Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 222
novembre 1995


Rivista Anarchica Online

L'autogestione in fiera
di Maria Matteo

Un appuntamento per tutti coloro che nella pratica dell'autogestione individuano l'ambito progettuale capace di aprire uno spazio in cui l'effettualità nel qui ed ora sia congiunta ad un'inesausta tensione della trasformazione sociale. Un'occasione per gettare un ponte tra chi vive in una casa occupata e chi fa commercio equo solidale, tra chi costruisce una comunità agricola e chi una scuola libertaria, tra quelli impegnati nell'autoproduzione di libri e dischi e quanti han dato vita a federazioni municipali di base. Questo è stata la seconda Fiera dell'Autogestione tenutasi a Padova dal 7 al 10 settembre.

Dal 7 al 10 settembre Padova, città nota ovunque come meta di viaggi devozionali al santuario di sant'Antonio, è stata visitata da ben altra genia di pellegrini.
Il vivace e composito popolo dell'autogestione ad un anno di distanza dalla fiera di Alessandria è tornato ad incontrarsi, a scambiarsi esperienze e prodotti, a fare e rinnovare conoscenze.
Sono stati quattro giorni molto intensi, quattro giorni sull'autogestione ma soprattutto quattro giorni di autogestione in cui persone provenienti da tutt'Italia oltre ad esponenti di alcune importanti esperienze europee hanno esposto progetti, discusso ipotesi, tentato di intessere più solide ed efficaci reti di relazioni.
Al di là della grande varietà di interessi, percorsi politici ed esistenziali, l'elemento comune, il filo sotterraneo di collegamento fra tutti è stato la volontà di tracciare un percorso capace di dare dignità di movimento alle tante, tantissime esperienze di autogestione che si sforzano di prefigurare un'alternativa concreta alla gerarchia e al capitalismo. L'universo autogestionario, sebbene convogli grandi energie, tuttavia molto spesso non riesce ad avere visibilità, non è capace di conferire dignità progettuale complessiva al proprio intervento. Un gruppo sparso di case non è un paese finché non si costruisce una piazza, un luogo comune dove incontrarsi, discutere, prendere decisioni. La fiera dell'autogestione è lo strumento con il quale cominciare a porre le fondamenta di questa piazza. Una piazza dove si scambiano prodotti e idee al di fuori di ogni logica mercantile, dove si costruiscono momenti di cooperazione, dove emerge la dimensione pubblica, politica del percorso autogestionario. È una dimensione della quale oggi si avverte in maniera prepotente la necessità, poiché la scelta dell'autogestione, lungi dall'essere mera occasione di sperimentazione esistenziale, nonché opzione eminentemente etica, si configura come l'unica alternativa possibile ad un'organizzazione sociale votata alla distruzione di ogni risorsa umana e materiale del pianeta.

Buon Senso?
Chi stigmatizza l'autogestione come utopia irrealizzabile, appellandosi al buon senso, dimostra di averne ben poco. Tranne che vivere in un mondo il cui prodotto principale sono i rifiuti, in cui la risoluzione dei conflitti è sempre più affidata alle guerre, in cui il divario tra nord e sud del mondo appare ogni giorno più incolmabile, in cui la libertà è privilegio, non sia indice di buon senso.
Il popolo dell'autogestione cerca di coniugare il buon senso e l'utopia, l'agire concreto con la prospettiva della trasformazione sociale. Non è un percorso facile. Molti temono che l'autogestione, lungi dall'incrinare la gerarchia e il capitalismo, finisca involontariamente per esserne il puntello. Temono che le attività autogestite possano essere riassorbite entro i limiti di compatibilità del sistema e finiscano coll'esaurirsi in una marginalità agevolmente tollerata ed altrettanto agevolmente repressa. È possibile, non dico di no. Nondimeno mi pare che questi timori evidenzino l'incapacità di pensare la trasformazione sociale come processo che nega l'ordine vigente, tracciando concretamente un diverso itinerario.
L'autogestione può essere riassorbita o repressa non più e non meno dell'impegno sindacale, dell'azione antimilitarista, del sabotaggio o della lotta non violenta. La valenza rivoluzionaria dell'autogestione dipende dalla sua capacità di sviluppare una modalità di intervento che sappia operare un profondo cambiamento di cultura. La parola cultura è qui assunta nel senso antropologico, profondamente pervasivo del termine, che investe sì l'ambito dei valori e dei saperi ma per ricomprendere anche le modalità relazionali e la materiale quotidianità dell'esistere.
Abbiamo assistito negli ultimi quarant'anni all'estendersi inarrestabile delle metropoli: è un fenomeno che non interessa soltanto il nord sviluppato ma ha ormai portata planetaria. Definire le metropoli "grandi città" è solo un pietoso eufemismo, poiché i giganteschi conglomerati urbani nei quali risiede metà della popolazione mondiale son ben altro: un enorme, mostruoso cancro che corrode l'ambiente umano, naturale, sociale di noi tutti. Le metropoli sono l'emblema di una civiltà, la cui unica folle razionalità è quella del profitto e del dominio. Il caos primigenio dal quale la narrazione mitica ci dice essere emerso l'ordine del mondo doveva in qualche modo somigliare alle odierne megalopoli: un incubo infantile che diviene terrificante, pulsante realtà.
Negli anni '80 e '90 le metropoli sono state il centro di grandi conflitti, conflitti la cui posta in gioco è stata sempre meno il lavoro e vieppiù l'espressione tangibile della rabbia dei ghetti, delle grandi periferie urbane abitate da una massa crescente di esclusi.

