Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 223
dicembre 1995 - gennaio 1996


Rivista Anarchica Online

Terra e libertà
di Carlo Oliva e E. Santos Unamuno

Il film di Ken Loach sulla rivoluzione spagnola del '36 sta suscitando, anche in Italia, un vivace dibattito. Intervengono qui Carlo Oliva ed Enrique Santos Unamuno

Strani dibattiti
Sono restato un po' impressionato, ve lo confesso, dalla visione di Terra e libertà. Non perché l'ultimo film di Ken Loach mi sia sembrato un capolavoro: senza voler rubare il mestiere all'ottimo Felice Accame, sono abbastanza d'accordo con chi lo ha trovato frammentario e sentimentale, per non dire che quel finale, con i vecchietti superstiti che alzano il pugno chiuso, nonostante la presenza di una singola nipotina volenterosa mi è sembrato un po' deprimente. No, sono restato impressionato da quel film, o forse, più esattamente, dal dibattito che lo accompagna e lo ha accompagnato, perché non avrei mai pensato di dovere, alla mia età, imbattermi ancora in polemiche di quel genere.
Voglio dire: ho letto l'Omaggio alla Catalogna di George Orwell, che di Terra e libertà è l'ovvio presupposto ideologico (nonché narrativo), quando ero studente alò liceo, verso la fine degli anni '50 (lo pubblicava a puntate una rivista anarchica, credo si trattasse di Umanità Nova, o forse era Il libertario, con cui ero entrato accidentalmente in contatto). Anche grazie a quella lettura, che mi permetto di raccomandare di cuore a chi per caso non l'avesse ancora fatta (e già che c'è, in tema di guerra di Spagna, potrebbe cercare di mettere le mani, se ci riesce, su una copia dei Grandi cimiteri sotto la luna di Georges Bernanos, che affronta la stessa problematica da tutto un altro punto di vista, ma con effetti altrettanto devastanti), grazie a quella lettura - dicevo - sono riuscito ad attraversare abbastanza indenne trentacinque anni di inesausta frequentazione della sinistra. Indenne nel senso di non aver mai ceduto alla mitologia, pur fascinosa, della Terza Internazionale e dei suoi annessi e connessi: sapete, i soviet e l'elettrificazione, la linea generale, ecco s'avanza uno strano soldato, la rivoluzione non è un pranzo di gala, bisogna sapersi sporcare le mani, mani nere mani callose e l'Armata Rossa schierata sempre in loro benevola difesa. Che in sé, poi, non significherebbe più di tanto, oggi, se non resistesse tenace quel caratteristico schema mentale che sempre accompagna le mitologie di tal fatta: la logica dei due tempi, quella per cui bisogna fare un passetto alla volta, guardandosi bene, per esempio, dalla tentazione di lasciarsi prendere dai sogni di rivoluzione quando c'è una guerra da vincere, perché a volere tutto e subito si finisce invariabilmente col non avere niente mai e chi non è d'accordo, quali che siano le sue migliori intenzioni, collabora oggettivamente con il nemico. Una brutta logica, che pure riesce a saldare in una specie di unità inscindibile i peggiori tatticismi della politica quotidiana e le speculazioni filosofiche più alte sulla Dialettica dello Spirito (o della Storia, se preferite), con risultati sempre e comunque letali per chi non ci sta.
Finora, dialettica dello spirito a parte, siamo sempre nel campo, di non eccessivo interesse, delle esperienze personali. Ma il fatto è che non credo di essere stato l'unico a seguire un percorso del genere: qualche anno dopo, vivaddio, se ne è discusso parecchio, in tutte le sedi possibili e non siamo stati in pochissimi a concordare, se non altro, sulla necessità di considerare, in qualche modo, superate le esperienze su cui la sinistra si era divisa nel corso di una storia non sempre gloriosa, ma in cui eravamo comunque condannati a rispecchiarci tutti. Anche perché non è stato solo l'esito della guerra di Spagna, in cui quelli che sostenevano la necessità di comportarsi in un certo modo perché prima di tutto bisognava vincere poi hanno perso, a farci capire che anche seguendo il più scrupoloso gradualismo il rischio di trovarsi, come dice non ricordo più che filosofo, con il culo per terra è tutt'altro che irrilevante. E lo zelo, fin eccessivo, con cui, anche prima che il muro di Berlino fosse smantellato materialmente, i sacerdoti e gli adepti del mito terzinternazionalista si sono affrettati a fare autocritica e a celebrare cambi di denominazione e altri rituali espiatori, poteva far pensare che quel capitolo del grande dibattito ideologico novecentesco fosse definitivamente chiuso.
Be', evidentemente non è così. Basta un film, non particolarmente bello, anche se commovente, perché tutti caschino, come si dice, dal pero e ricomincino a chiedersi con inesausta acribia polemica, come se fossimo ancora ai tempi di Orwell o a quelli delle risse intergruppi, se i poumisti per caso non se la fossero voluta, se il PCE e i suoi alleati e sostenitori non avessero le loro buone ragioni, o se magari, pur avendo nello specifico qualche torto, non avessero (e non abbiano) altri meriti in nome dei quali è meglio passar sopra a inezie quali le giornate di Barcellona o il destino di Andreu Nin, che in fondo oggi a sapere chi era sono davvero in pochi.
Sì certo, Terra e libertà è un'opera dichiaratamente manichea, che affronta il problema con l'ottica semplificata del libello ideologico (anche se, come ricorda in questo stesso numero di "A" Enrique Santos Unamuno, la semplificazione è molto minore di quanto si sia voluto far sembrare, e forse si potrebbe aggiungere che lo schematismo con cui sono raffigurati anche i miliziani, sia pure con occhio amichevole, sembra fatto apposta per portare acqua al mulino dei loro avversari). Ma il problema non è quello di discutere della validità dell'impostazione storiografica che sta alle spalle di un'opera di fantasia. A credere all'oggettività della storia sono restati ancora in meno di quanti credono alla neutralità della scienza. Fatto sta che non è proprio facile credere che l'unico oggetto del contendere sia un problema di valutazione storica su una serie di eventi che ormai risalgono a sessant'anni fa. Per cui è fin tropo giustificato il sospetto che tra di noi (nella sinistra, diciamo, in tutte le sue articolazioni e nella sua composta unità) sia ancora presente, in forme neanche tanto nascoste, una volontà di egemonia che non si lascia piegare neanche dalla storia.
Che qualcuno consideri la necessità di fare un passettino dopo l'altro non tanto una scelta tattica, che si può anche discutere in base alle necessità tattiche del momento, ma una categoria permanente dello spirito. Un modo d'essere della Realtà. E quando si comincia a ragionare in termini di Realtà, soprattutto se con la maiuscola, e della necessità di adeguarvicisi, c'è sempre, come dire, un po' di puzza di bruciato.
Sì lo so, sono discorsi un po' vaghi. Ma aspettate solo un momento, aspettate, per esempio, che sia definita la data delle elezioni e vedrete che diventeranno fin troppo precisi.

