facili entusiasmi ed additassimo nell'uno o nell'altro il modello "più giusto" per partorire, peccheremmo senz'altro di ingenuità. Infatti, chi può dire che nascere nella penisola dello Yucatan secondo tutto un antico rituale sia "più giusto" e naturale che nascere per esempio in Svezia, dove le donne, preventivamente informate, possono chiedere e ottenere tutti i farmaci che desiderano per alleviare le sofferenze del parto?
L'unica che avrebbe diritto di parola è, di nuovo, soltanto la donna, intesa nella sua individualità.
Ma di quale donna stiamo parlando?
Di una donna che si è assunta tutte le sue responsabilità decidendo di continuare ad essere "un soggetto cognitivo e decisionale" anche in questa zona oscura che è il passaggio dalla non vita alla vita, come auspica la filosofa del linguaggio Marina Sbisà, oppure di una donna che ha optato per la totale deresponsabilizzazione e che delega agli specialisti non solo la gestione del suo corpo, ma anche la gestione in toto del complesso evento della nascita?
Sempre più spesso, oggi, le donne preferiscono delegare ad "altri" responsabilità che sono soltanto loro. Per esempio, accettando di firmare in ospedale i documenti che sollevano il personale medico - quello stesso che dovrebbe peraltro garantire loro un parto SICURO E INDOLORE! - da qualsiasi responsabilità in caso di complicanze.
Ma per quale ragione è accaduto che sempre più spesso si sia rinunciato ad un nostro "mettere al mondo" in favore di sistemi di potere che talvolta non rispettano i più elementari diritti della donna, del nuovo nato e anche del neo-padre, in nome di un efficientismo che vuole RIPRODURRE alla perfezione l'indiscusso efficientismo di produzione e consumo che caratterizza la nostra società?
Gravidanza e parto ipertecnologicizzati; inseminazioni artificiali; gravidanze in vitro; questo, tra l'altro, lo scenario della riproduzione che l'Occidente sta esportando nel Sud del mondo senza che mai si riesca a stabilire un equilibrio tra quanto di positivo, dal canto loro, le tecnologie hanno indubbiamente da offrire.
"...nella maggior parte dei paesi esiste una completa dicotomia fra il vecchio sistema contadino di partorire e la nuova ostetricia occidentalizzata, e i due sistemi coesistono senza apprendere l'uno dall'altro quel che di positivo possono offrire", ribadisce l'natropologa inglese Sheila Kitzinger.
In ogni caso, dovunque, in Occidente come nel Terzo e Quarto Mondo, le donne non sono messe nella condizione di sapere, di essere informate e quindi di poter scegliere consapevolmente il sistema "più giusto" per loro di far nascere. In relazione alla nostra cultura, la psicoanalista Silvia Vegetti Finzi parla addirittura di "rimozione di ogni rappresentazione interiore della gravidanza e del parto". "Le immagini ci vengono tutte dal di fuori", scrive la psicoanalista "e si proiettano su di uno schermo oscurato, che non sa trascrivere le sensazioni endogene".
Come a dire che le donne sono state scippate a tal punto della loro corporeità, da temere di ascoltare il proprio corpo. Da non fidarsene. Come a dire che si aspettano che sia qualcun'altro a dirgli come si fa e possibilmente: come si fa nel modo più indolore possibile.
Come si è potuti giungere a questo?
Del resto, se il parto è un momento di intensa fisicità, "un MOVIMENTO PROFONDO dell'energia sessuale della donna", come afferma l'ostetrica Verena Schmid, come non aspettarsi che la nostra come le altre società irreggimentino la nascita in modo che nulla, sotto l'impulso di tale e tanta energia, possa sfuggire al controllo sociale? "E' da tenere presente che l'umanizzazione della nascita rappresenta solo un primo passo verso un parto diverso", scrive la Schmid. "Il prossimo dovrà essere la FEMMINILIZZAZIONE, ovvero la SESSUALIZZAZIONE DEL PARTO".
Ma se tutte le società, dalle più "semplici", secondo la definizione della Kitzinger, fino alle più complesse, tengono rigidamente sotto controllo la sessualità dei soggetti che ne fanno parte, come riappropriarsi della nascita e farne uno degli eventi clou del percorso verso un riconoscimento di sè come SOGGETTO DIFFERENTE, non-omologabile in un unico Sistema e quindi, di conseguenza, non-omologabile in un unico sistema di nascita? Come continuare ad essere "un soggetto cognitivo e pensante", politicamente autocosciente, in quella - la gestazione - che sempre più spesso viene considerata una parentesi nella vita di una donna?
Infine: come impedire che la tecnologia venga usata contro di noi, superando una volta per tutte quell'equazione donnaugualenatura, da piegare e sfruttare, che ha permeato, secondo la storica Carolyn Merchant, tutto il pensiero filosofico moderno?

