Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 217
aprile 1995


Rivista Anarchica Online

Omaggio a Lalla Romano
di Marc de' Pasquali

«Il tenore dell'Italia deriva dall'assenza di uomini illustri."
Delacroix

Conoscenza è libertà, o si conquista o si subisce quella degli altri. C'è chi ce l'ha nel sangue. Lalla Romano - partigiana, pittrice, prosatrice dalla nobile età, Demetra bellissima, ce l'ha sparsa ovunque per il suo laboratorio abitazione, tra i mobili di quando si è sposata, tra i suoi mille libri, per questo va giubilata con orgoglio.
Nasce a Demonte (Cuneo) 1'11 novembre 1906 (nello stesso giorno della madre e della nonna e di Vittorio Emanuele III, quell'ometto che dopo aver raffazzonato un duce se la diede a gambe): festa di san Martino, colui che separa per condividere e sinonimo di traslochi in una parlata ormai dispersa ... Con rimpianto ricordiamo quando la nostra Signora incrociava Cesare Pavese fra gli scrupolosi silenzi dei lunghi tavoli della biblioteca universitaria di Torino mentre in quella di Santo Stefano Belbo nell'ultima alluvione in cui sono annegate - nel 2000! - quasi cento persone, occhiali e penna dello scrittore (che la incoraggiava a lasciare la pittura per la scrittura) vengono infangati, come il nostro patrimonio culturale; d'altronde "maturi si nasce", Lei ci rammenta citando Pavese. Con rimpianto ricordiamo i tempi in cui la nostra Signora caldeggiata da Montale pubblicava col raffinato e lungimirante Giulio Einaudi non ancora una delle trecento e passa indebitate roccaforti abbrancate dal capo dei consigli per gli acquisti. Rimpiangiamo i tempi in cui i suoi amici erano Primo Levi, Arnaldo Momigliano, Mario Soldati, Natalia Ginzburg, i nascosti nell'altrove Casorati e Vittorini; i tempi in cui le colpe venivano esplorate importando Melville e Hawthorne, in cui L'educazione sentimentale era divulgata tramite papà Flaubert, e la Romano insegnava leggendo capitoli di Tolstoj e Gogol, affrontando un'altra logorante Resistenza coi post-repubblichini alla Scelba - andati i topi tàcchete i mastini. Rimpiangiamo i tempi di Bacchelli (fissato - prima di morire in miseria - nel ripeterLe di scrivere in terza persona), e Bo, Sereni, Testori il peccaminoso; i tempi delle corrispondenze con Citati, la Banti, Elsa Morante, delle collaborazioni a Il Verri, Il caffè, Paragone, Nuovi Argomenti, la Fiera Letteraria, delle sedute al Comune di Milano nelle file degl'indipendenti P.C.I. II tempo del passato, La penombra che abbiamo attraversato (Einaudi '64) e dimenticato: la mancanza del senso delle proporzioni (sconsolatamente cercasi autocontrollo), ci annienterà.
Il destino dell'Arte è l'immortalità. "Nel rispondere - o non - alle occasioni formiamo noi stessi il nostro destino", Lalla Romano veglia indomita, saggia, calmante, perciò parte di questo 25 Aprile l'è dovuto.
La Romano è sette persone insieme nate sotto l'egida del libero arbitrio. La Sposa - a Cuneo con un impiegato di banca, Innocenzo Monti (quel nome nell'84 scivolerà per sempre nei Mari estremi), conosciuto in montagna conversando di Modigliani. La Mamma (illuminata da una gravida luna dorata) - di Piero nell'anno dell'incendio del Reichstag e della legge agraria del nazionalsocialismo (1933), de Le parole tra noi leggere che le fanno vincere lo Strega '69. La nonna - di Emiliano che è L'ospite; la Partigiana (sfollata) - movimento "Giustizia e Libertà" aderente al Partito d'Azione dei fratelli Rosselli, nelle retrovie delle valli cuneesi col suo piccolo, nel Tetto Murato ("scrivere è una cura"). L'Insegnante - ogni giorno su presto per 25 anni. La Traduttrice - Flaubert e Delacroix la fecero traghettare dalla pittura alla letteratura. Traduzioni e trasformazioni: la Pittrice attraversando la Poesia diviene Prosatrice, e grande, definitivamente, voluttuosamente. Unica. Questa Lalla Romano della maturità talmente famosa e prolifica, imparagonabilmente più riuscita con le parole che Le gemmano a ripetizione nel suo tinello, con le sue frasi serie e povere d'imposizioni moraliste, deve certo la sua profondità alla Lalla Romano minore che fu sciatrice nel manto remoto delle tele abbandonate (dopo una brillante personale a Cuneo nel '45). La citeremo dunque, per forza. Une jeunesse inventée (olio su cartone del '27) "diventerà verità nella vecchiaia" (1) e romanzo nel '79, "la pittura non consiste nei quadri fatti ma nel farli." E con ciò la Romano matura - diavolo d'una donna! - col suo solito energico dire, sistema la Romano giovane pittrice. Non