Rivista Anarchica Online
Omaggio a Lalla Romano
di Marc de' Pasquali
«Il tenore dell'Italia deriva dall'assenza di uomini
illustri." Delacroix
Conoscenza è libertà, o si conquista o si subisce quella degli altri.
C'è chi ce l'ha nel sangue.
Lalla Romano - partigiana, pittrice, prosatrice dalla nobile età, Demetra bellissima,
ce l'ha sparsa
ovunque per il suo laboratorio abitazione, tra i mobili di quando si è sposata, tra i
suoi mille libri,
per questo va giubilata con orgoglio. Nasce a Demonte (Cuneo) 1'11 novembre 1906
(nello stesso giorno della madre e della nonna
e di Vittorio Emanuele III, quell'ometto che dopo aver raffazzonato un duce se la diede a
gambe):
festa di san Martino, colui che separa per condividere e sinonimo di traslochi in una parlata
ormai dispersa ... Con rimpianto ricordiamo quando la nostra Signora incrociava Cesare
Pavese
fra gli scrupolosi silenzi dei lunghi tavoli della biblioteca universitaria di Torino mentre in
quella
di Santo Stefano Belbo nell'ultima alluvione in cui sono annegate - nel 2000! - quasi cento
persone, occhiali e penna dello scrittore (che la incoraggiava a lasciare la pittura per la
scrittura)
vengono infangati, come il nostro patrimonio culturale; d'altronde "maturi si nasce", Lei ci
rammenta citando Pavese. Con rimpianto ricordiamo i tempi in cui la nostra Signora
caldeggiata
da Montale pubblicava col raffinato e lungimirante Giulio Einaudi non ancora una delle
trecento
e passa indebitate roccaforti abbrancate dal capo dei consigli per gli acquisti. Rimpiangiamo i
tempi in cui i suoi amici erano Primo Levi, Arnaldo Momigliano, Mario Soldati, Natalia
Ginzburg, i nascosti nell'altrove Casorati e Vittorini; i tempi in cui le colpe venivano
esplorate
importando Melville e Hawthorne, in cui L'educazione sentimentale era
divulgata tramite papà
Flaubert, e la Romano insegnava leggendo capitoli di Tolstoj e Gogol, affrontando un'altra
logorante Resistenza coi post-repubblichini alla Scelba - andati i topi tàcchete i
mastini.
Rimpiangiamo i tempi di Bacchelli (fissato - prima di morire in miseria - nel ripeterLe di
scrivere
in terza persona), e Bo, Sereni, Testori il peccaminoso; i tempi delle corrispondenze con
Citati,
la Banti, Elsa Morante, delle collaborazioni a Il Verri, Il
caffè, Paragone, Nuovi Argomenti, la
Fiera Letteraria, delle sedute al Comune di Milano nelle file degl'indipendenti
P.C.I. II tempo
del passato, La penombra che abbiamo attraversato (Einaudi '64) e dimenticato:
la mancanza
del senso delle proporzioni (sconsolatamente cercasi autocontrollo), ci annienterà.
Il destino dell'Arte è l'immortalità. "Nel rispondere - o non - alle
occasioni formiamo noi stessi
il nostro destino", Lalla Romano veglia indomita, saggia, calmante, perciò parte di
questo 25
Aprile l'è dovuto. La Romano è sette persone insieme nate sotto l'egida
del libero arbitrio. La Sposa - a Cuneo con
un impiegato di banca, Innocenzo Monti (quel nome nell'84 scivolerà per sempre nei
Mari
estremi), conosciuto in montagna conversando di Modigliani. La Mamma (illuminata
da una
gravida luna dorata) - di Piero nell'anno dell'incendio del Reichstag e della legge agraria del
nazionalsocialismo (1933), de Le parole tra noi leggere che le fanno vincere lo
Strega '69. La
nonna - di Emiliano che è L'ospite; la Partigiana (sfollata) - movimento
"Giustizia e Libertà"
aderente al Partito d'Azione dei fratelli Rosselli, nelle retrovie delle valli cuneesi col suo
piccolo,
nel Tetto Murato ("scrivere è una cura"). L'Insegnante - ogni giorno su
presto per 25 anni. La
Traduttrice - Flaubert e Delacroix la fecero traghettare dalla pittura alla letteratura.
Traduzioni
e trasformazioni: la Pittrice attraversando la Poesia diviene Prosatrice, e grande,
definitivamente,
voluttuosamente. Unica. Questa Lalla Romano della maturità talmente famosa e
prolifica,
imparagonabilmente più riuscita con le parole che Le gemmano a ripetizione nel suo
tinello, con
le sue frasi serie e povere d'imposizioni moraliste, deve certo la sua profondità alla
Lalla Romano
minore che fu sciatrice nel manto remoto delle tele abbandonate (dopo una brillante
personale
a Cuneo nel '45). La citeremo dunque, per forza. Une jeunesse inventée
(olio su cartone del '27)
"diventerà verità nella vecchiaia" (1) e romanzo nel '79, "la pittura non
consiste nei quadri fatti
ma nel farli." E con ciò la Romano matura - diavolo d'una donna! - col suo solito
energico dire,
sistema la Romano giovane pittrice. Non scoraggiamoci, anche se i suoi quadri minuti non si
possono vedere con frequenza essendo quasi tutti di (Sua) proprietà privata (alcuni
firmati L.
