Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 217
aprile 1995


Rivista Anarchica Online

Il voto dei mercati
di Carlo Oliva

Un'analisi lucida e disincantata del linguaggio economico oggi tanto in voga. Tra borse che crollano e tassi che salgono, il valzer delle prossime elezioni di ogni tipo, per tutti i gusti

Lo scorso gennaio, sembra un secolo fa, il buon Lamberto Dini ebbe a dichiarare, presentando il suo governo alla Camera e chiedendone il voto di fiducia, che i "mercati votano tutti i giorni". Un'espressione al tempo stesso criptica e banale, con cui l'allora aspirante Presidente del Consiglio intendeva significare, più o meno, che installando a Palazzo Chigi un tecnico notoriamente serio e qualificato par suo, al posto di un pasticcione con il debole per l'improvvisazione e l'occhio attento esclusivamente agli affaracci suoi come quello che c'era prima, si sarebbe dato agli ambienti finanziari internazionali un "segnale" di tanta importanza da suscitare da parte loro un'autentica ondata di fiducia verso la lira, richiamando da ogni dove gli investimenti e invertendo il trend negativo che travagliava la nostra vita e i titoli in essa espressi. Si faceva forte, cioè, di quello che all'epoca tutti definivano speranzosamente l'"effetto Dini".
Come i fatti hanno dimostrato, mai dichiarazione fu più incauta. Se al momento in cui scrivo la sorte di Dini è ancora, per qualche verso, un po' incerta, quella della lira, indeflettibilmente avviata verso il basso, no.
Per quante spiegazioni "oggettive" gli zelatori del governo tecnico abbiano escogitato per spiegare lo straordinario fallimento dell'attività di "risanamento" avviata da personaggi così competenti (la debolezza del dollaro, dovuta a sua volta alla crisi messicana, o alle conseguenze del terremoto in Giappone o a chissà che; lo strapotere del marco; il crollo della borsa; il fallimento della banca della regina e quant'altro) è evidente che se i mercati dovevano votare, hanno votato decisamente contro. E il loro deplorevole (e deploratissimo) voto, unito all'ancor più deplorevole comportamento di chi doveva appoggiare la manovra e non l'ha fatto (o non l'ha fatto abbastanza: dipende da come si svilupperanno le cose) ha fatto sì che non so quante decine di migliaia di miliardi si siano "polverizzate", lasciando i cittadini, com'è antica tradizione della politica italiana, in braghe di tela.
Ma non è questo il tema su cui intendo intrattenervi:il fatto è che le tristi vicende del governo Dini possono offrire l'occasione di qualche utile riflessione metodologica. Credo di aver già avuto l'occasione di far notare ai lettori di "A" che, a parte le braghe di tela che, se si andrà avanti come si sta andando avanti rischiano di essere fin troppo letterali, molte espressioni del paragrafo precedente hanno l'interessante caratteristica di essere, in buona sostanza, metaforiche. E le metafore, per definizione, rinviano a qualcosa d'altro, che può essere interessante individuare.
Così, i mercati, naturalmente, non "votano":al massimo votano i mercanti, nel senso di indirizzare i capitali da una parte o dall'altra, esprimendo così delle preferenze e modificando il valore dei beni tratti, valute comprese. La borsa non "crolla", se non nel senso dell'edificio in cui si svolgono le sue operazioni (e forse non sarebbe quella gran disgrazia); il marco, in sé, non è "potente" né "strapotente", come la lira, poveretta, non "sale" e non "scende", né tanto meno "vola" o "precipita". Quanto alle decine di migliaia di miliardi de quibus non si sono certo "polverizzati" nel senso che qualche creatura malvagia abbia passato al tritacarne o abbia cosparso di cherosene e poi dato alle fiamme un equivalente quantitativo di banconote nuove o usate: non sono più disponibili perché, in seguito a varie operazioni finanziarie legate al cambio e alla quotazione dei titoli sono semplicemente passate di mano. Che, lo converrete, è tutt'altra cosa.
In sostanza, l'uso di quelle metafore permette di servirsi di certe astrazioni, previa una specie di investitura di realtà, per spiegare (o semplicemente descrivere) attraverso la loro interazione alcuni fenomeni abbastanza complessi senza riferirsi all'attività di alcun soggetto concreto. Dire che "i mercati non rispondono alla manovra e la lira precipita" in realtà non significa nulla: è un'espressione dal valore puramente simbolico, il cui significato varierà a seconda del valore che ciascuno sarà disposto ad assegnare ai suoi termini. L'interpretazione di chi, diciamo così, è disposto (o indotto) a prenderla sul serio sarà diversa da quella di chi non si scorda che dietro ai mercati, le manovre e le lire, ci sono sempre i mercanti (gli operatori economici), i manovratori (i politici) e i detentori di lire e non è detto che le tre categorie siano sempre distinte, come il caso di Berlusconi, ma non solo il suo, dovrebbe averci insegnato.

