Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 222
novembre 1995


Rivista Anarchica Online

Pietro Gori e noi
intervista a Maurizio Antonioli

Maurizio Antonioli insegna Storia contemporanea nella Facoltà di Scienze politiche all'Università degli Studi di Milano. È autore di numerosi libri e studi sul movimento operaio, sul sindacalismo rivoluzionario e l'anarchismo. In questa intervista ci parla del suo ultimo libro Pietro Gori, il cavaliere errante dell'anarchia (Studi e tesi) (BFS edizioni, Pisa, 1995, pagg. 190, lire 20.000).

Perché e attraverso quali vie Pietro Gori è diventato "il Gori", cioè - come si legge nel titolo del tuo libro - "il cavaliere errante dell'anarchia"? che ruolo ha svolto questo mito, dove ha trovato maggiore radicamento, perché poi si è progressivamente inaridito?

Alla domanda che mi poni non mi è facile rispondere, perché la formazione del mito di Gori durante la sua vita potrebbe essere (e non è detto che non sia in un prossimo futuro) oggetto di un altro lavoro o di un lavoro complessivo più ampio. Mi spiego meglio. Nel mio saggio ho soprattutto analizzato lo sviluppo del mito goriano dal 1911, cioè dalla morte del nostro, fino al secondo dopoguerra, il suo dispiegarsi insomma nel classico modo celebrativo successivo alla scomparsa del soggetto. Ma il mito di Gori si costruisce prima, durante la vita. Come, attraverso quali tappe, quali momenti, è ancora da studiare. Le testimonianze relative alla sua morte, ma anche alla fase della sua malattia, ci danno la misura di un affetto popolare straordinario. E non si trattava solo dell'ammirazione per l'eroe o per il leader politico dotato di grande carisma.
Miti di questo tipo ce ne sono stati tanti, di maggiore o minore intensità e durata, spesso costruiti o, per usare un linguaggio specialistico, "tecnicizzati". Ma Gori non è né Garibaldi, né Stalin o Mussolini. Il mito di Gori si forma fin dalla sua giovinezza ed è intimamente legato alla natura stessa della sua propaganda. Gori è l'apostolo, il profeta, la sua propaganda è predicazione non tanto e non solo di un'ideologia, quanto e soprattutto di un "avvenire di Pace, Giustizia, di Luce".
Gori e il "sol dell'avvenire" si fondono in una sorta di unità simbolica. Gori è un militante politico, la cui visione del processo rivoluzionario è una visione di lungo periodo, una complessa trama di trasformazioni, lente e profonde. Ma agli occhi di certi popolari abbruttiti, socialmente emarginati, colpiti nella loro dignità umana, rappresenta un sogno di giustizia, di riscatto, di vita nuova. Quello che importa non sono tanto gli aspetti concreti del suo pensiero quanto il valore simbolico della sua figura, capace di esprimere ideali di redenzione sociale che vanno ben al di là delle forme quotidiane della lotta di classe. Gori è in un certo modo il Messia dell'Idea e, l'Idea, è la fede nel "liberato mondo". Il mito goriano ha svolto una funzione di coesione, di stimolo, di costruzione di un'identità. Attorno a lui si sono costruite e tenute insieme comunità di intenti, nutrite dalle speranze e dai sogni che tale mito suscitava. Sul piano geografico ha avuto una diffusione nazionale e per certi aspetti internazionale, ma ha conservato la sua vivezza soprattutto nella Toscana tirrenica, laddove Gori era di casa e dove fioriva la sua leggenda. Certo, il mito si è inaridito. E questo è successo sia per la scomparsa fisica di quelle generazioni che ne erano partecipi, sia per la distruzione, dovuta a cambiamenti oggettivi e soggettivi, di quella comunità di intenti che costituiva l'asse portante di un certo mondo politico e culturale, ormai tramontato. Ma sicuramente anche per una rimozione della memoria. Una rimozione dovuta alla perenne ansia di attualizzazione del passato, ad una visione ciecamente utilitaristica del patrimonio teorico e sentimentale dell'anarchismo, all'esigenza scarsamente produttiva di esistere e contare "politicamente" senza tener conto che si esiste e si conta solo se si partecipa di un immaginari collettivo al cui interno le proprie istanze siano vitali anche se non necessariamente riconoscibili.

Nella tua premessa, evidenzi le ragioni del tuo complesso legame con Gori. Al contempo, ne sottolinei la sempre maggiore inattualità. Allora perché questo libro - peraltro atipico nel suo impianto - incentrato su di un personaggio ormai sconosciuto ai più?

