Rivista Anarchica Online
Segnali di fumo a cura di Carlo E. Menga
Volevo le scarpette
Poi dicono che la televisione non fa cultura. Anzi che guardarla può essere addirittura dannoso.
E dannosa
massimamente la pubblicità. E ci si mettono, a dirlo, anche personaggi autorevoli, fior di filosofi come
Karl
Popper. Però la guardano tutti, ed è per questo che occorre stare in guardia, vigilare, addirittura
non dormire,
perché la mandano in onda anche di notte. Ed è inutile scappare dai luoghi naturali della
civiltà, isolarsi in aree protette, inseguire fantasmi ecologici
irraggiungibili. Prima o dopo, lo schermo, l'annunciatrice, lo spot ti raggiungono, ti ghermiscono e ti
irretiscono. Viene in mente quell'episodio del Caro diario di Nanni Moretti in cui i due amici
si ritirano, per pensare e
produrre in santa pace, lontani dalle distrazioni e dal rumore del traffico e della televisione, in isole sempre
più
deserte dell'Arcipelago delle Eolie, citando Hans Magnus Enzensberger e contemporaneamente subendo
l'incantesimo dell'immagine e del suono catodici, fino alla fuga isterica finale verso il traghetto invocando a gran
voce pane e Beautiful, acqua e telequiz, perseguitati dal desiderio di ciò da cui volevano
liberarsi. Un po' come
quella storia raccontata da Osho Rajneesh nel suo Tantra: «Un uomo si reca da Tilopa
perché voleva diventare
un Buddha. Aveva sentito dire che questo Tilopa aveva raggiunto la realizzazione più alta. Perciò
andò da lui e
gli disse: - Insegnami a non pensare. - Tilopa rispose: - E' facile. Ti darò una tecnica. Segui questa
indicazione:
siediti e non pensare alle scimmie. Basta questo. - L'uomo disse: - E' così facile? Basta non pensare alle
scimmie?
Non ho mai pensato alle scimmie in vita mia! - Tilopa disse: - Va' e pratica. Domattina mi riferirai. - Potete
immaginare cosa accadde al poveraccio: scimmie su scimmie da tutte le parti. Quella notte non riuscì a
dormire
neppure per un momento. Apriva gli occhi, e si trovava davanti le scimmie, chiudeva gli occhi, ed erano ancora
lì; e gli facevano delle smorfie ...». Brutto scherzo, quello di Tilopa. Poi dicono che la televisione non
fa cultura. Ma guardate: prendete un po' di cinema d'autore (Stromboli di
Roberto Rossellini, tanto per intenderci), un po' di antropologia culturale (una processione siciliana a piedi scalzi)
e di folklore (la leggenda di Cola Pesce), agitate il tutto con una spruzzata di letteratura (sic!) (Volevo i
pantaloni,
di Lara Cardella. Parentesi nella quale si dimostra l'importanza del corsivo e dei segni d'interpunzione e dunque
la maggiore univocità semantica della lingua scritta rispetto a quella parlata: perché altrimenti
voi come fareste
a capire che io, dei pantaloni di Lara Cardella non saprei proprio che farmene?) e ottenete finalmente lo spot delle
scarpe Superga. Che si odiano o si amano, come da didascalia finale. E perché si amano? Ma
perché
rappresentano il nuovo, la ribellione, la rottura della tradizione per le giovani generazioni. Pensare che quando
Enzo Jannacci cantava El purtava i scarp del tennis si riferiva a un barbùn:
come cambiano i tempi! E perché si
odiano? Per lo stesso motivo ma visto dal punto di vista delle generazioni vecchie. Vien voglia di acquistarle
subito, queste leggendarie bianche scarpette libertarie. Non vi risparmio la storia, che comunque è
presto detta. Durante la citata processione, gli uomini più robustosi
e forti, come vuole la tradizione, portano a spalle la vara, le donne procedono scalze e sempre come
da tradizione
velate e nerovestite. Tutte, o quasi. Unica eccezione una giovane ovviamente bella (non bionda come Ingrid
Bergman, bensì bruna come da tradizione. «Anticamente una chioma bruna non era considerata
beltà,/ o, se anche
lo fosse stata, non avrebbe potuto pretendere d'esserne termine di paragone:/ ma oggi è il turno della
bellezza dei
capelli neri,/ e la bellezza è calunniata da bastarda finzione», direbbe Shakespeare) che invece calza, oh
scandalo!,
le fatidiche scarpette bianche, mentre viene osservata con malcelato desiderio (rincorreva già da
tempo / un bel
sogno d'amore) e con occhio di colapesce lesso da uno dei baldi e timorati trasportatori di vara. Il quale
segue
con la stessa apparente indifferenza (faccia di palta o omertà emotiva?) lo svolgersi successivo della
vicenda,
meditando eventuali azioni per lui vantaggiose, come si vedrà in seguito. Infatti, accortasi una delle
donne anziane del piede sfacciatamente calzato, prende a rimproverare e aggredire la
giovane, giungendo fino a strapparle via le scarpe e scagliarle da un dirupo giù in mare. Ma ecco che,
trascorso il clou del dì di festa (e immaginiamo tutti il trasportatore che finge di ridere
fischiando,
nonché il suo improbabile «Maistà, maistà sugnu 'ccà, sugnu
'ccà»), l'uomo si tuffa in acqua per recuperare le
famigerate scarpette ovviamente incolumi, indi depositarle sul davanzale della finestra della sua black
Beauty che
intanto tristemente guardava il tramonto, e alla vista del ritrovato suo bene (le scarpe) passa ora a esprimere gioia
con la stessa omertà emotiva del precedente sguardo di lui. E così, nell'isola eolia, la
rivoluzione serpeggia, l'anarchia cova e moltiplica i suoi adepti, uno spettro s'aggira
sul vulcano, joggers di tutto il mondo: unitevi! Adesso aspettiamoci uno spot per qualche
mutandina di pizzo sulla falsariga de L'uomo che fu Giovedì. Ogni ulteriore commento
è superfluo.
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