Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 223
dicembre 1995 - gennaio 1996


Rivista Anarchica Online

Scusandomi per l'intrusione

Cara redazione,
in "A" 222 (Epistemologia - Varietà e discordanze), Giuseppe Gagliano istruisce un garbato processo a carico dell'amico Francesco Ranci (Estremizzazione del dogmatismo, in "A" 220). Ranci - con il quale già mi ero a suo tempo lagnato per l'infelice titolo - risponderà o non risponderà come gli pare ma, a me, le questioni sollevate sembrano invero di rilevanza cruciale.
Riassumo molto in breve: Ranci aveva sostenuto che nel relativismo non si può trovare alcuna "base epistemologica che possa sostenere coerentemente i valori espressi dal movimento anarchico"; che lo scetticismo "altro non è che una forma di conoscitivismo mistico, nel senso che ipotizza una 'realtà' per principio inafferrabile"; e che "l'unica strada davvero percorribile, invece, è quella della consapevolezza procedurale".
Gagliano si stupisce un po' per l'espressione "inconsueta" riguardante la "consapevolezza procedurale", ritiene che essa non designi altro che il "benemerito realismo" e sostiene che sia ormai stata comprovata "la giustezza e la inevitabilità del relativismo". Di passaggio precisa che "la vanificazione del relativismo è venuta dalla cultura di destra" e chela tolleranza "è la conseguenza della presa di coscienza che non esistono accessi diretti alla realtà".
Andando con ordine, comincerò con il dire che, forse, Ranci confonde qualche suo desiderio con i risultati della sua analisi. Non so se i valori espressi dal movimento anarchico siano incompatibili con il relativismo - perché non ho una competenza storica adeguata -, ma so che il movimento anarchico dal relativismo dovrebbe stare alla larga. Il perché è presto detto ed è detto in qualche modo anche da Ranci: ogni forma di scetticismo radicale è una forma di dogmatismo (la "realtà" è "inconoscibile", l'impresa scientifica è vana, tutto va bene o, come dicevano a Milano "se la va, la g'ha i gamb") e il movimento anarchico, per il principio di tolleranza di cui si nutre, dovrebbe star ben lontano da ogni forma di dogmatismo.
Fatto è che, dalle contraddizioni e dall'inconsistenza delle due visioni del mondo che, a turno, servono il potere - il realismo e l'idealismo -, nasce e cresce, parassitariamente lo scetticismo. Da ciò quella sorta di legittimazione con cui sopravvivono tra noi le religioni, i vescovi esorcisti, i parapsicologi, le medicine alternative, la lettura dei tarocchi coniugata con la fisica quantistica e altre amenità. Tutta roba che, dall'aura di sacralità di cui si ammanta la scienza figlia del "benemerito realismo", trae giovamento e buoni auspici per il proprio futuro.
Nel combatter l'idea di una "inevitabilità" dello scetticismo, Ranci si preoccupa anche di proporre una soluzione in positivo e accenna alla Scuola Operativa Italiana (Ceccato, Somenzi, Vaccarino al termine degli anni Quaranta, poi, via via, altri) di cui, con il sottoscritto fa parte. Invece di parlare di una "consapevolezza operativa", come fa Ceccato, preferisce - come credo di aver fatto anch'io in più di una occasione - parlare di "consapevolezza procedurale", anche per non confondersi con quell'operazionismo tanto in voga nella psicologia di cinquant'anni or sono con la quale nulla ha a che spartire. In due parole, vuole sottolineare l'opportunità di poter ricondurre ogni nostro risultato alle operazioni che l'hanno costituito - da cui l'indispensabilità di un modello dell'operare mentale. Il che, al minimo, si guadagnerebbe il merito di vanificare ogni forma di trascendenza - e, di passaggio, liquiderebbe la filosofia, l'epistemologia, l'aura sacrale della scienza, la pratica impositiva dei valori e chi ha più nefandezze pestifere ne metta.
Gagliano sospetta Ranci di realismo ma, a ben guardare, si dimentica che Ranci ha anche scritto che "le opzioni che mantengono il presupposto di una 'realtà' precostituita all'attività mentale (...) sono tutte esiziali". Affermazione perentoria che, a dire il vero, fino a quando non venga specificata la natura di quel "costituire", potrebbe, più facilmente, come di fatto è stata in passato da parte di lettori malevolmente distratti, essere tacciata di idealismo.
Infine mi sia lecito un cenno di carattere storiografico. Sulla prima pagina del Popolo d'Italia, il 22 novembre 1921 - in epoca, dunque, in cui il puro marxismo era andato a farsi benedire -, Benito Mussolini scrisse "Relativismo e fascismo" dove saluta festoso la "fine dello scientificismo" e, con il notorio entusiasmo, dichiara che la dottrina fascista è "super-relativista". Il contesto era quello della teoria della relatività einsteiniana, ma nonostante che il Ministro della Cultura Popolare (in arte Minculpop) in data 26 dicembre 1936 abbia poi ordinato di "non interessarsi mai più di qualsiasi cosa che riguardi Einstein", per evidenti motivi, mi pare molto significativo.
Capisco che l'argomento è vasto e che andrebbe ben approfondito, ma se poi mi rammento che anche Berlusconi si è subito dichiarato relativista - e se mi rammento di altre questioni che qui sarebbe lungo dettagliare -, si può comprendere come possano sorgermi dubbi circa le certezze di Gagliano sulla strenua opposizione fra relativismo e cultura di destra.
Scusandomi per l'intrusione, ringrazio per l'ospitalità

Felice Accame (Milano)