Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 232
dicembre 1996 - gennaio 1997


Rivista Anarchica Online

La libertà in un luogo chiuso
intervista di Filippo Trasatti a Margherita Turroni

Aprirsi alla creatività e alla libera espressione, mettendo tra parentesi le finalità per ritornare alle fonti del proprio sè. L'esperienza del Closlieu

«Il segreto del nostro male collettivo è rintracciabile nella repressione delle capacità creative spontanee dell'individuo»
(H.Read)

Entro nel closlieu con timore e curiosità e scopro che è davvero un luogo chiuso, piuttosto piccolo, senza finestre, con le pareti ricoperte da tenui tracce multicolori, migliaia di piccole onde, segnali di energia. Mi ha portato fin qui Marta, la figlia di un amico, una bella bimba dai riccioli biondi, che per un anno ha frequentato il closlieu tenuto a Milano da Margherita Turroni.
Margherita parla con passione della sua esperienza e di questo luogo protetto in cui, modestamente, cerca di far crescere la libertà. É a lei, praticien del closlieu che ho visitato, che chiedo di cercare di spiegarci di che si tratta, com'è nato.
Il closlieu è un ambiente creato da Arno Stern un ebreo di origine tedesca. Emigrato in Svizzera con la sua famiglia, Stern comincia a lavorare in un orfanotrofio che raccoglie bambini di età diverse, con esperienze diverse. Suo compito è di occuparsi della parte cosiddetta creativa. Stern aveva già una particolare attenzione all'evoluzione del bambino, una disposizione a seguirli con un occhio non prevaricatore. Il disegno a soggetto obbligato gli sembra un'imposizione inutile al bambino, così prova a esplorare le potenzialità del disegno libero, scoprendo che faceva emergere dei materiali di straordinario interesse, senza che ci fosse da parte dell'educatore nessun suggerimento. A un certo punto l'istituto dovette chiudere, Stern si trasferì a Parigi con la famiglia e decise di aprire un laboratorio a cui potessero accedere tutte le persone che avessero voglia di disegnare, indipendentemente dalla provenienza e dalle capacità. Era l'atelier di pittura, che chiamò l'Acadèmie du jeudi perché giovedì era la giornata dedicata a questo lavoro. Da questo laboratorio ricchissimo di esperienze nacque in seguito il closlieu.
Il closlieu è davvero un luogo chiuso, molto spartano, perfino freddo e triste per chi lo vede dall'esterno, per chi non ha provato a viverci.
Al closlieu Stern è arrivato gradualmente, per tentativi, provando e riprovando le diverse soluzioni possibili che non sono frutto di un'imposizione, ma dell'esperienza acquisita nel lavoro di anni. E io ho potuto sperimentare direttamente come le sue indicazioni siano in effetti efficaci. Innanzitutto c'è una stanza spoglia, non troppo grande, né troppo piccola. Ci sono un gruppo di persone che dipingono su fogli appesi alle pareti e al centro la tavolozza dei colori che è lo strumento collettivo, il luogo degli incontri e degli scambi. Il fatto di stare in piedi è molto importante perché favorisce la libertà di movimento di tutto il corpo, perché la postura eretta è più salutare per il bambino, ma anche per l'adulto, e infine perché consente un gesto molto più ampio e libero che è anche la conquista dello spazio. Anche la tavolozza collettiva acquistò gradualmente un senso, perché se inizialmente era dettata da ristrettezze economiche, in seguito divenne un luogo centrale del closlieu , che creava un equilibrio tra il momento individuale che è legato al dipingere ciascuno sul proprio foglio, al momento collettivo quando tutti arrivano alla tavolozza per prendere il colore che serve. Secondo Stern è molto importante che la persona impari a essere se stessa, a stare nel proprio spazio personale in mezzo agli altri. La tavolozza collettiva è dunque un pretesto per far sì che tutti accedano ad uno spazio comune, rispettando questo strumento, ad esempio non sporcando i pennelli (per ogni colore c'è un pennello) che poi servono agli altri. Il foglio è invece assolutamente personale, nessuno può interferire. La persona può dipingere ciò che vuole su questo foglio, in totale assoluta libertà. Nessun tipo di consegna né di suggerimento.
É veramente raro che dei bambini vengano lasciati in una situazione di libertà così ampia, con delle regole minime di rispetto, al di fuori della famiglia, in un gruppo misto. Direi quasi che non esiste l'equivalente. Una bambina esce da scuola alle quattro, dopo che tutto il giorno qualcuno le ha detto che cosa deve fare; il papà l'accompagna al closlieu e le domanda com'è andata la giornata, che cos'ha fatto e non fatto, che cosa deve fare per domani. Poi la bambina entra nel closlieu e all'improvvivo si trova in una sorta di zona franca in cui può agire senza essere giudicata, senza dover fare o dover essere qualcosa.