Carlo Oliva


Terra e libertà batte dove il dente duole
Terra e libertà (di Ken Loach) non è un film sulla guerra civile spagnola ma sulla rivoluzione scoppiata in Spagna dopo il pronunciamento militare del 18 luglio 936. Non è l'ennesima versione dello scontro militare tra repubblicani e nazionalisti, ma un ritratto (certo parziale) dei dissensi tra i gruppi di sinistra della parte repubblicana. Scelta questa che comporta l'assenza quasi totale nel racconto sia dei franchisti che dei repubblicani non rivoluzionari (i partiti borghesi). Come dire "finalmente soli", una resa dei conti cinematografica e quindi di massa tra CNT (sindacato anarchico), POUM (comunisti rivoluzionari) e PCE (comunisti stalinisti). Se a questo aggiungiamo le simpatie trotskiste di Ken Loach la polemica è servita. E in effetti le critiche della sinistra (euro)comunista ex-stalinista sono piombate puntuali, in Spagna e altrove. Critiche che si incentrano sul carattere "storico" del film di Loach e possono riassumersi in due atteggiamenti fondamentali. Se da una parte si afferma che in Land and Freedom la Storia collettiva schiaccia le storie individuali (con ripercussioni cinematografiche pesanti), che la sua retorica sconfigge lo stesso Loach, dall'altra si accusa il film di semplificazione e riduzionismo, di poca scrupolosità storica, di manicheismo e in definitiva di prestare il fianco alla strumentalizzazione neoliberista anticomunista.
La prima posizione traspare ad esempio dalla scheda-riassunto de il manifesto, in cui si parla delle carenze del racconto ("in buona parte zoppicante"), carenze attribuite alla troppa passione storica di un film travolto dagli stessi avvenimenti trattati. Se, come sembra, per racconto "zoppicante" si vuole intendere "frammentario", non bisogna dimenticare la struttura narrativa a incastro di Terra e libertà. In effetti, si tratta di un racconto di primo livello (Inghilterra, anni '90, morte di un ex-miliziano inglese volontario nella guerra di Spagna) che funge da cornice a un racconto di secondo livello (la nipote del protagonista trova una valigia con ritagli di giornali, lettere, ricordi, fotografie che le permetteranno di ricomporre la storia miliziana di suo nonno, il secondo livello). Il film segue la ricostruzione della ragazza tra le carte del protagonista, un'indagine per forza frammentaria e zoppicante in cui la storia collettiva e quelle individuali si mescolano e si scontrano. Eppure l'importanza del primo livello, la sua presenza, è visibile nelle successive inquadrature della ragazza immersa nel racconto che lei stessa sta costruendo e palese nell'ultima scena, dove il cerchio si chiude, il passato riscattato e rivissuto diventa significativo anche per chi non c'era.
Film "retorico", certo, almeno per chi non accetta volentieri la rivisitazione di alcune pagine poco gloriose del proprio passato. Film di parte, ma non mistificatore, come riconosce Rossana Rossanda (il manifesto, 13 ottobre 1995). Verrebbe a chiedersi se gli stessi che in Italia e da sinistra bollano il film di "retorico" sarebbero disposti a formulare un giudizio simile a proposito di Roma, città aperta o altri titoli emblematici dell'epica della resistenza italiana. Non a caso, il film di Loach fa suoi alcuni dei tratti che contraddistinsero quest'epica partigiana neorealistica: l'uso di attori non professionali, il realismo linguistico (tratto questo molto penalizzato dal doppiaggio italiano, che smorza la fondamentale estraneità tra l'inglese e lo spagnolo), il personaggio collettivo (si veda la bellissima scena dell'assemblea popolare nel paese appena liberato dai miliziani poumisti).
