Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 222
novembre 1995


Rivista Anarchica Online

Il futuro è un tempo di destra
di Daniele Barbieri

Daniele Barbieri collabora con Il Manifesto ed è autore (con Riccardo Mancini) di due antologie per usare la fantascienza a scuola: "Imparare dal futuro" (per la media inferiore) e "Immaginare futuri" (per la media superiore). E' interessato a continuare/verificare i suggerimenti di quei testi con professori e studenti, ma anche a portare questo discorso ove sia possibile, preferibilmente in luoghi collettivi: centri sociali, radio, gruppi di studio. Questo testo è uscito, in una precedente versione, sulla rivista "Carmilla", nata per dibattere intorno a un tema titanico: chi controlla l'immaginario di massa?

C'era una volta il futuro. Progressista e radioso. Una certezza. L'attesa (ingenua e messianica) dell'inevitabile, insomma della "Gerusalemme rimandata" (1), del socialismo nel segno della scienza. Marx, Spartaco e Keplero: che bel trio!
Nel fosco di un secolo morente, la locomotiva - Guccini, fuochista - sembrava inarrestabile, lanciata verso un mondo "giusto". Lo sviluppo dell'industria, l'inizio della scolarizzazione, la forza delle organizzazioni dei lavoratori, i primi tremolii degli imperi coloniali, la fiducia (un po' cieca) nella scienza facevano immaginare il rovesciamento di secolari gerarchie sociali e ingiustizie, la fine di rapporti di forza dati come immutabili. Con Charles Darwin si contesta persino l'idea che l'evoluzione umana dipenda dai disegni divini. Logico che tutto ciò faccia paura a teorici e cantori dell'ordine costituito: sono essi ad annunciare catastrofi, punizioni celesti. Quanto l'immaginario borghese vede "la fine della storia", tanto si diffondono teorie (e una letteratura fantastica di grande presa) che vedono il 1900 come una nuova epoca del progresso umano, nutrita di scienza e giustizia. Perfino all'anagrafe se ne trova conferma: a inizio secolo chiamare i figli Libero, Avanti, Scintilla, Progresso, Libertà, Ribelle, Turbina, Comunardo (2) esprimeva una certezza più che un auspicio. Elettrificazione e soviet, ricordate? Lenin e Taylor, appunto. Sul treno del progresso sarebbe certo salita Signorina (anzi Cittadina) Eguaglianza. Tutto sarebbe cambiato e le macchine avrebbero avuto un ruolo determinante, non appena il proletariato se ne fosse impadronito: per usare, a favore dell'umanità e non contro, "il molto che s'inventa" di cui recita il famoso Me-ti di Bertolt Brecht (3). L'inevitabile uscita dalla "preistoria umana". Macchine, masse, socialismo: che bel trio!
Ebrea, polacca, zoppa, intelligente e donna - dunque tutte le ragioni per essere rivoluzionaria e lucidamente pessimista - Rosa Luxemburg ci aveva messo in guardia: la scelta è fra socialismo e barbarie. A chi poi siano servite le macchine, la scienza, ce lo raccontano Auschwitz, Hiroshima, l'escalation sul Vietnam, le bombe "intelligenti" su Baghdad. Intanto i sogni si son trasformati in soap. La cultura in quiz. Le masse in neo-zombies. E' incredibile, ad esempio, che in Italia non si abbia il coraggio di vedere con lucidità cos'è accaduto nel referendum dell'11 giugno. Bisognava scegliere qualcosa di molto semplice: da una parte soap, quiz, merci masturbatorie e dall'altra il nulla, perché niente avevano da proporre i rivali di Berlusconi. Si sarebbe potuto vincere solo avendo desideri, progetti, utopie che annunciassero altri mondi, davvero alternativi ai sogni di plastica della Fininvest. Così non si poteva che perdere: è come se si cercasse di convincere il popolo dell'eroina che l'alternativa al buco è il normale mondo di merda "normale". La vittoria del capitalismo è avvenuta soprattutto nell'immaginario, nel togliere cioè tutti i sogni ai sui antagonisti. L'inconscio è stato coca-colonizzato. Lo ha ben detto Philip Dick (e chi se no?): "posso immaginare tutto, ma non universi senza Coca-Cola". E i Sex Pistols non celebrano locomotive ma cantano: "Nessun futuro per te, nessun futuro per me". Non ci resta che la tv. Oppure ammettere che l'umanità è in un vicolo cieco. Armi nucleari, ecocidio, sterminio per fame: che bel trio!

