Rivista Anarchica Online
Lo sguardo e il coltello
A volte si parla, si parla tanto, di tutto. Tante belle frasi e parole galleggiano nell'aria, siamo
bravi a parlare,
criticare, giudicare, puntare il dito, ma soprattutto tutti siamo bravi a nasconderci, a salvarci il culo. Quando
vediamo qualcuno in pericolo, qualcuno che viene deriso, qualcuno che piange, che chiede aiuto, che ci guarda
con occhi spenti, cosa facciamo? Passiamo avanti, abbiamo anche noi i nostri guai, i nostri problemi, insomma
ogni essere esistente su questa terra ha i suoi problemi e non può certo pensare anche a quelli degli altri.
Mi è
capitato a volte di vedere passare davanti a me «stormi» di zingari, ridevano, parlavano anzi urlavano le cose
più
assurde, erano sfacciati fino all'inverosimile. Però ogni volta guardando l'intero plotone mi accorgevo che
in
ultima c'erano sempre le giovani, ragazze di 16-17 anni. Passavano davanti a me a testa bassa, non parlavano,
a volte (poche volte) alzavano gli occhi, quegli occhi che ricordo ancora, spenti e allo stesso tempo supplichevoli.
Nel loro modo di camminare la voglia di estraniarsi, la voglia di essere come tutte le ragazze di quell'età,
il
desiderio di essere accettate, soprattutto i desiderio di essere accettate. Quando mai abbiamo visto delle ragazze
zingare andarsene in giro in motorino, andare in pizzeria, o semplicemente passeggiare con il loro ragazzo in un
bel parco mano nella mano... mai, non le abbiamo mai viste. È logico, diranno alcuni, non lo vogliono,
loro
vivono bene così, il loro divertimento è rubare, non ci pensano neanche a queste cose, non sono
come noi... ed
è proprio qui che ci sbagliamo, loro sono proprio come noi, loro non sono un loro qualunque, sono
persone,
persone con nomi distinti, Cristina, Deborah, Francesca, Maria, Luana, sono proprio ragazze come
noi! Perché ostinarci a credere che loro non vorrebbero essere come noi, avere le nostre stesse
possibilità, io da ragazza
18 enne penso proprio che tutte le ragazze adolescenti o comunque ancora giovani abbiano gli stessi desideri, le
stesse speranze, gli stessi bisogni, gli stessi diritti perché siamo tutti uomini. Altre volte invece vediamo
camminare ragazzi/e portatori di handicap allora, presi da una vena di compassione li guardiamo con occhi dolci
e volte addolorati e ci limitiamo a pensare (momentaneamente) e poi a comunicare ai vicini appena sono passati:
«hai visto, poverini, non è giusto, a volte si vedono di quelle cose in giro...» ma tutto si ferma a queste
misere
parole. Nessuno pensa ad aiutarli veramente o a fermarli per fare 2 chiacchere, tanto non capiscono, poverini, non
sono come noi, non ci arrivano. A che pro fermarsi a parlare, con loro non si possono fare discorsi seri,
poverini. Ecco quali mostruosità può
pensare la mente umana, quali umiliazioni infligge... Sì perché loro, anche loro come noi sono
esseri umani, e che
esseri umani! Purtroppo noi ci fermiamo solo alle apparenze, ci basta guardare l'aspetto fisico del vicino per
giudicarlo e, o condannarlo, o muoversi a compassione, eh no, siamo proprio tutti da rifare. Dobbiamo metterci
in testa, ma mettercelo bene dentro, che tutti siamo uguali e che dobbiamo trattare tutti allo stesso modo,
dobbiamo anche metterci in testa che a volte uno sguardo compassionevole ferisce più di un coltello
conficcato
nel cuore. È questa forse, anzi senza forse, la forma di razzismo più dura e vergognosa che ci sia.
Di solito, per
non dire sempre, si pensa che il razzismo sia solo quello di alcuni «pagliacci» nei confronti di neri, barboni, ebrei,
e via dicendo, alla televisione si parla spesso di qualche fatto di razzismo, di qualcuno preso di mira o tanto
meglio si parla di quei cartelloni che appaiono a volte, molte volte, negli stadi, cartelloni su cui risaltano degli
slogan razzisti. Ma perché, perché si fa questo? Perché i nostri occhi e le nostre orecchie
vedono e sentono solo
queste parole. Perché? Secondo me, nemmeno questi sono aspetti da sottovalutare ma nemmeno da
risaltare, in
fondo finché non si passa ai fatti, restano solo parole, parole che poi vengono mangiate dal vento, parole
che
possono ferire ma non feriscono, parole che si cancellano. I silenzi, i silenzi nessuno può cancellarli, la
nostra
indifferenza, la nostra poca volontà, queste sono le cose che devono preoccupare. Noi sentiamo parlare
ogni
giorno di qualche atto minatorio contro qualcuno che qualcuno a ritenuto diverso da se stesso e cosa facciamo?
Nulla, nulla, anzi ci limitiamo a ferire di più il ferito con qualche frase di «consolazione», con qualche
occhiata
compassionevole, con qualche silenzio che a volte parla più del mondo (Non è solo una frase
fatta, è di più , di
più). Tutte le forme di razzismo sono preoccupanti sia quello fisico, che quello mentale, basta sapere che
esiste
anche il razzismo mentale, basta sapere che anche ignorando degli occhi spenti e supplichevoli o provare
compassione per qualcuno vuol dire essere razzisti. Non limitiamoci a guardare solo le grandi azioni ma
guardiamo anche e soprattutto le piccole cose che ogni giorno ci girano attorno. Il silenzio fa male molto
più di
un bastone, l'indifferenza uccide più di una bomba. Solo quando vedremo tutti gli occhi, e non sentiremo
più
«frasi meschine» potremmo anche preoccuparci di quei cartelloni con le parole mangiate dal vento!
Elisabetta Monetti (Vigonovo -Ve)
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