Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 224
febbraio 1996


Rivista Anarchica Online

Il mio canto libero
di Paolo Finzi

Sono mille le forme che può assumere la prevaricazione clericale. La necessità di reagire, anche in nome di Babbo Natale.

E' tradizione che nelle scuole materne ed elementari (e non solo) le festività di fine anno siano in vario modo celebrate - spesso con una recita o uno spettacolo canoro, proposto dalle maestre e realizzato dagli alunni. È accaduto, in vista dello scorso Natale, anche nelle elementari frequentate da mio figlio Elio: le maestre delle 4 sezioni delle prime hanno per l'occasione riunito un centinaio di bambini e, nel corso di qualche settimana, hanno preparato uno spettacolo di canzoni. In una di queste canzoni - ci ha informati Elio, rompendo la consegna al silenzio sullo spettacolo (doveva essere una sorpresa per noi genitori) - si parlava di dio, del bambin Gesù, degli angeli, ecc.: una canzone religiosa, dunque. E lui, che dalle due ore settimanali di religione cattolica è esonerato, avrebbe dovuto adeguarsi e cantare. A lui non sembrava giusto. Nemmeno a noi, suoi genitori.
Ci siamo fiondati, la mattina successiva, a parlarne prima con un'insegnante (che ha espresso comprensione per la nostra posizione, invitandoci però nel contempo a considerare il fatto che la grande maggioranza degli alunni è cattolica) e poi con il direttore didattico. Questi era all'oscuro dei testi delle canzoni insegnate ai bimbi per lo spettacolo: una volta appuratone il carattere religioso, l'ha fatta togliere dal programma.
All'indomani dello spettacolo «ridotto», sparsasi la voce della nostra presa di posizione laica (una lettera alle insegnanti ed al direttore didattico era stata firmata complessivamente da sei genitori), sono stato verbalmente aggredito da un po' di mamme arrabbiatissime perché «così sono stati tutelati i diritti di una minoranza come la vostra, mentre il sentimento cattolico della maggioranza è stato calpestato», oppure «se io vado nei paesi arabi mi adatto alle loro abitudini, perché allora voi non lo fate?», oppure testuale, una mamma che è anche maestra «abbiamo già i musulmani, gli zingari, i cinesi: adesso dobbiamo adattarci anche alle vostre pretese». Un'altra mamma, dimostrando una curiosa concezione del servizio pubblico, mi ha gridato che la nostra scuola «è una scuola pubblica, se la vuoi come pare a te manda tuo figlio in una scuola privata».
Per fortuna, il mondo è vario. Una madre (cattolica praticante) ci ha espresso solidarietà, due insegnanti (che ignoravano la canzone «contestata») ci hanno precisato di essere credenti ma di condividere la nostra sottolineatura del carattere a-confessionale della scuola pubblica.
Al momento in cui scrivo, gli (eventuali) sviluppi della questione sono congelati dalle vacanze natalizie.
Negli stessi giorni va segnalata la presa di posizione pubblica dell'arcivescovo di Bologna Biffi, che ha attaccato Babbo Natale, contestandone la natura laica, la matrice nordico-protestante e la sostanziale alternatività al bambin Gesù ed al presepe, di cui evidenziava il carattere religioso e tradizionalmente italico. Un colpo basso per noi sei genitori della scuola elementare di via Russo, a Milano, che nella nostra lettera alle insegnanti delle prime ed al direttore didattico avevamo scritto - tra l'altro: Fermo restando che il Natale - così come le altre feste di fine anno (Capodanno, Epifania) - fa parte della tradizione popolare italiana, riteniamo vi sia la possibilità di festeggiarlo senza costringerlo - nemmeno parzialmente - dentro un ambito prettamente religioso. È quanto, per esempio, noi ed i nostri bambini abbiamo avuto modo di sperimentare nel corso dei tre anni trascorsi alla Scuola Materna comunale di via Rovetta 1/via Russo 20, in cui le ricorrenze di fine anno sono state festeggiate, facendo riferimento a personaggi, fiabe e valori (quali Babbo Natale) senza alcuna connotazione «di parte», quindi accettabili da tutti. Errore! Non avevamo fatto i conti con Biffi. Ora dobbiamo controproporre qualcos'altro.