Il presente acchiappatutto
Mentre il futuro è divenuto fosco, incerto o impossibile, il presente ha accelerato, senza fermarsi un attimo, per vincolarci e incatenarci su sentieri obbligati. L'unico futuro è la continuazione del presente: insensatezza logica oltre che sintattica. Eppure noi - prigionieri di questo iper-presente, reietti di un altro pianeta - avevamo una scappatoia: la fantascienza, futura umanità. Che fine ha fatto quella sovversiva (spesso, suo malgrado) letteratura che doveva, per statuto, dirci che ci sono altri futuri possibili che non siano solo Mike Bongiorno o scegliere tra Khomeini e Wojtyla?
Mentre sembra - attenzione! non sempre ciò che sembra... - esaurirsi la "spinta propulsiva" della science-fiction, ecco la sorellastra (saggia e antipatica?) come da copione: la futurologia. Prima le ambigue esperienza para-scientifiche del gruppo francese Jouvenel, Pauwels, Bergier e dei vari Hudson Institute degli Hermann Kahn che studiano gli scenari del domani. Le differenze fra i più noti "previsologi" - Zbigniew Bryezinsky, Wassili Leontef, Daniel Bell, David Riesman o l'ex marxista Alvin Toffler (quello che ha coniato l'espressione "lo choc del futuro" e che oggi è ascoltato nume dell'estrema destra Usa) - esistono, non sono di poco conto: ma li unisce l'idea che più di tanto non si possa cambiare. Ancor più li unifica il portafoglio: le loro ricerche sono finanziate da governi e organizzazioni militari e/o multinazionali. Sono i profeti - intelligenti, ci mancherebbe altro - dei "50 mila della borghesia mondiale" secondo la definizione di Parboni (4). Che muti la forma del dominio (l'ONU sovranazionale o la frammentazione locale) conta poco per i 50.000 signori: a loro interessa la sostanza del dominio.
Basta scorrere in Italia la rivista "2000 giorni al 2000" (guarda caso l'idea viene alla Fiat) oppure un qualsiasi catalogo di casa editrice - particolarmente le collane "Trends" della Franco Angeli o della Sperling & Kupfer - per accorgersi del nuovo boom per progetti, scenari, modelli, previsioni. Tutti diversi e tutti uguali nella loro povertà, ovvi, deboli, non-desideranti. Incatenati all'immodificabile presente dove il nostro destino si legge nelle viscere di animali o nei rapporti del Censis; dove c'è poco posto per l'utopia, per il vero mutamento, per i sogni deflagranti.
Esempi? Quanti ne volete. Le sinistre (quelle che si fanno chiamare così, sinistramente) per definire alternative minime e ridicole all'immobile hanno bisogno di tragedie. Sono solo "post": post-Seveso, post-Chernobyl, post-muro, post-industriale. W il meno peggio. Del futuro non sanno nulla, non viene loro neppure in mente che si possa pensare, sognare, progettare. Se un Bookchin o un Rifkin (5) provano a indicare la Luna che cade, loro - gli imbecilli - guardano il dito. False sinistre come vere destre. "La differenza fra uno Stato assistenziale e un despota benevolo è minima" ci aveva messo in guardia un altro scrittore di science-fiction, Alfred Bester. E per favore non parlate di esempi macroscopici, perché è proprio un macroscopio - un apparecchio per guardare l'infinitamente complesso con occhi nuovi - ciò che ci manca.
Fantascienza dove sei? "Per conquistare il futuro, bisogna prima sognarlo" (6). Ogni tanto qualche idiota lodala science-fiction (Verne o Wells, magari) perché ha previsto - stile sfera di cristallo o Maga Magò? - qualcosa che poi è successo "veramente". Sai che merito!?! C'è sempre qualcuno che ha immaginato qualcosa: moltiplica per tutta la storia umana e troverai sempre ciò che cerchi. Ma il pregio della fantascienza è un altro: costringerci a pensare che possano esistere sentieri diversi, visioni pericolose, ragionamenti laterali, culture altre, alienità in noi e negli altri, infinite probabilità, ricchezze perdute, nuove umanità (soprattutto nel senso in cui Dick usa questa parola nel racconto "Umano è"), magari metalli urlanti e umanoidi associati.

