Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 231
novembre 1996


Rivista Anarchica Online

Il buono, il brutto e il cattivo
di Maria Matteo

La strada che gli anarchici hanno intrapreso accettando e facendo proprio il senso profondo della modernità, ossia la scommessa sulla libertà, è una strada difficile ed irta di ostacoli

Da quando, due secoli orsono, l'idea che la libertà potesse essere il fondamento dell'agire sociale ha scosso sin dalle fondamenta le società occidentali, l'azione individuale e collettiva degli uomini e delle donne, non più posta sotto i vincoli e le tutele di un ordine indiscusso ed indiscutibile perché voluto ed istituito da dio, è divenuta oggetto di riflessioni e discussioni sempre, costantemente, irrisolte.
In questi due secoli la natura, la storia, la scienza, mediocri sostituti laici di dio, si sono dimostrati assai meno longevi ma sicuramente altrettanto capaci di ispirare concezioni del vivere associato ingiuste, autoritarie, non di rado ferocemente sanguinarie: è la triste parabola del nostro secolo, un secolo segnato dagli orrori del fascismo e del comunismo, dalla ferocia del capitalismo. Gli stessi istituti democratici dell'Europa e degli Stati Uniti, certo meno rozzi sul piano repressivo, tuttavia sono ben lungi dall'incarnare uno spazio sociale improntato alla libertà sia sul piano politico sia su quello economico nonché, ovviamente, nel più immediato ambito delle libertà individuali.
La modernità appare quindi contraddistinta per un verso da regimi autoritari che traggono la propria fonte di legittimità da principi sì laici ma altrettanto astratti di quelli teologici: poco importa che il riferimento sia un più raffinato materialismo storico od un grezzo mito di terra e sangue; l'altro versante su cui la modernità si declina è quello democratico, che, demandando formalmente la sovranità al popolo, di fatto si configura come elegante sistema di ricambio delle élite in cui l'eticità si riduce a mera ed astratta formula giuridica, capace di prescindere dalle materiali condizioni di esistenza nonché dai progetti di vita dei singoli, concreti individui.
L'unico approccio alla libertà che la ponga come nucleo costitutivo dell'assetto societario è quello anarchico, poiché l'anarchismo non annulla la libertà in un principio superiore che di fatto la nega e nemmeno si accontenta di una libertà depotenziata, asservita ad un interesse collettivo, formalmente neutro ma in realtà riconducibile agli interessi dei gruppi sociali dominanti.
All'interno della vasta e poliforme galassia anarchica le correnti che più si sono mostrate sensibili a questioncelle quali l'edificazione di una società libertaria, la necessità di un'intima coerenza tra mezzi e fini e, conseguentemente, il bisogno che un saldo rigore etico accompagni ogni scelta sull'aspro terreno del conflitto politico e sociale hanno con forza perseguito l'autonomia, ossia la capacità di dar forma a norme che sono volute, elaborate, scelte da coloro cui si applicano.
Tali norme, lungi dal configurarsi come corpus rigido, difficilmente trasformabile ed universalmente valido sono liberi accordi che vincolano unicamente solo coloro che li sottoscrivono e che, in ogni caso, possono in qualsiasi momento essere cambiati anche in modo radicale. Quest'approccio, ben diversamente dalle impostazioni autoritarie, non escluse quelle democratiche, e parimenti distante da una concezione amorale dell'agire umano che anche nel movimento anarchico ha trovato qualche sostenitore, concepisce le norme non come vincoli imposti dall'esterno ma come concreto estrinsecarsi di una pratica di libertà.
Naturalmente ciò non implica che l'autonoma produzione di regole di per sè garantisca sulla natura libertaria delle stesse: non è difficile immaginare la libera assemblea di un qualche paesino del profondo nord italico decidere liberamente la deportazione di tutti gli stranieri. Nella polis ateniese le assemblee erano aperte a tutti i cittadini: peccato che la nozione di cittadino escludesse gli schiavi, gli stranieri, le donne ed i maschi con meno di trent'anni. E' quindi evidente che se l'autonomia è condizione necessaria all'aprirsi di un ambito sociale libertario non è tuttavia condizione sufficiente, poiché non basta scegliere in libertà ma occorre anche scegliere la libertà.
Questa concezione dell'anarchismo comporta l'assunzione della libertà come principio etico capace di ispirare l'azione politica e sociale: tale principio è in nuce contenuto nella asserzione bakuniniana per cui la mia libertà è tanto maggiore quanto maggiore è la libertà di tutti. La libertà non è quindi solo mera precondizione del nostro agire, ma sua esplicita ed intrinseca finalità, non è solo libertà da ma anche e non secondariamente libertà di.
