Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 228
giugno 1996


Rivista Anarchica Online

Fin che la barca va...
di Maria Matteo

Che cosa ha determinato la vittoria elettorale dell'Ulivo? Quale ruolo sta giocando Rifondazione? E poi...

Fin che la barca va, lasciala andare... fin che la barca va, tu non remare. Così suonava il ritornello di una canzone assai gettonata una ventina d'anni orsono: la interpretava una tonda Orietta Berti dalla voce pastosa e dall'aspetto giulivo. Tale canzone mi è sempre parsa l'emblema di un'Italia conservatrice e fatalista, poco disponibile al cambiamento, non per incapacità di figurarsi un mondo migliore ma per timore che se delineasse uno peggiore.
Era l'Italia della Democrazia Cristiana sempre al governo, l'Italia in cui ogni nuova consultazione elettorale aveva esiti che parevano fotocopiati da quelli precedenti, l'Italia che si pensava rivoluzionaria perché, pur all'interno di una compagine governativa a maggioranza Dc, ad un presidente del consiglio democristiano succedeva un repubblicano od un socialista.
Quest'Italia pareva definitivamente scomparsa due anni orsono quando, sparite nella bufera di tangentopoli formazioni politiche che avevano retto la repubblica sin allora, nel giro di un paio di mesi un industriale d'allevamento craxiano ormai privo di solide tutele istituzionali si inventò un partito sul modello di un'azienda e riuscì a mettere in piedi un'alleanza di centro-destra che vinse le elezioni. Tale risultato è stato di recente ribaltato nella consultazione dello scorso 21 aprile in cui un raggruppamento di ex-democristiani, ex-comunisti, ex-socialisti, sostenuto in modo decisivo dai neo-comunisti di Bertinotti si è assicurato una discreta maggioranza parlamentare.
Dopo le elezioni del 27 marzo di due anni fa sostenni sulle pagine di questa rivista che la vittoria delle destre era dovuta atre fattori fondamentali: in primo luogo l'emergere prepotente di una destra sociale, in grado di proporsi quale argine ad un sempre più diffuso senso d'insicurezza che trasversalmente attraversa tutto il corpo sociale; in secondo luogo il bisogno che tutto cambiasse perché tutto restasse come prima; ed infine la capacità di utilizzare al meglio il nuovo meccanismo elettorale.
Non paia un paradosso o il mero gusto per la boutade ma ritengo che gli stessi tre fattori siano stati nella consultazione elettorale del 21 aprile.
Due anni orsono Berlusconi riuscì a mettere in piedi un'alleanza elettorale che teneva insieme la Lega secessionista e i post-fascisti nazionalisti mentre i suoi avversari si presentarono divisi; quest'anno l'Ulivo ha saputo giocar meglio le proprie carte costruendo un cartello che includeva parte delle forze cattoliche, stringendo patti di desistenza con Rifondazione e godendo del fatto che la Lega, presentandosi da sola e mantenendo una solida base elettorale, ha di fatto sottratto consensi al Polo.
Su di un piano più strettamente politico, nonostante il terremoto che ha squassato i partiti che hanno segnato la scena istituzionale della prima repubblica, il desiderio di continuità pare essere nella costituzione genetica di gran parte del corpo sociale: l'elettorato tende quindi a premiare chi promette cambiamenti senza preconizzare rivoluzioni.
Naturalmente ciò non significa che le forze politiche possano esimersi dall'esibire quella che in termini eleganti è una certa tensione utopica e più rozzamente l'arte di spararle grosse. Anzi Berlusconi con la favola del milione di posti di lavoro e Prodi con il non meno fantastico miraggio del mantenimento dello stato sociale hanno incassato più di un film di Spielberg.
A tanta gente piacciono le fiabe, purché siano quelle sin troppo note e familiari dell'infanzia, capaci di infondere speranza per il futuro senza sollevare inquietudini. Così chi promette un avvenire dorato vince la partita mentre la perde chi, più realisticamente, parla di tagli e sacrifici. Il Berlusconi del fantastico milione due anni dopo si trasforma nel propugnatore del liberismo più selvaggio, della cancellazione definitiva di servizi e garanzie; il D'Alema della politica di rigore per il risanamento dell'economia diviene il paladino dello stato sociale. La gente si fa due conti in tasca e, sia per fatalismo o per convinzione, punta sul miglior offerente sperando di sfangarsela meglio. L'Ulivo il 21 aprile, così come il Polo due anni prima, è riuscito a dar la sensazione d'essere in grado di porre un argine all'insicurezza sociale diffusa, che è uno dei più netti segni distintivi di quest'ultimo periodo. Tale insicurezza, che è anche all'origine dei tanti fenomeni di razzismo e xenofobia verificatisi recentemente nel nostro paese nonché del perdurante successo elettorale della Lega e della buona affermazione della Fiamma di Rauti, induce la gran parte del corpo elettorale a riconoscersi in una compagine moderata, poco propensa ad avventurismi di sorta, sensibile alle problematiche sociali ed abile nell'elidere e smorzare i conflitti.
La carta dell'anticomunismo che risultò efficace nelle elezioni di due anni fa lo è stata assai meno in queste ultime consultazioni, dopo un anno in cui le forze dell'Ulivo pur non essendo al governo hanno sostenuto ed in parte orientato le scelte dell'esecutivo del più eccellente Fregoli politico dell'ultimo periodo, l'ineffabile Lamberto Dini.
Il sostegno ad un governo di destra ha conferito una solida patina di rispettabilità ai «temibili» nipoti del Migliore, che hanno saputo condurre una campagna elettorale con assai maggior pacatezza dei loro rissosi ed irascibili avversari, le cui polemiche nei confronti della magistratura e del capo dello stato hanno conferito un'aura «sinistra» e sottilmente eversiva. Difetto imperdonabile in una competizione dove tutti il più possibile tentavano di fornire un'immagine rispettabile, impresa non facile in una scena politica in cui capi e gregari di ogni formazione appaiono a vario titolo inquisiti, sotto processo, se non addirittura condannati. con buona pace del povero Craxi che, evidentemente, avrà difficoltà a capire come mai a lui tocchi l'esilio ad Hamammet mentre il suo compare di Nusco torna trionfalmente a sedersi in parlamento.
Non potendo quindi scherzare con i fanti i nostri eroi han preferito rivolgersi ai santi, tentando di legittimarsi in più alto loco, accusando, ovviamente, l'avversario di transazioni diaboliche. «Epiteti» quali ateo ed anticristiano sono più volte ricorsi nella recente campagna elettorale, senza peraltro che nessuno schieramento riuscisse ad aggiudicarsi il sostegno della Conferenza Episcopale Italiana che con «laica» saggezza si è ben guardata dallo schierarsi, poiché comunque fossero andate le cose il Vaticano aveva in ogni caso ribadito il proprio primato morale sulla politica e ne avrebbe quindi, inevitabilmente, riscosso tutti gli ovvi vantaggi materiali.
Qualcuno potrà forse storcere il naso di fronte al quadro sin qui tracciato di un'Italia sostanzialmente conservatrice, poco incline ai grandi cambiamenti, ammantata di perbenismo ipocrita qual'è l'Italia di Berlusconi e Prodi, poiché in questa nostra allegra penisola v'è anche un'altra Italia, l'Italia che in misura crescente non è andata a votare, quella che è scesa in piazza per difendere le pensioni, per opporsi al decreto razzista di Dini in materia d'immigrazione, quella che non crede alle favole e tenta di costruire percorsi d'autonomia dall'istituto.

