Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 222
novembre 1995


Rivista Anarchica Online

Maschio e femmina
di Filippo Trasatti

Dopo un black-out durato anni, nell'era dell'Aids in cui sembrava dominante l'equazione sesso = morte, le analisi e gli studi sulla sessualità cominciano a riemergere in superficie, soprattutto a dire il vero nel mondo anglo-sassone. Tre sono i filoni di studio principali la cosiddetta "storia della sessualità" continuazione o contestazione di quella di foucaultiana memoria, le ricerche da parte di "femminista" (in inglese suona meglio Women's Studies) e le ricerche di parte omosessuale (Gay's Studies). Esistono negli Stati Uniti, ma anche in minor numero in Germania e in Francia, cattedre e interi dipartimenti che si occupano di tematiche che ruotano intorno al tema della sessualità. Noi, intanto, dobbiamo accontentarci di traduzioni o degli echi della querelle sulla differenza sessuale. Non potendo certo affrontare qui una questione così ampia, e che meriterebbe di essere trattata dalla rivista in modo ampio, ci limitiamo a semplificare assai, ponendo una domandina semplice semplice, che però a me sembra riassumere bene il centro del problema: al di là della ovvia differenza di organi sessuali, quali differenze ci sono tra maschi e femmine? Ma già questo "al di là" pone dei problemi se si pensa che alcune femministe, nell'ambito del filone della differenza sessuale, pongono la radice della differenza già a livello biologico, ancor prima dello sviluppo dei genitali. A me sembra incredibile, ma è così, e se proprio volete vi faccio un esempio "La differenza c'è ed è forte nell'ambito della specie, ed è probabilmente più forte di quella che esiste tra le razze. Se si pensa che un uomo ed una scimmia differiscono solo per quattro cromosomi si comprende che anche un cromosoma diverso, in termini di caratteri genetici, vuol dire molto. (…) I cervelli degli uomini e delle donne sono diversi, ragionano in maniera diversa e questa diversità, a quel che si vede è grande. Uomini e donne sono fisicamente e psicologicamente differenziati" (Maria Anna Rosei, La differenza dei sessi in biologia, in Via Dogana, mag/giu '94).
Mi sembra un buon esempio di una tesi estrema tra un uomo e una donna v'è una differenza abissale che è data dalla loro costituzione interna, si potrebbe dire della loro essenza e la società e la cultura si limitano a modulare in modo diverso queste differenze preesistenti. Ci sono poi posizioni più sfumate ed articolate all'interno della teoria della differenza sessuale, e naturalmente anche chi, tra le donne, sostiene invece la tesi dell'estrema somiglianza, ma qui inevitabilmente stiamo schematizzando.
Ritorniamo alla domandina. Quando mi è capitato, tra amici o a scuola con gli studenti, di porre questa semplice domanda, a un primo livello ho ritrovato l'intera gamma delle posizioni, da non ci sono differenze date, ma tutto si crea attraverso l'educazione, la cultura e la società, alla tesi di una differenza radicale e insuperabile più o meno orgogliosamente esibita. Poi sono incominciati gli slittamenti, i distinguo, la difesa delle generalizzazioni, i dubbi un po' come se da una chiusura iniziale, un po' presuntuosa e saccente, ci si aprisse a una ricerca, che è una ricerca essenziale della nostra vita, e che a me pare una ricerca propriamente interminabile di continua ridefinizione della propria identità rispetto ai paletti e ai parametri posti dalle persone che ci stanno intorno, prima di tutto, ma più in generale della cultura. Una vera ricerca ha anche il compito di andare al di là delle barriere concettuali precostituite, di trovare altri modi per esprimere la propria differenza.
Maschile/femminile, omosessuale/eterosessuale, normale/perverso, sono opposizioni binarie che non hanno niente di naturale, che servono a far ordine nella società e nella nostra mente, un ordine che non è affatto neutrale e che è già profondamente segnato da asimmetrie e gerarchie implicite. La sessualità fa da cerniera tra natura e cultura, tra corpo e psiche, tra sensi e pensiero; non c'è nulla al suo interno che sia naturalmente scontato, che non possa essere usato come punto di partenza per un capovolgimento, perché gli uomini e le donne sono sì esseri sessuali, ma esseri sessuali che immaginano e immaginando creano mondi. E qui la psicoanalisi, con tutte le sue potenzialità e i suoi limiti, entra in scena. Vediamo ad esempio come la psicanalista americana Nancy Chodorow (Femminile, maschile, sessuale, La Tartaruga edizioni, Milano 1995) si impegni a smontare l'immagine tradizionale del "femminile" attraverso una lettura di Freud e di altri psicoanalisti che mette in luce la compresenza di immagini contraddittorie dello sviluppo femminile. Ma questo in fondo è già stato fatto molte volte, soprattutto in ambito femminista. Meno comune è la de-costruzione delle categorie e dell'opposizione eterosessualità/omosessualità, tranne che da parte di alcuni settori del movimento di liberazione gay a partire dagli anni Settanta.