Cercherò di essere chiaro. La sempre maggiore inattualità di Gori evidentemente non mi fa piacere. Credo che sia ravvisabile nel mio discorso una sottile vena politica. Perché? Perché, riprendendo il discorso di prima, sono decisamente contrario alla rimozione della memoria. D'accordo, non si può ricordare ciò che interessa più, ma sappiamo bene tutti che la memoria si mantiene solo se ne ha la possibilità. E quello lo sapevano bene quelli che erigevano monumenti e lapidi, che dedicavano vie, ecc. Sul culto (dei santi, degli eroi, dei martiri religiosi ma anche politici) si sono costruite le fortune di grandi religioni e di grandi correnti di pensiero. Voglio dire che per molti aspetti la memoria di Gori è stata abbandonata e lo si è fatto perché si è pensato che Gori non servisse più, perché Gori sembrava fuori moda, "politicamente" inutile o almeno inutilizzabile dai militanti. Nell'ondata postsessantottesca si andava a ripescare l'attualità di tutto. Malatesta era attuale, Kropotkin, Borghi e Berneri pure. Poi è diventato attuale Merlino in chiave di revisione perché aveva regione contro Marx e magari anche contro Bakunin. Ma Gori non poteva essere utilizzato in questo modo. E il ricordo sembrava cosa da vecchi, da anziani militanti un po' rimbecilliti. Si è fatto insomma un uso strumentale delle figure del passato a misura della loro utilità contingente. Malatesta era o no favorevole all'Usi? Il quesito si poneva tra cospiratoria favore della nuova Usi come coloro che la avversavano. Aveva ragione Merlino sulle opportunità del voto già alla fine del secolo scorso, sostenevano gli elezionisti.
Ma Malatesta non era contrario anche alle candidature protesta (ricordate il caso Valpreda?). Se Borghi non aveva più voluto ricostruire l'Usi nel dopoguerra era il caso di seguire la stessa linea? Dico questo senza naturalmente prendermela con gli incolpevoli Malatesta, Borghi, Merlino ecc. Ma la ricerca spasmodica di un brano dell'uno o dell'altro che giustificasse una scelta propria o di movimento era francamente ridicola. Se studiamo Malatesta, Borghi o Merlino non è perché sono piegabili alle esigenze dell'oggi. Questo non significa che ciascuno di noi non possa sentirsi più vicino a Malatesta piuttosto che a Borghi o a Merlino. Semplicemente bisogna partire dal presupposto che il passato non può essere soltanto usato per giustificare scelte politiche del presente. Nella vecchia e popolare trasmissione della memoria il personaggio non veniva ricordato tanto per quello che aveva scritto, ma per i suoi comportamenti, per la sua testimonianza, per i valori che sembrava incarnare. A differenza di altri, e per motivi citati, per Gori negli ultimi anni la rimozione mi sembra sempre più forte. Il che determina la maggiore inattualità. Ed è per questo che ho pensato a questo lavoro. Per andare contro ad una tale tendenza, ma partendo da un punto di vista che non è quello interno, di colui che si riconosce nell'anarchismo politico attuale, ma come dico nell'introduzione di colui per il quale le sirene non canteranno, anche se ricorda con piacere il loro canto.

Infine, una tua valutazione complessiva (non solo da "storico", ma da persona che da un quarto di secolo incrocia gli anarchici e criticamente e con simpatia li conosce e li frequenta): in un anarchismo proiettato verso il Duemila, che cosa si può dire ancora di Gori?

