Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 217
aprile 1995


Rivista Anarchica Online

Un colloquio sulla cultura libertaria
di Atelier de Création Libertaire

L'Atelier de Création Libertaire e il Centre de Sociologie des représentations et des Pratiques Culturelles (Università Pierre Mendès - France - Grenoble) hanno intenzione, per la primavera 1996 (seconda metà del mese di marzo), di organizzare un colloquio-incontro dedicato alla cultura libertaria. Vi proponiamo questi due contributi che, speriamo, vi invoglieranno a prendere parte a questi dibattiti cui vi esortiamo vivamente a offrire la vostra collaborazione.
Vi invitiamo a inviarci le vostre idee, suggerimenti ed, eventualmente, la proposta di una comunicazione.
Atelier de Création Libertaire BP 1186
69202 L YON CEDEX 01

Alain Pessin
Centre de Sociologie des Représentations et des Pratiques Culturelles BP47
38040 GRENOBLE CEDEX 9

PER UNA CULTURA LIBERTARIA
Cosa resta delle nostre convinzioni, delle nostre certezze, delle nostre verità, dei nostri progetti, dei nostri sogni? Vale la pena dirlo subito: quasi niente.
Per rendersene conto, è sufficiente allontanarsi di qualche passo dai nostri luoghi di vita nei quali è ancora possibile trovare tracce del desiderio di cambiamento, da quei luoghi dove tentiamo di mantenere in vita una speranza, con strumenti e modi talvolta differenti.
Sì, in effetti, se andiamo in questi non luoghi che sono: le strade pedonali delle grandi città, i centri commerciali, le autostrade, le stazioni e gli aeroporti ecc., ci rendiamo rapidamente conto che la realtà non è quell'atelier dell'utopia, nel quale viviamo in quanto militanti libertari.
Allora, spontaneamente, ci domandiamo se è veramente possibile realizzare, creare la società libera e senza ingiustizia nella quale desidereremmo vivere. Allora, naturalmente, gettiamo uno sguardo sui due decenni che abbiamo appena attraversato e le attività quotidiane mediante le quali abbiamo espresso il nostro desiderio. E riflettiamo, dunque, su questi "cambiamenti necessari", questo "bisogno di rivolta", questo "desiderio di libertà" che, come un vessillo, abbiamo letteralmente issato, contro venti e maree. Cerchiamo, infine, riguardando il cammino percorso, di fare un bilancio. Ma non dimentichiamo che non siamo commercianti di idee, e che tale bilancio non sarà l'indice sui libri contabili delle perdite e dei profitti che abbiamo realizzato, né di ciò che sono state le relazioni che abbiamo potuto stabilire dopo una ventina d'anni.
Il nostro bilancio consisterà, semplicemente, nel guardare noi stessi, riflettere sulle proposte che abbiamo potuto formulare a un dato momento, alle iniziative alle quali abbiamo preso parte, agli spazi di libertà che abbiamo potuto/saputo creare.
Pensiamo che questo bilancio, affinché noi si possa considerare un altro futuro che non sia unicamente la continuazione pura e semplice delle nostre vecchie attività, dovrà essere abbastanza obiettivo. Questo bilancio dovrà diventare, in effetti, una fonte alla quale noi si possa attingere nuove energie per sostenerne i "cambiamenti necessari", le "voci che comunicano", le "persone che lottano". Riflettere sul nostro passato, su ciò che siamo, su chi siamo e su ciò che vogliamo oggi, noi, militanti libertari, non implica il blocco delle attività. Ma, essere attivi in un gruppo editoriale, in un'organizzazione a noi affine o d'interesse collettivo, o ancora in forme associative il cui scopo è quello di contribuire ai cambiamenti nei rapporti sociali, non deve nascondere la "solitudine" alla quale siamo confinati, l'impotenza nella quale ci troviamo di fronte alle tragedie della realtà.
Per constatare questa impotenza, questa "solitudine", mettiamo l'una di fianco all'altra l'immagine del mondo e la sala piena di fumo dove, attorno a un tavolo, decine di persone si confrontano con grandi frasi (spontanee o che si rifanno agli ormai classici rivoluzionari), per cercare soluzioni ai problemi del mondo. Rivisitiamo le grandi e generose iniziative contro le guerre, contro le oppressioni, contro l'alienazione, contro ... Riguardiamo i clichés e i videonastri dove, a centinaia o talvolta migliaia, effettuavamo il percorso del combattente politico, contro quella o quell'altra politica del governo, per la libertà di quella o quell'altra personalità conosciuta a livello internazionale, così come dell'indomito nostro vicino di pianerottolo.
Certo, non vi troveremo nulla di ridicolo, perché quelle pratiche non sono state inutili, e non tanto perché abbiamo ottenuto delle "vittorie", ma per la testimonianza che esse rappresentano. Testimonianza che è il frutto di un impegno volontario e partecipativo di ciascuno di noi affinché queste iniziative possano realizzarsi. Questo cammino, per noi ventennale, rimane dunque la testimonianza concreta che è possibile "fare qualche cosa". Ma senza illusioni. Noi non abbiamo più illusioni. Senza false speranze, come quelle che abbiamo potuto avere nel corso di questi due