Area di opposizione
V'è senza dubbio un'area abbastanza vasta che si esprime nei sindacati di base e nei centri sociali, nei comitati antirazzisti ed in quelli ambientalisti, nelle associazioni di mutuo soccorso e in quelle di solidarietà con il terzo mondo.
Negli ultimi anni Rifondazione si è candidata a rappresentare e coagulare quest'area di opposizione tentando di fornirle una sponda istituzionale, pur mantenendo una significativa presenza nel sociale. La capacità di egemonizzare sostanzialmente l'opposizione di piazza più volte dimostrata da Rifondazione non pare essersi incrinata, nonostante le profonde ambiguità della sua compagine parlamentare nei confronti del governo Dini. Il patto di desistenza stretto con l'Ulivo ha indubbiamente pagato sul piano elettorale, dove il Prc ha visto considerevolmente aumentare i propri consensi.
Battere le destre, asse centrale della propaganda del partito di Bertinotti è risultato un imperativo categorico straordinariamente efficace in settori sociali in cui l'antifascismo è ancora un valore fondante. È nondimeno difficile credere che la delega ricevuta dal Prc sia una delega in bianco, poiché l'area di consenso dei neo-comunisti ha anche di recente dimostrato una significativa capacità di autonomia dal partito. La grande partecipazione al corteo antirazzista del tre febbraio, nonostante l'improvvisa defezione di Rifondazione ne è stato un segnale più che eloquente.
Sarà quindi interessante verificare nei prossimi mesi come il Prc saprà conciliare la vocazione movimentalista con il proprio ruolo istituzionale. Non credo che sia necessaria la sfera di cristallo per prevedere che alcuni nodi finiranno con il venire al pettine non appena Prodi avrà varato la propria collezione primavera-autunno di manovre e manovrine e Bertinotti e soci si ritroveranno a svolgere una non facile funzione di mediazione. Naturalmente non si può escludere che il Prc finisca col giocare efficacemente il ruolo di ammortizzatore dei conflitti e che ci attendano quindi alcuni anni di terrificante pace sociale.
Occorre tuttavia che una non irrilevante area di opposizione si riveli una variabile interamente dipendente da Rifon-dazione, un'ipotesi che al momento si può ancora ritenere pessimista, poiché negli ultimi anni si sono venuti sia pure faticosamente consolidando alcuni percorsi di autorganizzazione ed autogestione in cui emerge una spiccata sensibilità libertaria non facilmente disciplinabile ad una politica di concentrazione.
La crescita ed il rafforzamento di tali percorsi è la scommessa forte che ci attende per i prossimi mesi, una scommessa che occorrerà giocare non solo sul piano della resistenza ma su quello ben più complesso di una prassi autonoma ed immediatamente concreta in materia di riappropriazione del diritto materiale alla salute, alla casa, all'educazione che non sia difesa dello stato sociale ma creazione di strutture autogestite fuori e contro la logica statalista che ancora attraversa tanta parte della cosiddetta sinistra.