Rivista Anarchica Online
Il mio canto libero
di Paolo Finzi
Sono mille le forme che può assumere la prevaricazione clericale. La necessità di reagire, anche in nome
di Babbo Natale.
E' tradizione che nelle scuole materne ed elementari (e non solo) le festività di fine
anno siano in vario modo celebrate -
spesso con una recita o uno spettacolo canoro, proposto dalle maestre e realizzato dagli alunni. È accaduto, in vista
dello
scorso Natale, anche nelle elementari frequentate da mio figlio Elio: le maestre delle 4 sezioni delle prime hanno per
l'occasione riunito un centinaio di bambini e, nel corso di qualche settimana, hanno preparato uno spettacolo di canzoni.
In una di queste canzoni - ci ha informati Elio, rompendo la consegna al silenzio sullo spettacolo (doveva essere una
sorpresa per noi genitori) - si parlava di dio, del bambin Gesù, degli angeli, ecc.: una canzone religiosa, dunque.
E lui, che
dalle due ore settimanali di religione cattolica è esonerato, avrebbe dovuto adeguarsi e cantare. A lui non sembrava
giusto.
Nemmeno a noi, suoi genitori. Ci siamo fiondati, la mattina successiva, a parlarne prima con un'insegnante (che ha
espresso comprensione per la nostra
posizione, invitandoci però nel contempo a considerare il fatto che la grande maggioranza degli alunni è
cattolica) e poi
con il direttore didattico. Questi era all'oscuro dei testi delle canzoni insegnate ai bimbi per lo spettacolo: una volta
appuratone il carattere religioso, l'ha fatta togliere dal programma. All'indomani dello spettacolo «ridotto», sparsasi
la voce della nostra presa di posizione laica (una lettera alle insegnanti
ed al direttore didattico era stata firmata complessivamente da sei genitori), sono stato verbalmente aggredito da un po'
di mamme arrabbiatissime perché «così sono stati tutelati i diritti di una minoranza come la vostra, mentre
il sentimento
cattolico della maggioranza è stato calpestato», oppure «se io vado nei paesi arabi mi adatto alle loro abitudini,
perché
allora voi non lo fate?», oppure testuale, una mamma che è anche maestra «abbiamo già i musulmani, gli
zingari, i cinesi:
adesso dobbiamo adattarci anche alle vostre pretese». Un'altra mamma, dimostrando una curiosa concezione del servizio
pubblico, mi ha gridato che la nostra scuola «è una scuola pubblica, se la vuoi come pare a te manda tuo figlio in
una scuola
privata». Per fortuna, il mondo è vario. Una madre (cattolica praticante) ci ha espresso solidarietà,
due insegnanti (che ignoravano
la canzone «contestata») ci hanno precisato di essere credenti ma di condividere la nostra sottolineatura del carattere
a-confessionale della scuola pubblica. Al momento in cui scrivo, gli (eventuali) sviluppi della questione sono congelati
dalle vacanze natalizie. Negli stessi giorni va segnalata la presa di posizione pubblica dell'arcivescovo di Bologna Biffi,
che ha attaccato Babbo
Natale, contestandone la natura laica, la matrice nordico-protestante e la sostanziale alternatività al bambin
Gesù ed al
presepe, di cui evidenziava il carattere religioso e tradizionalmente italico. Un colpo basso per noi sei genitori della scuola
elementare di via Russo, a Milano, che nella nostra lettera alle insegnanti delle prime ed al direttore didattico avevamo
scritto - tra l'altro: Fermo restando che il Natale - così come le altre feste di fine anno (Capodanno, Epifania)
- fa parte
della tradizione popolare italiana, riteniamo vi sia la possibilità di festeggiarlo senza costringerlo - nemmeno
parzialmente
- dentro un ambito prettamente religioso. È quanto, per esempio, noi ed i nostri bambini abbiamo avuto modo di
sperimentare nel corso dei tre anni trascorsi alla Scuola Materna comunale di via Rovetta 1/via Russo 20, in cui le
ricorrenze di fine anno sono state festeggiate, facendo riferimento a personaggi, fiabe e valori (quali Babbo Natale) senza
alcuna connotazione «di parte», quindi accettabili da tutti. Errore! Non avevamo fatto i conti con Biffi. Ora
dobbiamo
controproporre qualcos'altro.