In effetti nel closlieu si crea una situazione particolare, perché è difficile che soprattutto i bambini vengano lasciati in questo stato di libertà per fare cose senza nessuno scopo. Di solito c'è sempre un intervento o per insegnare o per correggere. Nel closlieu si vuole che la persona attinga esclusivamente da se stessa, lasciando fuori il mondo degli altri. La vera creatività, secondo Stern, accade nel momento in cui la persona entra veramente in contatto con la propria essenza che non è giudicabile in nessun modo. Non si parte da gradini diversi, chiunque è in grado di prendere in mano il pennello per esprimersi. Qui non si fa dell'arte. Stern tiene molto a questa distinzione. Non vuole creare il piccolo artista che dipinge. Se vorrà lo farà al di fuori del closlieu. In questo luogo chiuso si devono escludere, mettere tra parentesi le finalità, per ritornare alle fonti del proprio sé. Per me il dipingere nel closlieu è un po' come una meditazione in cui si sta in contatto con se stessi; creare uno stacco con ciò che sta fuori di me per entrare in contatto con qualcosa che sta dentro di me. Questo non è finalizzato ad alcunché. Non devo comunicarlo ad alcuno. Nessuno deve sapere e indagare su ciò che faccio nel closlieu neppure i genitori. Ecco perché i disegni fatti nel closlieu non escono mai da quello spazio. La libertà ha bisogno di una protezione. L'espressione libera che accade lì dev'essere preservata dagli occhi del mondo.
Che cosa differenza l'espressione spontanea dall'educazione artistica?
Ex-pression significa far uscire all'esterno il magma vulcanico che abbiamo dentro attraverso la mano e gli strumenti essenziali. Il pennello è il prolungamento della mano, i colori lasciano le tracce visibili dei nostri movimenti. Già la parola «educazione artistica» è un controsenso: significa dare delle direttive ben precise, tenere la persona su un sentiero che si ritiene il più giusto. Artistico per me è invece il campo dell'improvvisazione, dell'emozione. Anche lasciando da parte l'Arte, con la A maiuscola, secondo Stern non è corretto definire arte quella dei bambini. Il bambino fa solo ciò che può fare, non inventa delle cose, non esplora nuovi territori. Il bambino in uno spazio libero fa solo ciò che può, non va oltre le proprie capacità ma le approfondisce, le saggia in tutti i limiti. Una delle caratteristiche più importanti dei dipinti dei closlieu è chiamata «reiterazione», cioè la ripetizione di un colore, di un oggetto, di una forma o di un tracciato nel tempo. Per noi la permanenza è un dato importantissimo nell'espressione. Vuol dire che la persona si sta affermando. Stern parla di plus-etre, non essere di più, ma essere di più come già si è con un'intensità diversa.
Dev'essere difficile muoversi in uno spazio del genere, esserci senza urtare nessuna libertà. É un po' come camminare in punta di piedi in una cristalleria.
Nel mio closlieu ci sono gruppi che vanno dalle 5 alle 10 persone, di età diverse. La differenza di età è molto importante perché spezza la competizione. Un bambino di cinque anni non si mette a competere con una donna di trent'anni. A poco a poco si creano tra queste persone dei rapporti peculiari: non sono d'amicizia, d'amore o di confidenza. É come se si mettesse in comune quella parte di se stessi che teniamo in un cassetto perché è la parte più fragile, che gli altri tendono a danneggiare. É semplicemente l'imparare a co-esistere, a essere vicini a un altro senza giudizio. Una coesistenza di due esseri viventi, al di là delle differenze di età. La nostra società segrega per fasce d'età e in questo modo alimenta la competizione. Qui si cerca appunto di andare oltre. Non c'è dimensione pedagogica. É un tentativo di ritrovare un'umanità perduta attraverso la creatività e l'espressione personale. Per un'ora e mezza queste persone che all'inizio non si conoscono stanno nel closlieu a lavorare insieme. Parlano, ridono, scherzano di tutto, tranne che del dipinto. Io intervengo per bloccare ogni comunicazione che riguardi il disegno. É una regola fondamentale che va rispettata perché possa esserci libertà nel lavoro individuale. Io passo da una persona all'altra; vado da chi mi chiama a portare una puntina, o un foglio perché magari vuole allargare lo spazio del foglio, per togliere una goccia, per preparare un giallo più intenso. Li aiuto a preparare le misture. Io sono una praticien, come dice Stern, termine che non ha una traduzione fedele. Gli si avvicina abbastanza «servitore dei gesti». Qui «servire» sta per essere a disposizione nel favorire i gesti dell'altro. Non tutti riescono a chiedere, preferiscono fare da soli. I bambini riescono a chiedere più facilmente, imparano presto a sfruttare come vogliono un adulto che per certe cose è totalmente a loro disposizione. Un adulto che non cerca di manipolarli, che non ha potere su di loro, che li lascia liberi di fare e li aiuta solo se glielo chiedono.