Erano altri tempi, quelli del cinema partigiano, si dirà, altre circostanze. Altri vincitori, altri vinti, aggiungiamo noi. Merito di Terra e libertà è se non altro quello di aver portato alla ribalta i vinti dai vinti (anarchici e comunisti rivoluzionari non stalinisti, fondamentalmente), quello di aver scavalcato anni e anni di monopolio della storia ufficiale comunista della guerra di Spagna. ecco da dove scaturisce la retorica, dalla rabbia di chi un'epica non ce l'ha e cerca di costruirsela, di chi non è ancora approdato alla morte della storia e all'asemanticità postmoderna, di chi non ha dietro di sé la caduta del muro. Tutt'altra valenza hanno le critiche mosse al film dalla sinistra spagnola, concretamente da Pere Vilanova e da Manuel Vazquez Montalbán, scrittore e intellettuale di rilievo ben conosciuto in Italia. Vilanova cerca di togliere mordente al film assicurando che i fatti di cui parla sono archeologia, storia risaputa. Rossana Rossanda gira il coltello nella piaga argomentando che se di archeologia si tratta, come mai l'archeologo Vilanova si mostra tanto turbato davanti a un "reperto museale"? Le ragioni di Montalbán sono più complesse e articolate. Lo scrittore catalano riassume le sue riserve nei confronti di Terra e libertà in tre punti principali (risposta all'articolo della Rossanda, il manifesto, giovedì 19 ottobre 1995):
1) la decisione di integrare le milizie dei diversi partiti e sindacati in un Esercito Popolare fu presa dall'insieme delle forze repubblicane "che preferivano opporre a Franco un esercito convenzionale il più unitario possibile" e non è stata "frutto della malvagità controrivoluzionaria" del PCE e del PSUC (Partito socialista unificato di Catalogna). Quello che Montalbán non dice è che nei mesi successivi al golpe franchista i comunisti del PCE (aiutati e diretti dalla NKVD, la polizia segreta sovietica) riuscirono a controllare tutti i posti chiave dell'esercito repubblicano, dopodiché provocarono la fine politica del primo ministro Largo Caballero (cui è subentrato il procomunista Juan Negrín), appoggiati dai socialisti di destra, e posteriormente silurarono il capo di questa corrente socialista, Indalecio Prieto (ministro della Difesa), quando non era più utile ai loro disegni e anzi cominciava ad ostacolarli. E' vero che la conquista del potere da parte dei comunisti non sarebbe stata possibile senza l'appoggio attivo, l'innocenza e la stupidità delle altre forze politiche, ma non è meno vero che questa corsa al potere non aveva per i comunisti il solo scopo di vincere il fascismo ma anche quello di predominare su tutti gli altri ai fini di instaurare un regime affetto a Stalin. I "fatti di maggio" del '37 a Barcellona, la repressione contro gli anarcosindacalisti e il processo contro il POUM non sono stati che un anticipo in miniatura di quello che sarebbe successo se i repubblicani avessero vinto la guerra. Non c'è bisogno di aggiungere che con i fili dell'esercito nelle loro mani e i rivoluzionari non stalinisti eliminati, anche i partiti borghesi repubblicani avrebbero seguito CNT e POUM nella repressione. Inoltre, non dimentichiamo che le divisioni operaie e popolari, conseguenza della repressione contro CNT-FAI e POUM e che sfociarono nella creazione di un Esercito Popolare unico non solo non giovarono al potere militare della Repubblica ma paiono coincidere piuttosto con il suo progressivo declino.
D'altra parte il PCE avversò e ostacolò decisamente (sotto i dettami dei tecnici militari sovietici) l'offensiva contro l'Extremadura, prospettata da Largo Caballero, che non è mai stata realizzata e che avrebbe forse potuto cambiare le sorti della guerra. Si temeva magari di non poter disfarsi mai più dell'anticomunista Largo Caballero, dei socialisti di sinistra e degli anarcosindacalisti?
