Rivista Anarchica Online
Tentazioni laiche
di Carlo Oliva
Come versare il nostro obolo obbligatorio ad una chiesa (o allo stato) e cercare di sorridere
Perché destinare lo 0,8% alla Chiesa Cattolica, chiede in televisione una
voce suadente, su uno sfondo primaverile
di cieli azzurri e di nuvole bianche. Già: me lo chiedo anch'io da almeno sei anni, da quando, oltre ad
avere il
dubbio piacere di contribuire a uno dei sistemi fiscali più esosi e inefficienti del mondo, devo anche
tormentarmi
per tutto il mese di giugno per decidere se destinare parte delle mie sudatisime tasse a qualche organizzione
ecclesiastica, con particolare riguardo a quella chiesa cattolica che nel nostro paese, dal punto di vista ecclesiale,
fa da sempre la parte del leone. Perché certo, posso destinare quella percentuale allo stato, a scopi
«sociali e umanitari», se non mi sbaglio, ma
vi assicuro che la cosa non mi consola per niente. Sarò incontentabile, ma allo stato credo ancor meno
che alla
chiesa, e sulla sua capacità di individuare un obiettivo sociale e umanitario che possa condividere anch'io
nutro
parecchi, igienici dubbi. E quanto alle chiese evangeliche e agli altri soggetti religiosi a cui pro da qualche
tempo posso optare, be', non
ho niente contro di loro, naturalmente, ma non vedo neanche perché, per esercitare le loro pur nobili
finalità
assistenziali e benefiche debbano servirsi del contributo di chi non si annovera tra i loro fedeli. E' un bel
pasticcio, visto che non mi sfugge, naturalmente, che, anche se non scegliessi nessuno, lo stato e la
chiesa cattolica, a mio scorno e dispetto, si spartirebbero allegramente quei soldi secondo la proporzione di quanti
invece, maledetti loro, hanno scelto. Un vero meccanismo infernale: non so chi lo abbia inventato, ma è
poco ma
sicuro che nell'arte di gabbare il cittadino, di calpestarne la libertà di pensiero e di imporgli, come se non
bastasse,
oltre al danno le beffe, doveva essere un genio. Modesta consolazione: da qualche tempo posso godere, alla
radio e in televisione, degli spot delle chiese, e posso
ammirarne la pubblicità sui giornali e sui muri cittadini. E non crediate che scherzi: è una
consolazione sul serio. Sono sempre stato convinto che le chiese, in quasi tutte le loro varianti, andassero
considerate, grazie agli sforzi
dei loro missionari e dei loro predicatori, delle precorritrici, almeno sul piano spirituale, delle moderne tecniche
pubblicitarie, ma non avrei mai pensato di vederle ricorrere all'opera dei professionisti della materia. Con
ingenuità tutta laica, avevo sempre creduto che considerassero il loro messaggio in qualche modo
superiore a
quelli volti a incrementare il consumo di formaggini, dentifrici e detersivi per il bucato. E invece no. Sono
tutte lì a cantare come sirene, punteggiando di allettanti messaggi sui media entrambi i mesi della nostra
passione fiscale. E con quali argomenti, mio Dio! Se per avere la tua anima le chiese sogliono minacciarti le pene
dell'inferno, bisogna ammettere che quando si tratta di mettere le mani sul tuo portafoglio sono assai più
garbate.
Si appellano alla ragione ed evitano come la peste qualsiasi sottolineatura di tipo religioso. Non tutti sono
espliciti come i valdesi, che specificano e ribadiscono che non una lira andrò comunque alle
attività
di culto, per cui il loro contributore tipo sceglie quella chiesa proprio perché lui non è valdese (in
sede
giornalistica ho trovato persino uno slogan del tipo «Do l'0,8% alla Chiesa Valdese PERCHE' NON CREDO»,
con il «perché non credo» bello in grande), ma poco ci manca. Gli avventisti del settimo giorno
hanno cura di elencare via radio una quantità di disagi perfettamente terreni cui
si propongono, con il nostro aiuto, di porre rimedio: introducono cori di uccellini cinguettanti per far meditare
sulla solitudine degli anziani, evocano la prospettiva di catastrofi ecologiche e carestie varie per perorare la causa
dello sviluppo del terzo mondo, suscitano lo spettro dell'usura in nome del credito solidale. E persino la buona
vecchia chiesa cattolica, che non nasconde l'intenzione di utilizzare parte degli introiti per
finanziare le sue attività religiose, precisa in televisione che il primo motivo per scegliere Roma è
che essa«porta
ovunque aiuto e conforto» e solo se proprio ne avanza destinerà qualcosina anche alle necessità
dell'organizzione
ecclesiastica. D'altronde, da tutti i muri delle nostre città occhieggiano enormi manifesti in cui si
garantisce che quei quattrini
serviranno, in via prioritaria, a finanziare consultori familiari, comunità per tossicodipendenti e ricoveri
per gli
anziani. Insomma, un trionfo dello spirito laico e della logica della carità fine a se stessa che un vecchio
miscredente par mio non può che approvare di tutto cuore. E non venitemi a dire che, gratta gratta,
qualsiasi argomento usino, le chiese sono sempre chiese. Lo so anch'io.
Ma ammetterete che è interessante vederle ricorrere, incuranti della loro inesausta polemica con il mondo
moderno, a tecniche e argomenti tipici di questo (nostro) mondo. E forse questo punto di vista è
addirittura
limitativo. Il problema, a ben vedere, non riguarda le argomentazioni adottate, ma è intrinseco alla logica
di quel
tipo di messaggi. Sappiamo tutti che il medium non è mai neutrale rispetto al messaggio, ma lo
impronta inesorabilmente di sè. Se, per ipotesi, la campagna in questione, o altre campagne che
questa o quella chiesa volesse organizzare a scopo
di proselitismo o diffusione, utilizzassero gli argomenti più vieti dei rispettivi catechismi, se, per dirne
una, le
organizzazioni musulmane assumessero le varie Valeria Marini e Alba Parietti per fare la parte delle uri nel
paradiso di Maometto, o quelle cristiane commissionassero a Zeffirelli (o a chi per lui) degli spot di massa
ambientati tra le fiamme dell'inferno, con i demoni che inforcano i peccatori come nelle Malebolge dantesche
o in un affresco medioevale, e altri ancora che ci portassero in cielo, tra un tripudio di angeli e santi (qualcosa del
genere, a dire il vero, credevo di averla già vista, ma mi hanno spiegato che era la clame di una marca di
caffè),
se a questo tipo di immagini persuasorie si ricorresse, be', i messaggi trasmessi da un mezzo laico e commerciale
come la televisione sarebbero, non c'è santi, altrettanto laici e commerciali. Negherebbero la visione del
mondo
dei loro committenti e accelererebbero il processo di laicizzazione della società non meno di quanto lo
faccia la
pubblicità dello 0,8%, con la sua enfasi sulla necessità di sanare le sofferenze su questa terra, a
prescindere da
future compensazioni in sede celeste, e il suo implicito riconoscimento della pari dignità delle varie
organizzazioni, laiche e ecclesiastiche, all'uopo concorrenti. Ipotesi che oggi possono sembrare perfettamente
ovvie, ma fino a due o trecento anni fa bastavano ampiamente
per spedire qualche disgraziato sul rogo e ancora alla fine del secolo scorso venivano solennemente condannate
nel Sillabo. Ed è appunto nella speranza di trovarmi di fronte alle prime manifestazioni di un processo
di
laicizzazione di lunga durata, che trovo un certo, flebile, conforto alla prospettiva di pagare lo 0,8%.
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