C'è un'evoluzione nel modo di lavorare nel closlieu?
Ogni persona ha un suo percorso. Arriva qui carica delle sue aspettative e pian piano si rende conto che le aspettative non si realizzano. Questo è il momento più difficile. Quando si rende conto che qui non accadono cose particolari, che io non dò né un giudizio positivo né negativo sull'evoluzione delle persone. Nell'adulto facilmente c'è il rifiuto del closlieu perché non sopporta di star qui senza uno scopo definito. Magari dice non serve a niente. Il bambino ha chiaramente un'aspettativa diversa. Può stufarsi, ma non c'è una proiezione in un futuro in cui chissà cosa mi darà l'atelier. Invece questo c'è nei genitori. L'ostacolo sono i genitori che magari dopo quattro o cinque mesi vengono a un colloquio e mi chiedono: allora a che punto siamo? Io dico: beh, non siamo a nessun punto, suo figlio viene volentieri, gli piace, questa è la cosa che conta, che si diverta, che sia contento di convivere. Ma allora io pensavo, e via con le aspettative. Molti arrivano con la propria idea e se ne vanno con la propria idee, senza aver capito il senso di questa esperienza. Altri iscrivono i bambini con superficialità, perché non hanno trovato al momento altro da fargli fare. Ci sono alcuni che invece credono in questo tipo di lavoro, ma tra i genitori sono decisamente mosche bianche.
Parliamo della teoria che Stern ha formulato a proposito dei cosiddetti «tracciati». Devo dire che per me è la parte più difficile da capire, abituato come sono a svalutare il dato «biologico», sopravvalutando quello culturale.
Il punto di partenza è l'osservazione compiuta da Arno nel corso di ormai mezzo secolo. Lasciando libertà assoluta di dipingere agli individui di ogni età Stern si è reso conto che in realtà ritornavano sempre gli stessi tracciati. Per «tracciato» lui intende proprio la struttura dell'immagine. Per esempio il sole è rappresentato come un tondo con dei raggi intorno. Lo si denomina «sole»; la struttura, il tracciato è un cerchio con dei raggi. Se si guardano i dipinti dei bambini si vedono questi stessi tracciati utilizzati in altri contesti, ad esempio nelle mani o la testa di un personaggio o i fiori, le ruote ecc. Stern ha cominciato a classificare questi tracciati, a riordinarli secondo un ordine «evolutivo» che corrisponde a una certa evoluzione della persona. Si parte dal cosiddetto «scarabocchio» (termine che in realtà Stern rifiuta perché ha qualcosa di dispregiativo), alla forma a goccia, fino alla nascita dell'angolo e così via. Ha così cominciato a creare una sorta di grammatica dell'arte infantile. Non contento di questo, circa 40 anni fa, andò in giro per il mondo in Perù, in Guatemala, in Afghanistan, in Africa cercando popolazioni non scolarizzate per farle disegnare con i colori. Riportando a casa questa mole di materiale scoprì che le stesse forme, gli stessi tracciati si ritrovavano, pur con pretesti figurativi diversi, nelle più diverse popolazioni. Ha cominciato allora a codificarle, a formulare delle teorie. Se tutte le persone, indipendentemente dalla provenienza sociale o etnica, dall'età, arrivano a disegnare in un contesto di non condizionamento sempre questo tipo di forme vuol dire che è un codice innato nella persona, un codice universale. Stern parla addirittura di un «codice genetico». Per lui in noi c'è una «memoria organica», una sorta di deposito antichissimo dove sono state registrate tutte queste forme. Questi tracciati che escono nel closlieu non sono altro che l'emanazione di questa memoria organica. Cioè questo codice univerale che noi ritroviamo solo nel closlieu è la rappresentazione, il linguaggio di questa memoria. Eppure ciascuno ritrova la traccia di questa memoria organica attraverso un percorso assolutamente personale. Una volta che la persona ha lasciato fuori il condizionamento del mondo, il giudizio su di sé proprio e degli altri, si sente libera e a quel punto ha la possibilità di emettere questo tipo di tracciato che è assolutamente intimo, personale e che non uscirà mai dalle quattro mura del closlieu.
Alla fine le pareti si sono dilatate. Questo luogo chiuso è un tramite attraverso il quale percepiamo qualcosa di più essenziale della nostra comune umanità profonda: la libertà di esprimersi.