2) nel film di Loach si confonderebbe l'ideologia di CNT (sindacato anarchico) e POUM (comunisti rivoluzionari), "senza che mai appaia chiaro come il POUM fosse un partito comunista, tanto comunista quanto il PCE e il PSUC". Ha ragione Montalbán quando afferma che CNT e POUM vengono accomunati in Terra e libertà, ma non tanto in base a una loro ideologia comune, che infatti non esisteva, quanto al loro ruolo di nemici del PCE e del PSUC (e così definiti con insistenza dai loro giornali) per quanto riguardava metodi e strategie da adottare durante la rivoluzione e la guerra. Entrambe le organizzazioni appaiono così come i vinti dei vinti, i perdenti per partita doppia della guerra di Spagna.
Il POUM era sì un partito comunista come il PCE e il PSUC, ma la differenza fondamentale era la sua feroce opposizione a Stalin, opposizione che gli valse la repressione (ricordiamo l'arresto, al tortura e l'omicidio del segretario Andreu Nin), il processo e le accuse di cospirazione e spionaggio nazi-trotzkista. Piuttosto dovrebbero essere i poumisti a rivolgere delle critiche a Loach per aver accomunato loro alla CNT, visto l'atteggiamento ambiguo che i leader degli anarcosindacalisti hanno avuto nei loro confronti e anche rispetto alla propria base in svariate occasioni durante la guerra.
3) si lamenta infine Montalbán che dal film non appare mai chiaro "l sforzo del PCE e del PSUC nella lotta contro il fascismo sia durante la guerra civile che nel lunghissimo dopoguerra". E' evidente che tanto il PCE quanto il PSUC si sono contraddistinti nella lotta contro il fascismo. La cosa incredibile sarebbe stata il contrario. Il film di Loach non li accusa di cospirazione e spionaggio (come loro fecero con il POUM), ma piuttosto di stalinismo, cosa ben diversa. Quando parla di semplificazione, Montalbán forse dimentica che Terra e libertà è un film, non un saggio storico. Un film che parla di certi avvenimenti successi nel 1936-37 durante la guerra di Spagna, non della guerra civile spagnola nel suo insieme e del periodo franchista che seguì.
D'altro canto, e come abbiamo visto prima, molto si può discutere sui moventi e sulle scelte della politica del PCE durante la guerra di Spagna, antifascista sì (ci mancherebbe altro!), ma anche e soprattutto stalinista e controrivoluzionaria. Per quanto riguarda il ruolo dei comunisti nell'antifascismo del dopoguerra, nessuno, neanche il film di Loach, ha mai cercato di negarlo. Anzi, la posizione acquisita dal PCE durante la guerra, in seguito all'eliminazione politica (e in molti casi fisica) dei rivoluzionari ha fatto sì che questo partito abbia potuto quasi monopolizzare la lotta antifranchista. Una organizzazione pressoché insignificante prima della guerra è riuscita a spiazzare i due catalizzatori principali delle masse operaie spagnole: la CNT anarchica, da sempre il sindacato maggioritario, quasi latitante dal '37, e il sindacato socialista UGT, che in buona parte dovette piegarsi al predominio comunista.
Il film di Loach cerca di dare voce a queste istanze rimaste "in minoranza" dopo il crollo della Repubblica (anarcosindacalisti e comunisti non stalinisti), senza dubbio operando delle scelte, ritagliando i fatti da un punto di vista "manicheo".
Dopo la morte di Franco (1975), il socialismo ha smesso di essere tale e gli eurocomunisti di Santiago Carrillo (protagonista delle vicende del PCE durante la guerra), posteriormente Sinistra Unita (IU), hanno gestito sempre di più la memoria della rivoluzione. In questo panorama, le reazioni indignate della sinistra spagnola a Terra e libertà mostrano fino a che punto i veri vinti della guerra lo siano tuttora, adesso che i vincitori dei vinti sono tornati in Spagna dall'esilio e che i veri vincitori del '39 (Aznar e la destra) preparano un nuovo assalto, questa volta in veste democratica (?).
Basta allora con lo spauracchio della "strumentalizzazione neoliberale", dietro al quale si cela ancora lo stesso ricatto e la stessa accusa di fare il gioco del nemico, la stessa strategia di colpe3volizzazione del '37 tendente ad azzerare l'opposizione a sinistra.
Forse il film di Loach ha il pregio di far riflettere sugli errori, sugli amici e i nemici del passato e del presente.

Enrique Santos Unamuno