Rivista Anarchica Online
Un colloquio sulla cultura libertaria
di Atelier de Création
Libertaire
L'Atelier de Création Libertaire e il Centre de
Sociologie des représentations et des Pratiques
Culturelles (Università Pierre Mendès - France - Grenoble) hanno
intenzione, per la primavera
1996 (seconda metà del mese di marzo), di organizzare un colloquio-incontro
dedicato alla
cultura libertaria. Vi proponiamo questi due contributi che, speriamo, vi invoglieranno a
prendere parte a questi dibattiti cui vi esortiamo vivamente a offrire la vostra collaborazione.
Vi invitiamo a inviarci le vostre idee, suggerimenti ed, eventualmente, la proposta di una
comunicazione. Atelier de Création Libertaire BP
1186 69202 L YON CEDEX 01
Alain Pessin Centre de Sociologie des Représentations et des
Pratiques Culturelles BP47 38040 GRENOBLE CEDEX 9
PER UNA CULTURA LIBERTARIA Cosa resta delle
nostre convinzioni, delle nostre certezze, delle nostre verità, dei nostri progetti,
dei nostri sogni? Vale la pena dirlo subito: quasi niente. Per rendersene conto, è
sufficiente allontanarsi di qualche passo dai nostri luoghi di vita nei quali
è ancora possibile trovare tracce del desiderio di cambiamento, da quei luoghi dove
tentiamo di
mantenere in vita una speranza, con strumenti e modi talvolta differenti. Sì, in
effetti, se andiamo in questi non luoghi che sono: le strade pedonali delle grandi
città, i
centri commerciali, le autostrade, le stazioni e gli aeroporti ecc., ci rendiamo rapidamente
conto
che la realtà non è quell'atelier dell'utopia, nel quale viviamo in
quanto militanti libertari. Allora, spontaneamente, ci domandiamo se è
veramente possibile realizzare, creare la società
libera e senza ingiustizia nella quale desidereremmo vivere. Allora, naturalmente, gettiamo
uno
sguardo sui due decenni che abbiamo appena attraversato e le attività quotidiane
mediante le
quali abbiamo espresso il nostro desiderio. E riflettiamo, dunque, su questi "cambiamenti
necessari", questo "bisogno di rivolta", questo "desiderio di libertà" che, come un
vessillo,
abbiamo letteralmente issato, contro venti e maree. Cerchiamo, infine, riguardando il
cammino
percorso, di fare un bilancio. Ma non dimentichiamo che non siamo commercianti di idee, e
che
tale bilancio non sarà l'indice sui libri contabili delle perdite e dei profitti che
abbiamo realizzato,
né di ciò che sono state le relazioni che abbiamo potuto stabilire dopo una
ventina d'anni. Il nostro bilancio consisterà, semplicemente, nel guardare noi
stessi, riflettere sulle proposte che
abbiamo potuto formulare a un dato momento, alle iniziative alle quali abbiamo preso parte,
agli
spazi di libertà che abbiamo potuto/saputo creare. Pensiamo che questo bilancio,
affinché noi si possa considerare un altro futuro che non sia
unicamente la continuazione pura e semplice delle nostre vecchie
attività, dovrà essere
abbastanza obiettivo. Questo bilancio dovrà diventare, in effetti, una fonte alla quale
noi si possa
attingere nuove energie per sostenerne i "cambiamenti necessari", le "voci che comunicano",
le
"persone che lottano". Riflettere sul nostro passato, su ciò che siamo, su chi siamo e
su ciò che
vogliamo oggi, noi, militanti libertari, non implica il blocco delle attività. Ma, essere
attivi in un
gruppo editoriale, in un'organizzazione a noi affine o d'interesse collettivo, o ancora in forme
associative il cui scopo è quello di contribuire ai cambiamenti nei rapporti sociali,
non deve
nascondere la "solitudine" alla quale siamo confinati, l'impotenza nella quale ci troviamo di
fronte alle tragedie della realtà. Per constatare questa impotenza, questa
"solitudine", mettiamo l'una di fianco all'altra
l'immagine del mondo e la sala piena di fumo dove, attorno a un tavolo, decine di persone si
confrontano con grandi frasi (spontanee o che si rifanno agli ormai classici rivoluzionari), per
cercare soluzioni ai problemi del mondo. Rivisitiamo le grandi e generose iniziative contro le
guerre, contro le oppressioni, contro l'alienazione, contro ... Riguardiamo i
clichés e i videonastri
dove, a centinaia o talvolta migliaia, effettuavamo il percorso del combattente politico, contro
quella o quell'altra politica del governo, per la libertà di quella o quell'altra
personalità
conosciuta a livello internazionale, così come dell'indomito nostro vicino di
pianerottolo. Certo, non vi troveremo nulla di ridicolo, perché quelle pratiche
non sono state inutili, e non
tanto perché abbiamo ottenuto delle "vittorie", ma per la testimonianza che esse
rappresentano.