Se ne scrivo sulla rivista, è perché sono convinto che dietro a questioni apparentemente limitate (come
quelle legate ai versi
di una canzone natalizia per bambini) o astruse (quali il giudizio su Babbo Natale) ci siano - nemmeno tanto nascoste -
questioni centrali, essenziali, che attengono alle modalità di organizzazione e di convivenza dell'intera
società. Non è un caso che proprio in quei giorni il governo Dini, dietro fortissime pressioni del Polo
e con il sostanziale consenso
di buona parte dell'Ulivo, abbia stanziato una trentina di miliardi per le scuole private. Alla faccia dell'articolo 33, comma
3, della Costituzione che recita: «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
lo Stato».
L'ingerenza clericale nella scuola, come - più in generale - nella società italiana, non è una
novità. Altrettanto datata è la
sostanziale sottovalutazione, e spesso totale disinteresse, con cui si è trattata questa non piccola questione sia da
parte della
sinistra sia da parte delle forze liberali. Eppure, prima o seconda repubblica, la situazione non è cambiata. La
Chiesa gode
di privilegi di ogni tipo che ne accentuano la già poderosa capacità di condizionamento sulla
società. E, quel che è peggio,
il tutto continua ad avvenire nel disinteresse più generale. Non si tratta di auspicare - come paventava Togliatti
per giustificare il suo sostegno concreto alle pretese vaticane - «guerre
di religione». Personalmente non mi interessano né la lotta contro le religioni («oppio dei popoli») né un
certo tipo di
anticlericalismo volgare e caciarone - ben presente anche in una certa tradizione anarchica (ma - tanto per citare due
«classici» - estraneo al pensiero di Errico Malatesta e lucidamente criticato da Camillo Berneri già negli anni '20).
Non
ritengo - scrivevo su «A» 112 (agosto-settembre 1983) rispondendo alla redazione di «Cristianesimo anarchico»
(bollettino
dell'omonimo raggruppamento, allora esistente) - che l'ateismo debba necessariamente essere per tutti gli anarchici
uno
dei «postulati» fondanti dell'anarchismo. In altri termini, anche se il «mio» anarchismo - come quello della stragrande
maggioranza degli anarchici - è ateo, ritengo che una qualche idea teista e l'anarchismo possano convivere:
francamente
non mi è facile immaginare come, anche tenendo presente l'enorme importanza storica che ha avuto nella storia
del
pensiero e del movimento anarchico (non solo in Italia) la battaglia anti-teistica, anti-religiosa, anti-clericale, ecc.. Non
mi è facile, come certo non lo è per molti altri compagni/e, ma forse per questo è ancora
più importante affermare questo
carattere profondamente laico dell'anarchismo, talmente laico da saper accettare che tra noi vi sia anche chi si appella
a suo modo a dio (...)
Lasciamo dunque perdere le differenti opinioni in tema di religione. Difendiamo piuttosto il diritto di ciascuno di
credere
o non credere a quel che vuole. Accettiamo una volta per tutte che nella «società futura» ci sia spazio per tutte le
idee e
le religioni, le sezioni e le chiese, i centri sociali e le sinagoghe. Bando alle utopie monocromatiche («Tutti emancipati,
tutti senza dio» oppure «Tutti felici nella Fede per Nostro Signore»). Ognuno sia libero di credere in quello che vuole.
Basta che non cerchi di obbligare gli altri a credere o a conformarsi ai suoi riti. Basta che lo faccia a spese sue e non della
società. Basta che non voglia addobbare la casa comune (la società) dei simboli della sua privata fede (a
cerchiata o
crocefisso che sia). E questo avvenga anche e soprattutto quando i seguaci di una determinata fede, opinione, ideologia
siano maggioranza, foss'anche quasi unanimità. I diritti del singolo, della minoranza, del diverso siano sempre lo
specchio
del grado di maturità di un movimento come di una società.
Ecco allora che la vera questione - in questo campo - è quella del clericalismo (di tutti i clericalismi),
dell'integralismo
(di tutti gli integralismi). Oggi, in Italia, ciò si traduce - innanzitutto - nella continua pressione esercitata dalla
Chiesa
Cattolica per condizionare l'intera società, limitando e schiacciando i diritti di libertà, pretendendo (e
ottenendo) privilegi
di ogni tipo, mettendo in un angolo chi la pensi diversamente. In ballo ci sono poderosi interessi economici, ma ancor
più
ci sono questioni quali l'autodeterminazione delle donne, l'aborto, l'AIDS, le politiche «per» la famiglia, l'educazione dei
bambini, ecc. Siamo alle soglie del 2000 (una data - guarda caso - tutt'altro che neutra) e dobbiamo constatare che per
fare qualche passo
avanti su questo fondamentale terreno non è necessario approdare a Mikhail Bakunin o ad Errico Malatesta.
Sarebbe
sufficiente sostare un attimo dalle parti di Gaetano Salvemini e di Ernesto Rossi.
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