Spazzatura al 90 per cento
Tutta la fantascienza ha fatto questo, ci ha offerto cioè infiniti sentieri? ovviamente no, perché - dice Theodore Sturgeon - "il 90 per cento della science-fiction è spazzatura, ma del resto il 90 per cento di ogni cosa esistente è spazzatura". Anzi sarà bene precisare che l'immaginario "politico" (e scientifico) di molti autori era/è di destra.
Spiega, con sacrosanta cattiveria, Ursula Le Guin: "L'unico cambiamento sociale che presentava la maggior parte della fantascienza è stato in direzione dell'autoritarismo, della dominazione delle masse ignoranti da parte di una élite potente (...). Il socialismo non viene mai considerato come un'alternativa e la democrazia viene quasi dimenticata. Le virtù militari vengono considerate come virtù morali (...). Il capitalismo basato sulla competizione della libera iniziativa privata è il destino economico dell'intera galassia. La science-fiction americana ha accettato una gerarchia permanente di persone superiori e inferiori, con in cima i maschi ricchi, ambiziosi e aggressivi, pi un grande vuoto e alla base le masse povere, non istruite, senza volto, e tutte le donne (...). Un perfetto patriarcato come quello dei babbuini, con il Maschio Alfa a capo, che di tanto in tanto viene rispettosamente azzimato dai suoi inferiori. E' speculazione questa? E' immaginazione? E' estrapolazione? Io lo chiamo reazionarismo scervellato" (7). Bisogna cercare il 10 per cento sepolto nella spazzatura: lì troveremo i nostri cristalli sognanti, le penultime verità, le ambigue utopie, la persistenza della visione, forse perfino "le leggi dell'umanica" (8).
Occorre di nuovo attingere al patrimonio dell'immaginario: per concimare nuovi sogni, per frantumare l'iper-presente in primo luogo dal nostro inconscio. Nei suoi punti più alti la science-fiction (letteratura utopistica, avveniristica, il sogno d'una migliore società: chiamatela un p' come vi pare) ha continuato a offrirci possibilità più che previsioni, a costruire laboratori onirici, think tank (serbatoi di pensiero), a essere progettuale partendo dall'idea che in un mondo senza utopie non valga la pena vivere. Ha anche fotografato il nostro dopodomani, individuando - per tempo - alcune tendenze, "canovacci" della storia, oggi clamorosamente sotto i nostri occhi. In primo luogo la fantascienza ha individuato il paradosso di una tecnologia senza più scienza (con le tecnofobie e tecnomagie che ne derivano): è accaduto infatti non che l'istruzione scientifica sia divenuta di massa ma che la società celebri un tecno-vudù dove pochissimi conoscono regole, metodi, presupposti degli oggetti altamente tecnologici che hanno invaso le nostre vite. Viviamo di tecno-dogmi (altro che liberazione con Internet!) senza una cultura scientifica. La science-fiction ha via via annunciato gli scenari connessi: i corpi inquietanti, la robotizzazione degli umani, la fine del lavoro, la confusione fra vita e non-vita, i mondi paralleli e non-comunicanti, l'orrore della normalità è nelle regole, le macchine del tempo (intese come tentativo di controllare e riscrivere il passato per condizionare il presente, "memorie del fuoco" direbbe Eduardo Galeano), l'agorafobia e l'autismo di massa; infine il dubbio se - non le macchine, ma - gli esseri umani possano (ancora) pensare; se gli uomini (non i robot) sappiano che "ribellarsi è possibile, è giusto, è ora" come suggeriva un grande scrittore di fantascienza cinese. Si potrebbe perfino ribaltare - l'immagine rovesciata dello specchio conferma anziché smentire - ciò che dice oggi dal Chiapas un altro utopista, il sub-comandante Marcos: "un popolo che dimentica il suo passato non può avere futuro" ma è altrettanto vero, pur se paradossale, che un popolo che dimentichi il suo futuro non avrà presente.

(1) Vittorio Foa, "La Gerusalemme rimandata", Rosenberg & Sellier, 1985

(2) Lo ricorda Sandro Portelli nel bellissimo "Biografia di una città (ovvero "Storia e racconto: Terni 1830-1985"), Einaudi, 1986

(3) Bertolt Brecht, "Me-ti, libro delle svolte", Einaudi, 1970

(4) Riccardo Parboni in AA.VV. "Dinamiche della crisi mondiale", Editori Riuniti, 1986. Secondo Ignacio Ramonet (su "Le monde diplomatique - il Manifesto", edizione italiana, maggio'95) i veri leader sono gli 850 che si sono riuniti nel forum internazionale di Davos. Meno di mille "reucci" con 50 mila "valvassori" per qualche miliardo di servi della gleba? Lo chiamano così: nuovo ordine mondiale

(5) Non che Jeremy Rifkin dica sempre cose interessanti; ma è significativo che quest'ultimo suo stimolante articolo-saggio "La scomparsa del lavoro può essere una grande occasione per tutti" (tradotto su "L'Internazionale" del 19 maggio '95) da noi abbia suscitato solo silenzi, come del resto molti altri analoghi stimoli

(6) Prima di essere la frase emblematica del centro sociale Leoncavallo, la si poteva leggere in Margot Piercy, "Sul filo del tempo", Eleuthera, 1990

(7) U. K. Le Guin, "Il linguaggio della notte", Editori Riuniti, 1986

(8) Volutamente - come in altri punti - sto proponendo a modello alcuni titoli: in questo caso opere di Sturgeon, Dick, Le Guin, Varley e infine le riflessioni dell'ultimo Isaac Asimov