decenni e, più recentemente, a proposito delle rivolte delle periferie, o delle manifestazioni dei giovani, con le loro bandiere nere, la primavera scorsa. Senza sognare, come abbiamo fatto ogni volta che ci è parso di cogliere l'inizio di un movimento radicale (quasi tutte le riviste libertarie e anarchiche del mondo hanno stampato, ultimamente, titoli come: Il ritorno di Zapata!).
Lucidi, e senza l'accecamento ideologico degli anni che ci siamo lasciati alle spalle, noi non dobbiamo guardare a un mondo virtuale che ci viene proposto quotidianamente dai mezzi di comunicazione di massa, specie la televisione, né volere soltanto, a nostra volta, creare nei nostri atelier utopici una società virtuale che non avrà il suo fondamento nella realtà di oggi.
Il nostro compito ci sembra molto più semplice e coerente con ciò che desideriamo. Crediamo necessario che ciascuno sia pronto a partecipare a un'attività, a un'iniziativa, nella quale potrà sentirsi il più possibile partecipante e insieme iniziatore, restando consapevole della contraddizione, insolubile e fruttuosa, tra il nostro desiderio di migliorare immediatamente la nostra vita e la nostra convinzione che nel suo fondamento, la società nella quale viviamo non è emendabile.
Lasciamo dunque le vecchie dispute ideologiche, gli anatemi o più chiaramente gli insulti, le esclusioni, il settarismo ecc. nei nostri centri di documentazione, affinché siano testimoni delle pratiche ridicole di altri tempi. Ridicole soprattutto allorché si mettono, come abbiamo detto in precedenza, fianco a fianco, le nostre controversie, incapacità, talvolta, a comunicare tra di noi, con i "problemi del mondo", e anche con l'influenza reale che abbiamo potuto avere, che è lungi dall'essere trascurabile, ma non si trova obbligatoriamente là dove pensiamo di trovarla.
Si tratta, dunque, di pensare il futuro cercando di dialogare tra noi, libertari, e gli "altri". Creare passerelle che consentano a ciascuno di andare verso i luoghi nei quali potrà esprimersi, e sviluppare legami che potranno aiutarci nel nostro quotidiano e in un approccio a cambiamenti possibili nella realtà, nel sociale (il naturale?).
Dicevamo di non credere più in grandi cose. Ma allora in tempo di bilanci cosa possiamo dire? In mancanza di convinzioni, restano dei "valoriĀ»: Libertà, lotta contro le ingiustizie (ecc.?). Ma questi "valori" non sono, per noi, verità rivelate. È per questo che vogliamo continuare a confrontarli con la realtà nella quale viviamo, attraverso il gioco che accettiamo di giocare in questa società. Occorre forse che abbandoniamo i nostri sogni sotto il cuscino, la mattina, allorché rientriamo nei non-luoghi che vengono offerti dai mercanti d'illusioni? Occorre forse lasciare al guardaroba le nostre idee, allorché siamo al nostro posto di lavoro, nei nostri uffici o al caffè, al mercato, a scuola o in una prigione?
Certamente no. Ma bisogna fare in modo che il sogno di una rivoluzione, di uno sciopero generale, non diventi un'occasione, un paio di occhiali con cui vedere il mondo rosso e nero. Crediamo che occorra provare a vivere i nostri sogni nel nostro quotidiano, e non attendere di viveri i un giorno, quando ...
Alla fine, per quel che ci riguarda, il nostro sogno, non l'unico, ma uno di quelli attraverso cui si esprime il nostro desiderio di apportare dei cambiamenti alla società nella quale viviamo, è di contribuire affinché si sviluppi una cultura libertaria. Perché, tra i "valori" che ci paiono certi e indispensabili al nostro futuro, c'è quella che noi chiamiamo cultura libertaria.
Ma allora, per tornare al bilancio necessario per proseguire le nostre attività, è indispensabile porsi le seguenti questioni: Cos'è una cultura libertaria? Come si trasmette? Attraverso quali strumenti? Chi sono i suoi portatori e iniziatori?
L'atelier di creazione libertaria, il gruppo di persone che gli è più vicino, e quello più numeroso di quelli che seguono con attenzione e interesse ciò che propone, ci sembra poter essere, ancora per qualche tempo, uno di quegli atelier utopici nei quali questi interrogativi potranno trovare un ambito di riflessione. Teniamo a precisare, che questo ambito, per noi, non è un ginnasio per teorici libertari, ma un luogo in cui le diverse forme e idee che la cultura libertaria può ragionevolmente trasmettere oggi si scambiano e arricchiscono reciprocamente.
Questi interrogativi intorno alla cultura libertaria, dunque, saranno una delle basi delle riflessioni che sollecitiamo, sin da ora, sotto forma di contributi che saranno oggetto di un incontro-colloquio ...
Infine, quale che sia la nostra angoscia di fronte agli avvenimenti che scorrono su questo nastro trasportatore che è l'informazione quotidiana, regalando valigie piene d'oro a taluni, miseria o povertà agli altri, noi crediamo ancora a qualcosa. Pensiamo che la riflessione, la scrittura, le parole, possano aiutarci a concretizzare il nostro sogno.