IL DOPPIO LAVORO DELLA MATRONA: LEVATRICE E CONTROLLORA
Il parto, in Europa, è sempre stato fin dall'antichità faccenda di donne e si configurava come momento peculiare della cultura femminile.
A presiedere tutti i parti era la "matrona", una donna anziana della comunità che veniva chiamata ad assitere le partorienti in virtù della sua grande esperienza. "Si tratta di una figura assai complessa, che rimane ancora offuscata, enigmatica, insondata, a causa delle pesanti interdizioni che l'hanno colpita", scrive la sociologa Mariuccia Giacomini.
Depositaria di una medicina popolare di matrice sostanzialmente femminile, figura magico-religiosa che presiedeva secondo un complesso rituale al passaggio di status sociale della neo-madre - da donna a madre, appunto - e del nuovo nato - dal nulla a membre della comunità a tutti gli effetti - la "matrona", che si ritrova indicata nelle diverse tradizioni del nostro Paese anche come "comare", "levatrice", "mammana" e "raccoglitrice", era circondata nelle sue funzioni anche da altre donne: parenti della partoriente, amiche o semplicemente vicine di casa venute a partecipare all'evento. La cosa era considerata talmente ovvia che la stessa iconografia medievale, a riprova di quanto detto, raffigura sempre la neo-madre, nelle diverse Natività, al centro dell'attenzione di un gruppo di donne.
Secondo la COMARE di Mercurio, un'opera del 1596 cui la storica Claudia Pancino fa riferimento per ricostruire l'iter dell'assistenza al parto in quell'epoca, i compiti della levatrice in relazione alla maternità erano essenzialmente tre:
1) "conoscere se le donne erano gravide";
2) "saper discernere avanti che si facesse il matrimonio quali fossero le donne feconde per poter produr figliuoli...il che si conosceva e dalla quantità del temperamento e dalla disposizione de' membri genitali";
3) "aiutar le donne gravide, governarle intanti'l parto, nel parto e doppo 'l parto, tagliar l'ombelico alle creatura e governarle".
Proprio tra il XIV e il XV secolo, contro la "matrona" viene però bandita una vera e propria crociata. In quanto, appunto, trait d'union con antiche credenze e culti pre-cristiani, n onchè esperte di medicina consultate ogniqualvolta ce n'era bisogno all'interno delle comunità, dove venivano tenute in grande considerazione, le comari non potevano infatti non rappresentare un pericolo per i poteri religioso e politico che in quel momento storico si stavano consolidando.
"In tutti i luoghi studiati", afferma la Giacomini "le guaritrici accusate di stregoneria risultano molto numerose". In un primo tempo represse dunque come streghe, le levatrici passarono successivamente sotto tutela della Chiesa e dello Stato che, tramite loro, ebbero modo di esercitare un certo controllo sulla società.
Per poter praticare il mestiere di comare, dal Concilio di Trento in poi, occorre - per esempio - che la donna abbia l'approvazione del suo parroco e che si impegni a farsi veicolo di cristianizzazione attraverso il battesimo. Sul fronte laico, invece, e da un punto di vista più tecnico, i Collegi dei chirurghi cominciarono ad esercitare una certa sorveglianza sulle ostetriche urbane nel Settecento, imponendo loro corsi di formazione ed esami, da sostenere presso le nuove scuole per levatrici che erano ormai sorte in tutte le principali città del Nord Europa.
In Italia, la prima Fondazione di questo tipo sorse a Torino. "L'istituzione dell'ospedale per le partorienti mirava ad essere la base dell'istruzione delle levatrici", ci informa a questo proposito la Pancino, citando il Manifesto del Vicariato del capoluogo piemontese del 19 giugno 1728. Tuttavia, l'ammissione all'Opera era molto ardua. Per poter studiare da ostetrica bisognava presentare una supplica al direttore dell'ospedale corredata da un certificato di buoni costumi rilasciato dal sacerdote della propria parrocchia e dal consenso scritto del marito. Perchè, naturalmente, le aspiranti ostetriche dovevano essere sposate. Non solo. Le allieve dovevano saper leggere ed essere in gradi di pagare, oltre ad uno scudo d'oro che per consuetudine veniva regalato alla maestra al momento dell'ammissione al corso, il vitto, che ammontava ad una "doppia" mensile. E' evidente, perciò, che gli ostacoli che erano stati creati all'esercizio di questo antichissimo mestiere, che affondava le sue radici nella medicina empirica e nelle tradizioni popolari, finirono con l'estromettere proprio quelle donne che ne custodivano i segreti, cioè le donne delle classi subalterne.
Alla fine di sei mesi di corso, se l'allieva aveva superato "l'opportuno esame", se aveva ottenuto dal rettore dell'Opera i certificati attestanti la sua "abilità, obbedienza, attività prestata..." e rettitudine morale, soltanto allora essa poteva "tenere insegna d'ostetrice". La svolta autoritaria impressa nel Settecento al cammino della "matrona" non è tuttavia scevra da lotte e resistenze da parte delle donne, che si scontrarono a lungo con gli ostetrici maschi, perchè la progressiva e massiccia medicalizzazione del parto non avesse il sopravvento sui valori individuali legati alla nascita. Ancora oggi si può dire che la partita non sia del tutto chiusa. Sulla figura dell'ostetrica, sui suoi compiti e sugli stessi modelli di assitenza al parto, si continuano a produrre numerose ricerche e riflessioni, soprattutto da parte di chi questo mestiere lo esercita in prima persona.Ne emerge chiara l'esigenza di superare, una volta per tutte, i ruoli di potere, per porsi nei confronti della donna-madre in una posizione di "assistenza globale, individualizzata e sessuata", come scrive l'ostetrica Verena Schmid, e per sgombrare finalmente la scena del parto "dalla creatività irrazionale, dalla fantasia, dagli atti di fede e dalle curiosità di conoscenza dei singoli" che l'hanno caratterizzata dalla Rivoluzione Francese in poi, come spiegano la ginecologa Anita Regalia e l'epidemiologa Emanuela Terzian, così da "riconoscere alle donne la libertà di capire ed esprimere ciò che la gravidanza e il parto rappresentano nella loro storia e nella loro esperienza" personali.