Che cosa c'è di più scontato, di più normale dell'eterosessualità? E che cosa dovrebbe fare la psicoanalisi se non ricalcare questo senso comune? Chodorow mostra come in effetti all'interno della psicoanalisi si ritrovi a fatica una ricostruzione articolata della supposta normalità (e soprattutto del suo sviluppo dall'infanzia alla cosiddetta età matura) che è ricavata dal senso comune e dal rovesciamento delle cosiddette perversioni, prima tra tutte l'omosessualità. Ma è corretto parlare di una eterosessualità e di una omosessualità come se fossero qualcosa di omogeneo e compatto, l'una contrapposta all'altra? Per Chodorow, e non possiamo che associarci, ciò che importa di più è il modo individuale, unico per la propria costituzione e biografia, di porsi all'interno delle opposizioni di genere che sono culturalmente elaborate ed imposte. "Il modo in cui la biologia, i valori e i costrutti culturali, le soluzioni intrapsichiche ai conflitti, l'esperienza familiare e l'identità di genere influiscono sull'orientamento, l'organizzazione, le fantasie e le pratiche sessuali varia molto probabilmente da una persona all'altra" (p. 104). D'altra parte le istituzioni, le pratiche, i prodotti culturali e le relazioni sociali informano, contribuendo a costruirle, le maschilità, le femminilità e le forme della sessualità. Questo mi sembra la sintesi di un modo di concepire i "sessi" opposto rispetto a quello da cui siamo partiti.
Dice in proposito Chodorow: "Come studiosa, abituata per formazione a riconoscere il fondamento culturale e sociale dei nostri concetti circa tutte le esperienze e categorie contrassegnate secondo il genere e il sesso, comprese le nostre concezioni della biologia, mi ha sempre colpito la facilità con la quale, quando si parla di genere e sessualità, gli psicanalisti passano a far riferimento alle funzioni biologiche e all'anatomia "reali" (p. 151, n. 62); come abbiamo visto questa osservazione può estendersi al di là della ristretta cerchia degli psicanalisti. È raro trovare una (o uno) studiosa che ammetta tranquillamente di non saper dare risposta alla domanda semplice che ho posto all'inizio e che invece di fornire risposte semplificatorie inviti a ricercare al di là dei limiti comunemente accettati.
Tutt'altra strada, sempre per introdurre dei pruriginosi interrogativi sulla opposizione maschile/femminile, è quella proposta da un'altra studiosa nordamericana, Majore Gerber (Interessi truccati, Cortini, Milano 1994) che affronta il concetto di "travestitismo" (suona bene in inglese cross-dressing) nella cultura contemporanea. I travestiti mettono in crisi le identità di genere, o meglio il codice binario che distingue e separa nettamente il maschile dal femminile. Il libro si apre con un aneddoto interessante. Forse molti non sanno che prima della grande guerra i colori attribuiti ai neonati erano esattamente l'inverso di oggi all'inizio del XX secolo i maschi portavano il rosa ("un colore più forte e deciso"), mentre le femmine portavano l'azzurro (un colore considerato "delicato e tenero"). È solo un esempio di come i codici di ripartizione e lettura dei generi cambino nel giro di un paio di generazioni, imponendosi poi come qualcosa di assolutamente naturale. Gerber sostiene, avendo presente soprattutto la cultura nordamericana, che oggi il tema del cross-dressing si è diffuso nell'arte e nel discorso teorico per un bisogno celato di rimettere in discussione il pensiero binario, nelle varianti di maschile e femminile, bianco nero, sé e l'altro, o in tutte le varianti in cui si presenti.
Il Terzo attira, non è altro termine del codice binario, il terzo sesso non è un sesso, non è l'androgino, è ciò che mette in discussione l'idea di identità rigida, di autosufficienza. Laddove appare il Terzo, simile all'Angelo sterminatore, i due opposti si congelano nella loro opposizione e mostrano le loro reciproche limitazioni. La studiosa indaga poi i numerosi esempi di travestitismo nel campo del teatro, del lavoro, nell'esercito. Ciascuno può trovarne nel cinema da The Rocky Horror Picture Show al più recente The Mask, come casi più evidenti.
È questo un segno positivo (e per chi?), oppure questa presenza inquieta non è che uno degli indicatori di una più generale crisi delle identità rigide?
Forse siamo andati un po' troppo avanti, dimenticando che dietro la porta di casa del vicino o nel film di cassetta, nelle aziende o all'angolo di una strada di periferia, un'identità maschile odiosa e oppressiva è tuttora in piedi, che dietro l'opposizione maschile/femminile si cela una gerarchia di funzioni e di poteri, che la nostra società è ancora fortemente misogina (e questo è in stretta relazione con l'omofobia). O forse abbiamo dimenticato di dare un'occhiata a ciò che sta accadendo in alcuni paesi islamici. In realtà non c'è affatto contrasto tra quelle tendenze, anzi proprio laddove un'identità rigida tradizionale viene minacciata, più forte si profilano la difesa e l'attacco, più cieca la violenza per difendere un mondo che si sta sgretolando. Per questo e per altri motivi la questione maschile/femminile (con il problema del controllo della riproduzione e dell'uso sociale del corpo femminile) va tenuta al centro dell'attenzione non come argomento tra gli altri, ma come il centro di una rivoluzione culturale che è già cominciata senza di noi.