In fondo questa domanda è collegata a quella precedente. Ti confesso che Gori mi dice molto di più di tutti gli altri. Il motivo è semplice. Poiché non sono né un militante anarchico n uno storico del pensiero politico, ma uno storico dei movimenti ed un appassionato dei processi di costruzione delle immagini, non mi interessa tanto analizzare che cosa pensava Gori e se le sue idee avevano un'operatività politica allora e magari in parte anche oggi. Voglio fare un esempio, con riferimento ad un bel lavoro dell'amico Nico Berti, Un'idea esagerata di libertà ( Elèuthera, Milano, 1994, L. 23.000). Nico nel suo capitolo su Malatesta conclude la breve nota introduttiva con queste parole: "i suoi scritti, costituiti da molti opuscoli e da diverse centinaia di articoli sparsi nei periodici anarchici di mezzo mondo, rappresentano un insieme sostanzialmente organico e delineano un pensiero di straordinaria attualità, specialmente per ciò che attiene alla teoria dell'azione anarchica". Non ho obiezioni, ma questa è una valutazione che sta tra il militante e lo storico del pensiero anarchico. Amo molto Malatesta, è bene dirlo, ma non tanto per l'aspetto che viene sottolineato da Nico, quanto per la sua grande capacità di mobilitazione delle masse e per l'immagine di coerenza che la sua vita riesce a trasmettere. Ovviamente non guardo a questi aspetti con l'occhio romantico di qualche vecchio e sempre rispettabilissimo anarchico, ma con l'occhio di chi considera fondamentale nella propagazione e nel radicamento delle idee, quelle idee per cui molti sono vissuti e sono morti, la costruzione di figure mitiche e simboliche a cui affidare il compito di accumulatori della fede politica. La totale laicizzazione della politica, la caduta della tensione etica, hanno portato alla distruzione di tutto quanto veniva considerato come elemento rituale. Rimangono a volte i cortei, che pure sono elementi rituali e che sono una pallida sopravvivenza della necessità del rito politico collettivo. Chi ricorda il 25 aprile del 1994 a Milano, sotto una pioggia battente, con l'interminabile corteo da piazzale Loreto a piazza Duomo non può non vedervi, pur nelle differenziazioni interne, l'espressione di uno dei bisogni fondamentali della politica, la necessità di celebrare un rito collettivo di iniziazione, di fortificazione dei propositi, di giuramento, ecc. Una sorta di battesimo, di cresima, di ecc. ecc. Insomma, ciascuno ha bisogno della propria Pontida. Ma a parte questi episodi, che ci dicono molto ma sono sporadici, il rapporto degli elementi di una comunità politica con la contingenza, con l'urgere dell'oggi e del qui, non può totalmente essere affidato all'analisi politica nel senso proprio del termine. Nessuna vera comunità esiste soltanto perché si è d'accordo su di un teorema politica, ma perché si partecipa di uno stesso sistema simbolico. E all'interno di questo sistema non possono non esistere figure mitiche che non sono necessariamente persone, non sono solo i santi e i martiri, ma sono anche idee/valori come la libertà, la giustizia, ecc. ma attenzione a disprezzare i santi e i martiri. Attenzione alla smania iconoclasta, anche perché come è capitato nel movimento anarchico prefascista l'iconoclastia poteva diventare a sua volta un elemento mitico. Naturalmente ogni comunità politica o religiosa non può fondarsi a lungo sulla ripetizione di rituali scaduti o su miti tecnicizzati, imposti e sostenuti con la costrizione o la falsificazione. Ad un certo punto, crolla. Sono crollati i fascismi e il comunismo stalinista o maoista, anche se esistono ancora i fascisti e i comunisti per i quali quei miti sono ancora vitali. Se però non si capisce che le idee o meglio gli ideali (mi piace di più e significa altro) sopravvivono anche se si riesce a conciliare il disincanto politico con la "rimembranza", con il rapporto attivo e non subalterno con i propri miti e i propri simboli, allora si è votati alla sclerotizzazione ed alla scomparsa.
L'interruzione della catena con il passato, con la tradizione non ha mai portato frutti. Tant'è vero che chi la tradizione non ce l'ha, se la inventa. Chi ce l'ha non deve perderla, anche se è sempre opportuno mettere in guardia e spiegarsi bene. Poche righe fa ho parlato di rapporto non subalterno. Questo è il punto centrale, altrimenti si ritorna alla passività, alla mancanza di critica, in una parola si perde ogni dimensione libera e libertaria. I miti e i simboli di una comunità non devono essere dei Moloch dispotici e divoratori di coscienze, non devono essere divinità assolute, ma invece dei dispositivi di mobilitazione intellettuale ed emotiva. E questo può avvenire solo se si mantiene correttamente critico ed egualmente attivo il rapporto con il passato. Tu mi chiedi che cosa può dire ancora Gori ad un anarchismo proiettato verso il duemila. Al termine di questa conversazione, credo sia evidente che possa dire molto a patto di non ricercare l'attualità del pensiero ma la validità del simbolo. Probabilmente le mie parole non piaceranno a molti.
Ma come tu dici io ho un quarto di secolo di riflessione amica ma non di parte sulle spalle. Per me ha ancora un senso portare un fiore sulla tomba di Gori, dare fiori al ribelle caduto, al poeta veggente che muor.