Monti), anche se non abbiamo il catalogo della mostra Omaggio a Lalla Romano.
Pittura disegni
manoscritti documenti (Palazzo della Ragione, Milano, scorso autunno). Dalla Sua
eclettica
(mettiamoci un bel po' di virgolette) produzione, estrapoliamo alcuni ritratti femminili e
virili,
delle nature morte che sono i clavicembali ben temperati degli artisti, dei disegni a inchiostro
di
china e matita rossa e blu (fra una correzione di compiti in classe e l'altra), dei fiori che
respirano
nei lillà e nel melo, uno stato d'animo nei paesaggi contemplati. "Ritratti vuoi dire
volto, quel
volto deve essere ambiguo, intenso e misterioso come un romanzo". Quello più
conosciuto e che
assomiglia alla madre, forse perché l'oleografia sovente ce lo tramanda anche sulle
copertine
(Bollati-Boringhieri), è l'Autoritratto severo (olio su cartone del '40).
Diversamente non lo
poteva chiamare. Pare un ussaro (non potendo dire una montanara rubizza che sarei
malamente
fraintesa, e non voglio), un ussaro tirato su a pennellate nervose, imprecise, dal busto antico,
amazzone, fermo, con una notevole testa a tre quarti, triangolare, zigomi alti, superbamente
piemontese che fa presumere il resto, ben chiuso e insolente e giunonico, dalla scolastica
eleganza; ha un'aria rabbiosa, sfrontata, sfuggente solo se ci si distrae, altrimenti lo sguardo
è
sfidaiolo, dal leggero strabismo, ha una sola basetta visibile, nera, alla spagnola, e
s'intravvede
una sfumatura alta sulla nuca, forgiata da barbieri d'annata; pomelli rossi, naso rosso (niente
Freud, è da "moccichino», da buoni baroli davanti al camino), labbro inferiore rosso
che sostiene
una bocca piccola che nulla ha a che fare con l'ingordigia o la sensualità; quasi
un'icona da
amare. Pure l'Autoritratto con veletta (olio su cartone telato del '38) ha la bocca
in tinta col
vapore viola del fiore sul cappellino perfetto, impressionista, avvolto nella rete d'un'epoca
strasepolta coi guanti, una di quelle signore col capo fiero che intervenivano a
proposito
(chinandolo un poco di lato), che non fumavano per strada, che amabilmente riservate,
suonavano i notturni di Chopin, leggevano Stendhal in francese e citavano i classici come
battute
e scrivevano lettere argute, signore che non insultavano né simulavano deformando le
loro labbra
sacre da baciare, signore dal femminismo implicito che a parte la nobiltà e
l'autoconservazione,
bandivano tronfie euforie, eccessi, aspettative - criminali televendite. Il Ritratto di
Ginetta O.,
di Zia Maria, di Silvia in controluce, sono molto sentiti, eseguiti
sfaccendando per casa,anche
quello del figlio Piero (adolescente che pensa) e del marito Innocenzo sul
terrazzo; bello l'arabo
di Giovane uomo con berretto bianco ('37). Poi tanti omaggi: compotiers dalle
raffinate ciliegie
alle De Pisis (che omaggiò a sua volta Delacroix), e quotidianità sublimi alla
Chardin,
melanconie amaranto d'un tetto morandiano, aria delle Apuane appena macchiate, la
copertina
di un libro di Nuto Rovelli coi soldati pigiati nel menefreghismo autoritario, ripiegati, visti di
spalle, in ritirata, freddolosi, affamati, umiliati, nella morte, e che la Romano pittrice ha reso
con
strazio; ricordano una scritta sulla lavagna dell'aula G al Liceo Leonardo di Milano occupato
nel
novembre scorso: "Anche se sei il numero uno, sei sempre soltanto un numero"... Sebbene
aprile
sia dolce dormire, dati i precedenti, vedremo di non giacere sugli allori di questi nostri
rimpianti
liberatori, il livore del presente è pesante, sintetizzato ad hoc da Lalla Romano: "Non
so proprio
cosa abbiano in mente quelli che oggi vogliono rinnovare il partito fascista ... è
sbagliato dire che
sotto il fascismo gli italiani erano tutti infelici, perché non è vero. Allora, chi
era contro se la
vedeva brutta e pagava di persona, ma gli altri non stavano male. Alla gente
quell'organizzazione
di capi-fabbricato piaceva. Così, è andata che fino alle leggi razziali - quando
tutti hanno
cominciato a vedere cos'era veramente il fascismo - la maggior parte della gente non aveva
capito nulla. E se uno non dava noia viveva tranquillo. I regimi fanno anche comodo,
proteggono. Alla gente i regimi piacciono per questo ... in Italia il pericolo viene sempre da
destra. Siamo figli dell'attimo in cui beviamo l'ultimo vino" (2).
1) da La
provincia dell'uomo di Elias Canetti. 2) da Reset N. 9 settembre
1994 - Donzelli Editore.
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