Ne deriva una straordinaria difficoltà a scindere l'agire umano secondo le categorie dell'etica e della politica o, magari seguendo le nozioni di profitto o di interesse collettivo, poiché l'anarchismo concepisce l'azione individuale e collettiva sia sotto il profilo politico che economico come inesausta tensione a perseguire un'intima coerenza tra mezzi e fini, tra obiettivi da perseguire e mezzi per riuscirvi. Ne consegue che sia le modalità organizzative sia i metodi d'azione sono oggetto di gran dibattito all'interno del movimento anarchico. E' un dibattito che negli ultimi anni ha visto il riemergere di una tendenza, invero da sempre storicamente del tutto irrilevante e minoritaria, che punta sulla valorizzazione acritica dello spontaneismo dei desideri e delle pulsioni individuali, assurte a unico criterio orientativo dell'azione. Questa concezione che nega la valenza etica della scelta anarchica, che ha invece un'indiscussa centralità nella prassi e nella teoria della gran parte delmovimento nelle sue componenti, siano queste ad impronta individualista o comunista, organizzatrice od antiorganizzatrice, è stata purtroppo frequentemente oggetto delle attenzioni privilegiate dei mezzi di informazione, più interessati a tracciare l'immagine crudele, romantica ed idiota dell'anarchico bombarolo e terrorista che a dar conto delle lotte, delle iniziative e dei programmi di chi concretamente persegue l'obiettivo di una società di liberi ed uguali.
Si dice che talora la vita imiti l'arte: può altresì capitare che qualcuno si innamori della propria caricatura, interpretandone con convinzione i tratti più marcatamente farseschi. Così l'anomia sociale crescente che caratterizza precipuamente gli spazi metropolitani dell'occidente, ove anche gli stili di vita più radicali divengono rapidamente merci disponibili a prezzo più o meno elevato, trova risposta nel tentativo di segnare frontiere che il mercato ed il potere politico non siano in grado di attraversare.
Capita pertanto che ai margini dell'impero, negli interstizi del sistema, crescano le più disparate sottoculture, la cui indiscutibile abilità creativa si coniuga con la sostanziale incapacità di prefigurare una radicale trasformazione sociale. Alcune componenti di queste culture metropolitane, che talora si sono anche intersecate con l'anarchismo, sono state talvolta capaci di dar luogo ad autentici fenomeni di sottrazione alle regole della rappresentanza politica e del mercato; altri segmenti, che dell'anarchismo hanno privilegiato la caricatura che di esso solgono tracciare i media, si dilettano nell'esaltazione di miti illegalisti, rinunciando altresì ad ogni reale dimensione progettuale, ad ogni tentativo di trasformare l'esodo dallo stato e dal capitalismo in transito verso una nuova società.
In qualche modo la sapiente pervasività dell'ideologia democratica finisce con l'avviluppare anche alcuni dei suoi più acerrimi nemici, che, non sapendo immaginare un ribaltamento delle regole del gioco, credono di poter giocare una partita senza regole e, così facendo, non fanno che riproporre, specularmente rovesciate, le regole della democrazia. Tipico della democrazia è il ridurre la libertà ad un osso che solo i più forti sono in grado di addentare; al contrario l'anarchismo pensa la libertà non come ad un mero bene di cui fruire ma come principio capace di costruire un ordinamento sociale giusto perché fondato sulla piena realizzazione dei singoli percorsi individuali.
Quella democratica è una concezione debole della libertà, poiché la libertà si riduce ad un astratto giuridismo, il cui scopo non è renderla possibile ma arginarla, limitarla, renderla pienamente accessibile solo a pochi privilegiati. Che senso ha parlare di libertà di espressione quando i mezzi di informazione sono concentrati in poche mani? Che peso hanno le libertà sindacali se il diritto di rappresentanza è pienamente riconosciuto solo ai sindacati di stato? Che significato può avere l'uguaglianza del diritto tra diseguali?
L'approccio anarchico alla libertà è invece un approccio forte, poiché pone ciascuno di fronte alla diretta responsabilità delle proprie scelte senza nè vincoli nè ripari, poiché affronta a testa alta la difficoltà e la sfida di pensare un mondo senza dei e senza tutori, ossia un mondo la cui storia non è disegnata in cielo, nelle leggi naturali o storiche ma è continua e costante creazione umana.
La strada che gli anarchici hanno intrapreso accettando e facendo proprio il senso profondo della modernità, ossia la scommessa sulla libertà, è una strada difficile ed irta di ostacoli, poiché è una strada che si percorre nel momento stesso in cui la si apre. Di qui discende la grande attenzione riservata alle questioni organizzative, alle modalità decisionali, alle forme ed ai contenuti del proprio intervento, la mai sopita attitudine critica, la capacità di mettersi continuamente in discussione, il rifiuto di farsi orientare nelle scelte da stolidi criteri maggioritari, la convinzione che la trasformazione sociale diviene possibile solo se è voluta e che, quindi, non può essere imposta, guidata da alcuna élite o partito rivoluzionario.
La dialettica tra etica della convinzione ed etica della responsabilità, ossia da un lato l' adesione ai valori e il perseguimento dei fini a questi connessi e dall'altro la valutazione attenta e rigorosa delle implicazioni del proprio agire è il perno su cui si regge l'anarchismo sociale, che è gradualista non perché pensi che questa società sia riformabile, ma perché non vede possibile una rottura rivoluzionaria che non coinvolga la gran parte del corpo sociale, perché vuole che l'esodo dal capitalismo e dalla democrazia sia opera di molti e non di pochi. È antiviolento perché riconosce nella violenza la peggiore delle sopraffazioni, il peggiore degli autoritarismi, quell'autoritarismo che trova la sua forma più compiuta nello stato che si arroga il diritto di esercitare il monopolio della violenza, picchiando, uccidendo, sequestrando nelle galere, obbligando gli uomini a uccidere, morire, compiere stragi legalizzate in guerra.