Testimonianza che è il frutto di un impegno volontario e partecipativo di ciascuno di
noi affinché
queste iniziative possano realizzarsi. Questo cammino, per noi ventennale, rimane dunque la
testimonianza concreta che è possibile "fare qualche cosa". Ma senza illusioni. Noi
non abbiamo
più illusioni. Senza false speranze, come quelle che abbiamo potuto avere nel corso
di questi due decenni e, più recentemente, a proposito delle rivolte delle
periferie, o delle manifestazioni dei
giovani, con le loro bandiere nere, la primavera scorsa. Senza sognare, come abbiamo fatto
ogni
volta che ci è parso di cogliere l'inizio di un movimento radicale (quasi tutte le riviste
libertarie
e anarchiche del mondo hanno stampato, ultimamente, titoli come: Il ritorno di Zapata!).
Lucidi, e senza l'accecamento ideologico degli anni che ci siamo lasciati alle spalle, noi
non
dobbiamo guardare a un mondo virtuale che ci viene proposto quotidianamente dai mezzi di
comunicazione di massa, specie la televisione, né volere soltanto, a nostra volta,
creare nei nostri
atelier utopici una società virtuale che non avrà il suo fondamento nella
realtà di oggi. Il nostro compito ci sembra molto più semplice e coerente
con ciò che desideriamo. Crediamo
necessario che ciascuno sia pronto a partecipare a un'attività, a un'iniziativa, nella
quale potrà
sentirsi il più possibile partecipante e insieme iniziatore, restando consapevole della
contraddizione, insolubile e fruttuosa, tra il nostro desiderio di migliorare immediatamente la
nostra vita e la nostra convinzione che nel suo fondamento, la
società nella quale viviamo non
è emendabile. Lasciamo dunque le vecchie dispute ideologiche, gli anatemi o
più chiaramente gli insulti, le
esclusioni, il settarismo ecc. nei nostri centri di documentazione, affinché siano
testimoni delle
pratiche ridicole di altri tempi. Ridicole soprattutto allorché si mettono, come
abbiamo detto in
precedenza, fianco a fianco, le nostre controversie, incapacità, talvolta, a comunicare
tra di noi,
con i "problemi del mondo", e anche con l'influenza reale che abbiamo potuto avere, che
è lungi
dall'essere trascurabile, ma non si trova obbligatoriamente là dove pensiamo di
trovarla. Si tratta, dunque, di pensare il futuro cercando di dialogare tra noi, libertari, e
gli "altri". Creare
passerelle che consentano a ciascuno di andare verso i luoghi nei quali potrà
esprimersi, e
sviluppare legami che potranno aiutarci nel nostro quotidiano e in un approccio a
cambiamenti
possibili nella realtà, nel sociale (il naturale?). Dicevamo di non credere
più in grandi cose. Ma allora in tempo di bilanci cosa possiamo dire?
In mancanza di convinzioni, restano dei "valoriĀ»: Libertà, lotta contro le ingiustizie
(ecc.?). Ma
questi "valori" non sono, per noi, verità rivelate. È per questo che vogliamo
continuare a
confrontarli con la realtà nella quale viviamo, attraverso il gioco che accettiamo di
giocare in
questa società. Occorre forse che abbandoniamo i nostri sogni sotto il
cuscino, la mattina,
allorché rientriamo nei non-luoghi che vengono offerti dai mercanti
d'illusioni? Occorre forse
lasciare al guardaroba le nostre idee, allorché siamo al nostro posto di lavoro, nei
nostri uffici
o al caffè, al mercato, a scuola o in una prigione? Certamente no. Ma bisogna
fare in modo che il sogno di una rivoluzione, di uno sciopero
generale, non diventi un'occasione, un paio di occhiali con cui vedere il mondo rosso
e nero.
Crediamo che occorra provare a vivere i nostri sogni nel nostro quotidiano, e non attendere di
viveri i un giorno, quando ... Alla fine, per quel che ci riguarda, il nostro sogno, non
l'unico, ma uno di quelli attraverso cui
si esprime il nostro desiderio di apportare dei cambiamenti alla società nella quale
viviamo, è di
contribuire affinché si sviluppi una cultura libertaria. Perché, tra
i "valori" che ci paiono certi
e indispensabili al nostro futuro, c'è quella che noi chiamiamo cultura
libertaria. Ma allora, per tornare al bilancio necessario per proseguire le nostre
attività, è indispensabile
porsi le seguenti questioni: Cos'è una cultura libertaria? Come si trasmette?