scoraggiamoci, anche se i suoi quadri minuti non si possono vedere con frequenza essendo quasi tutti di (Sua) proprietà privata (alcuni firmati L. Monti), anche se non abbiamo il catalogo della mostra Omaggio a Lalla Romano. Pittura disegni manoscritti documenti (Palazzo della Ragione, Milano, scorso autunno). Dalla Sua eclettica (mettiamoci un bel po' di virgolette) produzione, estrapoliamo alcuni ritratti femminili e virili, delle nature morte che sono i clavicembali ben temperati degli artisti, dei disegni a inchiostro di china e matita rossa e blu (fra una correzione di compiti in classe e l'altra), dei fiori che respirano nei lillà e nel melo, uno stato d'animo nei paesaggi contemplati. "Ritratti vuoi dire volto, quel volto deve essere ambiguo, intenso e misterioso come un romanzo". Quello più conosciuto e che assomiglia alla madre, forse perché l'oleografia sovente ce lo tramanda anche sulle copertine (Bollati-Boringhieri), è l'Autoritratto severo (olio su cartone del '40). Diversamente non lo poteva chiamare. Pare un ussaro (non potendo dire una montanara rubizza che sarei malamente fraintesa, e non voglio), un ussaro tirato su a pennellate nervose, imprecise, dal busto antico, amazzone, fermo, con una notevole testa a tre quarti, triangolare, zigomi alti, superbamente piemontese che fa presumere il resto, ben chiuso e insolente e giunonico, dalla scolastica eleganza; ha un'aria rabbiosa, sfrontata, sfuggente solo se ci si distrae, altrimenti lo sguardo è sfidaiolo, dal leggero strabismo, ha una sola basetta visibile, nera, alla spagnola, e s'intravvede una sfumatura alta sulla nuca, forgiata da barbieri d'annata; pomelli rossi, naso rosso (niente Freud, è da "moccichino», da buoni baroli davanti al camino), labbro inferiore rosso che sostiene una bocca piccola che nulla ha a che fare con l'ingordigia o la sensualità; quasi un'icona da amare. Pure l'Autoritratto con veletta (olio su cartone telato del '38) ha la bocca in tinta col vapore viola del fiore sul cappellino perfetto, impressionista, avvolto nella rete d'un'epoca strasepolta coi guanti, una di quelle signore col capo fiero che intervenivano a proposito (chinandolo un poco di lato), che non fumavano per strada, che amabilmente riservate, suonavano i notturni di Chopin, leggevano Stendhal in francese e citavano i classici come battute e scrivevano lettere argute, signore che non insultavano né simulavano deformando le loro labbra sacre da baciare, signore dal femminismo implicito che a parte la nobiltà e l'autoconservazione, bandivano tronfie euforie, eccessi, aspettative - criminali televendite. Il Ritratto di Ginetta O., di Zia Maria, di Silvia in controluce, sono molto sentiti, eseguiti sfaccendando per casa,anche quello del figlio Piero (adolescente che pensa) e del marito Innocenzo sul terrazzo; bello l'arabo di Giovane uomo con berretto bianco ('37). Poi tanti omaggi: compotiers dalle raffinate ciliegie alle De Pisis (che omaggiò a sua volta Delacroix), e quotidianità sublimi alla Chardin, melanconie amaranto d'un tetto morandiano, aria delle Apuane appena macchiate, la copertina di un libro di Nuto Rovelli coi soldati pigiati nel menefreghismo autoritario, ripiegati, visti di spalle, in ritirata, freddolosi, affamati, umiliati, nella morte, e che la Romano pittrice ha reso con strazio; ricordano una scritta sulla lavagna dell'aula G al Liceo Leonardo di Milano occupato nel novembre scorso: "Anche se sei il numero uno, sei sempre soltanto un numero"... Sebbene aprile sia dolce dormire, dati i precedenti, vedremo di non giacere sugli allori di questi nostri rimpianti liberatori, il livore del presente è pesante, sintetizzato ad hoc da Lalla Romano: "Non so proprio cosa abbiano in mente quelli che oggi vogliono rinnovare il partito fascista ... è sbagliato dire che sotto il fascismo gli italiani erano tutti infelici, perché non è vero. Allora, chi era contro se la vedeva brutta e pagava di persona, ma gli altri non stavano male. Alla gente quell'organizzazione di capi-fabbricato piaceva. Così, è andata che fino alle leggi razziali - quando tutti hanno cominciato a vedere cos'era veramente il fascismo - la maggior parte della gente non aveva capito nulla. E se uno non dava noia viveva tranquillo. I regimi fanno anche comodo, proteggono. Alla gente i regimi piacciono per questo ... in Italia il pericolo viene sempre da destra. Siamo figli dell'attimo in cui beviamo l'ultimo vino" (2).

1) da La provincia dell'uomo di Elias Canetti.
2) da Reset N. 9 settembre 1994 - Donzelli Editore.