Se ne scrivo sulla rivista, è perché sono convinto che dietro a questioni apparentemente limitate (come quelle legate ai versi di una canzone natalizia per bambini) o astruse (quali il giudizio su Babbo Natale) ci siano - nemmeno tanto nascoste - questioni centrali, essenziali, che attengono alle modalità di organizzazione e di convivenza dell'intera società.
Non è un caso che proprio in quei giorni il governo Dini, dietro fortissime pressioni del Polo e con il sostanziale consenso di buona parte dell'Ulivo, abbia stanziato una trentina di miliardi per le scuole private. Alla faccia dell'articolo 33, comma 3, della Costituzione che recita: «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato».

L'ingerenza clericale nella scuola, come - più in generale - nella società italiana, non è una novità. Altrettanto datata è la sostanziale sottovalutazione, e spesso totale disinteresse, con cui si è trattata questa non piccola questione sia da parte della sinistra sia da parte delle forze liberali. Eppure, prima o seconda repubblica, la situazione non è cambiata. La Chiesa gode di privilegi di ogni tipo che ne accentuano la già poderosa capacità di condizionamento sulla società. E, quel che è peggio, il tutto continua ad avvenire nel disinteresse più generale.
Non si tratta di auspicare - come paventava Togliatti per giustificare il suo sostegno concreto alle pretese vaticane - «guerre di religione». Personalmente non mi interessano né la lotta contro le religioni («oppio dei popoli») né un certo tipo di anticlericalismo volgare e caciarone - ben presente anche in una certa tradizione anarchica (ma - tanto per citare due «classici» - estraneo al pensiero di Errico Malatesta e lucidamente criticato da Camillo Berneri già negli anni '20). Non ritengo - scrivevo su «A» 112 (agosto-settembre 1983) rispondendo alla redazione di «Cristianesimo anarchico» (bollettino dell'omonimo raggruppamento, allora esistente) - che l'ateismo debba necessariamente essere per tutti gli anarchici uno dei «postulati» fondanti dell'anarchismo. In altri termini, anche se il «mio» anarchismo - come quello della stragrande maggioranza degli anarchici - è ateo, ritengo che una qualche idea teista e l'anarchismo possano convivere: francamente non mi è facile immaginare come, anche tenendo presente l'enorme importanza storica che ha avuto nella storia del pensiero e del movimento anarchico (non solo in Italia) la battaglia anti-teistica, anti-religiosa, anti-clericale, ecc.. Non mi è facile, come certo non lo è per molti altri compagni/e, ma forse per questo è ancora più importante affermare questo carattere profondamente laico dell'anarchismo, talmente laico da saper accettare che tra noi vi sia anche chi si appella a suo modo a dio (...)

Lasciamo dunque perdere le differenti opinioni in tema di religione. Difendiamo piuttosto il diritto di ciascuno di credere o non credere a quel che vuole. Accettiamo una volta per tutte che nella «società futura» ci sia spazio per tutte le idee e le religioni, le sezioni e le chiese, i centri sociali e le sinagoghe. Bando alle utopie monocromatiche («Tutti emancipati, tutti senza dio» oppure «Tutti felici nella Fede per Nostro Signore»). Ognuno sia libero di credere in quello che vuole. Basta che non cerchi di obbligare gli altri a credere o a conformarsi ai suoi riti. Basta che lo faccia a spese sue e non della società. Basta che non voglia addobbare la casa comune (la società) dei simboli della sua privata fede (a cerchiata o crocefisso che sia). E questo avvenga anche e soprattutto quando i seguaci di una determinata fede, opinione, ideologia siano maggioranza, foss'anche quasi unanimità. I diritti del singolo, della minoranza, del diverso siano sempre lo specchio del grado di maturità di un movimento come di una società.

Ecco allora che la vera questione - in questo campo - è quella del clericalismo (di tutti i clericalismi), dell'integralismo (di tutti gli integralismi). Oggi, in Italia, ciò si traduce - innanzitutto - nella continua pressione esercitata dalla Chiesa Cattolica per condizionare l'intera società, limitando e schiacciando i diritti di libertà, pretendendo (e ottenendo) privilegi di ogni tipo, mettendo in un angolo chi la pensi diversamente. In ballo ci sono poderosi interessi economici, ma ancor più ci sono questioni quali l'autodeterminazione delle donne, l'aborto, l'AIDS, le politiche «per» la famiglia, l'educazione dei bambini, ecc.
Siamo alle soglie del 2000 (una data - guarda caso - tutt'altro che neutra) e dobbiamo constatare che per fare qualche passo avanti su questo fondamentale terreno non è necessario approdare a Mikhail Bakunin o ad Errico Malatesta. Sarebbe sufficiente sostare un attimo dalle parti di Gaetano Salvemini e di Ernesto Rossi.