BIBLIOGRAFIA

Cassandra non abita più qui
Mari Nadotti intervista Robin Morgan
(A viva voce, La Tartaruga Ed. 1996)

Il corpo della donna come luogo pubblico
Barbara Duden
(Bollati Boringhieri, 1995)

La nascita in quattro culture
Atteggiamenti e pratiche ostetriche a confronto
Brigitte Jordan
(I quaderni del nuovo nato, Emme Ed. 1984)

Figura e compiti dell'ostetrica: problemi aperti e possibilità di evoluzione
di Verena Schmid in Come sapere il parto
Storia, scenari, linguaggi a cura di Marina Sbisà
(Rosenberg & Sellier, 1992)

Donne come madri
Sheila Kitzinger
(Bompiani, 1980)

L'altra scena del parto
di Silvia Vegetti Finzi
in Le culture del parto
(Saggi Feltrinelli, 1985)

La morte della natura
Donne, ecologia e Rivoluzione scientifica. Dalla natura come organismo alla Natura come macchina
Carolyn Merchant
(Garzanti, 1988)

Il bambino e l'acqua sporca. Storia dell'assistenza al parto dalle mammane alle ostetriche (sec. XVI-XIX)
Claudia Pancino
(Franco Angeli, 1984)

Nè arte nè scienza: stereotipi e ambiguità dei modelli di assistenza ostetrica
di Emanuela Terzian e Anita Regalia
in Come sapere il parto
a cura di Marina Sbisà (op. cit.)