Quel disagio
Sono state rivolte durissime ma prive di progettualità politica, avulse da ogni tensione utopica, che si sono esaurite nel corso di pochi giorni talvolta poche ore. Quest'estate a Riccione è bastata una piccola scintilla, l'arresto di due piccoli spacciatori, per innescare scontri violentissimi con la polizia. L'obbiettivo non dichiarato ma reale era la difesa di una piccola area non normata dove campeggiare liberamente, presenziando, sia pure marginalmente, ai grandi riti consumistici dell'estate vacanziera. A Torino il 10 settembre alcune migliaia di giovani hanno dato vita ad una vera e propria guerriglia urbana perché era stato interdetto l'ingresso in una discoteca. È significativo che quella stessa sera si concludesse con grande esibizione di pippibaudi vari la grande kermesse organizzata dalla Fiat e patrocinata da comune, provincia e regione per promuovere le ultime novità della fabbrica d'auto. Le due manifestazioni di protesta organizzate dai centri sociali cittadini non sono riuscite nemmeno a muovere un passo: pochi i partecipanti, prontamente individuati dalla polizia, sono stati caricati di peso sui cellulari ed hanno trascorso la serata in questura.
Questi episodi sono l'emblema di un disagio che non sa e non vuole assumere le forme classiche dello scontro politico, perché è un disagio che non riesce a tradursi in critica del sistema vigente e, quindi, in progetto di trasformazione.
Per disinnescare il meccanismo infernale della metropoli occorre ripensare la città dei cittadini, reinventare uno spazio pubblico al di fuori della sfera statale. Uno spazio pubblico che non si configura come astrazione teorica ma si sostanzia nella costruzione di ambiti di socialità libera, di esperienza di socialità libera, di esperienze di autoproduzione, di cooperazione sociale e di mutuo appoggio, nella pratica difficile ma necessaria ed affascinante dell'autogestione.
La fiera di Padova è stata un'occasione preziosa per approfondire la riflessione su questi temi, nonché punto di innesco di iniziative di collegamento e informazione tra le varie esperienze.
La discussione su possibilità e prospettive di un welfare autogestito, già affrontata in marzo in occasione del convegno tenutosi a Torino su "Crisi del welfare e progetto libertario", è stato sviluppato in modo assai interessante nella tavola rotonda "Salute e medicina di base: elementi per la costruzione di una medicina pubblica non-statale", in cui, anche attraverso l'esame dei alcune esperienze concrete, si è mostrato come l'autogestione della salute sia non solo possibile ma necessaria. L'autogestione di un ambulatorio da parte di cooperative di medici, infermieri e pazienti consente non solo un controllo diretto sulla propria salute ma anche il miglioramento della qualità di un servizio non più delegato allo stato ma costruito in prima persona.