Attraverso quali
strumenti? Chi sono i suoi portatori e iniziatori? L'atelier di
creazione libertaria, il gruppo di persone che gli è più vicino, e quello
più numeroso
di quelli che seguono con attenzione e interesse ciò che propone, ci sembra poter
essere, ancora
per qualche tempo, uno di quegli atelier utopici nei quali questi interrogativi potranno trovare
un ambito di riflessione. Teniamo a precisare, che questo ambito, per noi, non è un
ginnasio per
teorici libertari, ma un luogo in cui le diverse forme e idee che la cultura libertaria
può
ragionevolmente trasmettere oggi si scambiano e arricchiscono reciprocamente. Questi
interrogativi intorno alla cultura libertaria, dunque, saranno una delle basi delle
riflessioni che sollecitiamo, sin da ora, sotto forma di contributi che saranno oggetto di un
incontro-colloquio ... Infine, quale che sia la nostra angoscia di fronte agli avvenimenti
che scorrono su questo nastro
trasportatore che è l'informazione quotidiana, regalando valigie piene d'oro a taluni,
miseria o
povertà agli altri, noi crediamo ancora a qualcosa. Pensiamo che la riflessione, la
scrittura, le
parole, possano aiutarci a concretizzare il nostro sogno.
LA CULTURA LIBERTARIA: CULTURA DELL'IMPOSSIBILE O
IMPOSSIBILE
CULTURA Il XX secolo si avvia a conclusione.
Ciò che si conclude è una certa forma della società
industriale, destinata a funzionare in un confronto-scontro di uomini, d'interessi comuni e di
speranze. Il lavoro di mobilitazione di ogni velleità di rivolta al profitto del sistema
economico-politico, testé così magistralmente descritto da Herbert Marcuse,
sembra compiuto: l'esistenza
di milioni di uomini e di donne allo sbando nella società francese di oggi
s'accompagna a un
ripiegamento, se non a una scomparsa, di "movimenti sociali". L'invenzione della vita, per
alcuni, non può nascere che nella resistenza comune, nel sospetto di un destino
collettivo, nella
speranza a lungo termine. Oggi, essendosi spento tutto ciò, in effetti non rimane
quasi nulla di
quello che, a partire dal XIX secolo, tante lotte avevano inaugurato, né convinzioni,
né certezze,
né fiducia, che definivano un'esigenza libertaria. Forse che la rivolta - e non la
"rabbia" di una
gioventù che cerca di sopravvivere - la rivolta in ciò che essa comporta in
termini di lucidità e
generosità, non è più, per un piccolissimo numero, che un dovere
disperato? Il lavoro che
intraprendiamo intende, quanto meno, svolgere opera di chiarificazione; dovendo sforzarsi
senza
compiacenza d'inventariare e analizzare dei gesti, degli atti che permangono, a dispetto di
tutto,
chiaramente contrassegnati da un'intenzione libertaria. Atti e gesti che non siano le vestigia
fossilizzate della militanza quando questa si attenua o scompare, ma un lavoro reale, per
quanto
minimo possa essere, di costruzione e invenzione, di rifiuto e proposta. Una caratterizzazione
della cultura libertaria, in atto, se essa si rivela non come ultimo sogno. Uno degli aspetti
della
"post-modernità" dev'essere preso particolarmente sul serio: quello dell'esplosione,
della
disseminazione dei riferimenti culturali di ognuno e di ogni gruppo sociale. Le culture
alternative, ribelli o rivoluzionarie, quelle che erano particolarmente unificate dalla loro
ideologia, corrono, in questa circostanza in cui l'ideologia svanisce, il rischio di una pura e
semplice squalifica. Prima di valutarne l'attualità, è necessario
domandarsi se una tale cultura sia mai esistita. C'è mai
stata, c'è una cultura libertaria, vale a dire non solamente delle concezioni e delle
rappresentazioni, bensì delle pratiche incorporate, dei riflessi acquisiti dello spirito e
del corpo,
che saranno stabilizzati, riprodotti, rinforzati fino a creare abitudini individuali e collettive
che
funzionino senza avere bisogno di controllo ideologico? Solamente allora, il problema
sarà quello di sapere ciò che ne resta, e se la fiducia di taluni
storici in un "instancabile anarchismo" può doppiare il capo del nuovo millennio.
(traduzione di Stefano Vìviani)
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