LA CULTURA LIBERTARIA: CULTURA DELL'IMPOSSIBILE O IMPOSSIBILE CULTURA
Il XX secolo si avvia a conclusione. Ciò che si conclude è una certa forma della società industriale, destinata a funzionare in un confronto-scontro di uomini, d'interessi comuni e di speranze. Il lavoro di mobilitazione di ogni velleità di rivolta al profitto del sistema economico-politico, testé così magistralmente descritto da Herbert Marcuse, sembra compiuto: l'esistenza di milioni di uomini e di donne allo sbando nella società francese di oggi s'accompagna a un ripiegamento, se non a una scomparsa, di "movimenti sociali". L'invenzione della vita, per alcuni, non può nascere che nella resistenza comune, nel sospetto di un destino collettivo, nella speranza a lungo termine. Oggi, essendosi spento tutto ciò, in effetti non rimane quasi nulla di quello che, a partire dal XIX secolo, tante lotte avevano inaugurato, né convinzioni, né certezze, né fiducia, che definivano un'esigenza libertaria. Forse che la rivolta - e non la "rabbia" di una gioventù che cerca di sopravvivere - la rivolta in ciò che essa comporta in termini di lucidità e generosità, non è più, per un piccolissimo numero, che un dovere disperato? Il lavoro che intraprendiamo intende, quanto meno, svolgere opera di chiarificazione; dovendo sforzarsi senza compiacenza d'inventariare e analizzare dei gesti, degli atti che permangono, a dispetto di tutto, chiaramente contrassegnati da un'intenzione libertaria. Atti e gesti che non siano le vestigia fossilizzate della militanza quando questa si attenua o scompare, ma un lavoro reale, per quanto minimo possa essere, di costruzione e invenzione, di rifiuto e proposta. Una caratterizzazione della cultura libertaria, in atto, se essa si rivela non come ultimo sogno. Uno degli aspetti della "post-modernità" dev'essere preso particolarmente sul serio: quello dell'esplosione, della disseminazione dei riferimenti culturali di ognuno e di ogni gruppo sociale. Le culture alternative, ribelli o rivoluzionarie, quelle che erano particolarmente unificate dalla loro ideologia, corrono, in questa circostanza in cui l'ideologia svanisce, il rischio di una pura e semplice squalifica.
Prima di valutarne l'attualità, è necessario domandarsi se una tale cultura sia mai esistita. C'è mai stata, c'è una cultura libertaria, vale a dire non solamente delle concezioni e delle rappresentazioni, bensì delle pratiche incorporate, dei riflessi acquisiti dello spirito e del corpo, che saranno stabilizzati, riprodotti, rinforzati fino a creare abitudini individuali e collettive che funzionino senza avere bisogno di controllo ideologico?
Solamente allora, il problema sarà quello di sapere ciò che ne resta, e se la fiducia di taluni storici in un "instancabile anarchismo" può doppiare il capo del nuovo millennio.
(traduzione di Stefano Vìviani)