Il problema delle risorse
La tavola rotonda "Per una comunicazione autogestita" ha altresì evidenziato come, nell'epoca dell'informazione di massa solo modalità relazionali orizzontali consentano l'emergere di una sfera pubblica di riflessione e confronto in cui si dia un agire comunicativo che, salvaguardando i differenti approcci , "riesca ad attraversare il mondo creando un modo diverso di farne esperienza".
Di grande interesse è stato altresì il dibattito sulle risorse che si è focalizzato sulla critica di un modello di sviluppo divenuto oramai insostenibile non solo per l'intollerabile impatto ambientale ma anche perché accresce in modo incolmabile il divario tra paesi ricchi e paesi poveri.
La tavola rotonda "sfera pubblica e autogestione" ha posto l'accento sulla necessità di ampliare i luoghi di un agire politico extraistituzionale, luoghi di confronto in cui una comunità locale, un gruppo di cittadini avochi a sé la facoltà decisionale, rifuggendo ogni meccanismo di delega.
Federazioni municipali, assemblee di quartiere, osservatori urbani sono il terreno di cultura di una concezione della politica in cui fuori e contro ogni logica gerarchica e di dominio emerge la polis, la città dei cittadini. La presentazione e la discussione delle più diverse e variegate esperienze concrete di autogestione è stato il momento più interessante e partecipato della fiera: si è passati dall'uruguaiana Comunidad do Sur al quartiere della Croix Rousse di Lione, dalla Mag 6 di Reggio Emilia ai "bolo" svizzeri.
L'incontro si è concluso con l'assemblea generale di tutti i partecipanti in cui è emersa con forza l'esigenza di ampliare la rete di collegamento tra chi è impegnato sul terreno dell'autogestione.
L'isolamento e la frammentazione sono spesso di segno distintivo di molte attività autogestite che raramente riescono a mantenere contatti stabili, indispensabili per lo scambio di notizie, idee, prodotti. La fiera si è conclusa con la decisione di dar vita ad "Un'agenzia di informazione e collegamento sull'autogestione", che dovrebbe fungere da punto di riferimento per la circolazione dei saperi, e lo scambio dei materiali. Un piccolo ma importante passo perché le tante case sparse del popolo dell'autogestione gettino le fondamenta della loro piazza, del loro paese.

Una rete fuori dal mercato

Durante la fiera dell'Autogestione di Padova (7/10 settembre) si è tenuta una riunione molto informale su: scambi, baratti, gratuità, condivisione per una rete di rapporti extramercantili. Questo è il comunicato che è stato sottoscritto dai/dalle partecipanti: "Esistono, anche in Italia, realtà locali che stanno sviluppando la possibilità di scambiarsi beni e servizi in una sfera extramercantile. Fino ad ora è stato utilizzato principalmente il baratto, ma si pratica anche la gratuità, l'ospitalità e la condivisione sia attraverso bollettini di collegamento che attraverso momenti di incontro come feste e mercatini. Per quanto riguarda Milano e Imperia nasce spontanea la necessità di praticare forme più allargate di baratto utilizzando gettoni locali o altre metodologie. Proprio l'esistenza di tante possibili alternative (alcune delle quali già sperimentate: dollari verdi, reti LET, crediti elettronici, gettoni tempo eccÂ… e altre ancora da sperimentare) ha creato la consapevolezza che una nuova economia alternativa non potrà adottare un unico metodo, ma dovrà sostenersi integrandone molti e puntando sulla molteplicità. L'obbiettivo non è tanto, distruggere il denaro, quanto distruggere la dittatura del denaro sulle nostre menti, cambiando in primo luogo quegli atteggiamenti che tendono a riportarci ai parametri che sono tipici del sistema mercantile. Le prime esperienze locali sottolineano che praticare direttamente le alternative al denaro è molto più proficuo e costruttivo della troppa teoria che si consuma sulla ricerca dell'unico metodo perfetto, e che finisce per essere un ostacolo alla partecipazione diretta.
RETE DEGLI SCAMBI E DEI BARATTI (autoproduce un bollettino che riporta notizie e informazioni sul baratto, proposte di baratto, gratuità, ospitalità ecc. provenienti da tutte quelle zone che non hanno ancora riferimenti locali. Fa anche da collegamento tra i vari nodi che già praticano varie forme di scambio) Via Farini 79, 20159 Milano.
RETE DEL LIBERO SCAMBIO DI IMPERIA (autoproduce un bollettino che riporta le varie proposte di baratto locali, organizza anche mercati del baratto) Via Nazionale 68 Imperia presso il Centro Studi Libertari Emma Goldman.
PRISCILLA E FRANCO (produzione orticola biologica, tentativi di scambio anche tramite dono) Negi Crestiai, Seborga, Imperia.
COOPERATIVA ALEKOS (scopo: favorire la realizzazione di un ambiente di lavoro attento ai lavori della relazione, della convivenza, del mutualismo, della solidarietà e dell'ecologia) via Plana 49, Milano.
È importante sottolineare che esistono altre realtà locali che praticano il baratto, ma non essendo stati presenti alla fiera non hanno potuto sottoscrivere quanto sopra.