Il ruolo dei tecnici
Non è tutto, naturalmente. Oltre che investire di realtà le astrazioni, è assai opportuno investire di necessità le loro interazioni. Elevarle, cioè, allo stato di "leggi", meglio se "scientifiche", stabilendo una volta per tutte che quando i mercati non rispondono, la lira precipita con la stessa ineluttabile precisione della mela diretta verso il naso di Newton. Una volta definito il meccanismo, la soluzione dei vari problemi è pressoché obbligatoria: alle leggi di questo tipo non è possibile obiettare alcunché e di chiunque cerchi di farlo ci si potrà agevolmente sbarazzare denunciando la sua incompetenza.
Oggi la vita economica (e quella politica, che per convenzione vi è strettamente correlata) si svolge con la funzionalità e la regolarità di un meccanismo ben oliato. Ogni emergenza ha il suo rimedio, in un sistema rigorosamente referenziale. Agli "attacchi della speculazione" risponderanno, non sempre con successo, gli "interventi della Banca centrale". Al "disordine dei mercati" e al "crescere inarrestabile del debito pubblico" si ovvia, manco a dirlo, con una "politica di rigore". Alla iattura dell'inflazione si reagisce, per definizione, con l'innalzamento dei tassi e basterà ripetere il concetto un numero sufficiente di volte perché tutti, apprendendo che l'inflazione è alle porte, invochino quella salutare medicina, compresi i molti che ignorano esattamente che cosa sia un tasso e come diavolo si faccia ad innalzarlo ( l'inflazione, lo sanno tutti, è l'aumento dei prezzi, ma è meglio non chiamarla così, perché se non qualcuno potrebbe sentirsi tentato dal dare la colpa, che so, ai bottegai, il che non si deve assolutamente fare, non perché i bottegai, in genere, siano incolpevoli del fenomeno, ma perché è vietato chiamare in gioco concreti soggetti sociali di qualsiasi tipo). Al buon funzionamento del meccanismo presiedono, per definizione, i tecnici: se l'opera di qualche tecnico non darà i risultati sperati, vorrà dire che non era tecnico abbastanza e che è ora di sostituirlo, salva la possibilità, da parte sua, di addebitare ogni responsabilità a chi non lo ha lasciato lavorare.
Il bello di questo modello + che non richiede alcun intervento politico in senso stretto. Non essendo i problemi in gioco questione di programmi o di proposte (non si può proporre di far funzionare in modo inverso una legge scientifica, no?), ma di competenze, il gioco politico tradizionale può essere messo praticamente tra parentesi. Ma visto che, naturalmente, dei politici in democrazia non si può fare a meno, per conservare la specie è stato inventato uno spazio tutto per loro: quello virtuale, tanto adatto a quest'epoca di informazione elettronica diffusa, dei teleschermi. Ivi confinati, i vari leader possono sfogarsi in contrapposizioni, manovre, affondi, parate e dibattiti, in cui il criterio ultimo di valutazione sarà la loro capacità di coordinare le rispettive impressioni visuali (il look, si diceva una volta). Riducendo la politica rappresentativa a spettacolo e quella sostanziale a pura competenza gestionale, si può governare una società all'infinito, qualsiasi cosa succeda.
Ai cittadini, naturalmente, si potrà concedere di votare quanto vogliono. Non sarà un caso se nei prossimi mesi, a quanto sembra, per celebrare il disastro incombente ci chiameranno a votare almeno quattro volte: per le regionali, per le amministrative di molti centri importanti (in due turni), per nove referendum nove e, per finire in bellezza, per le politiche (o per le politiche senza referendum, se Berlusconi ce la fa). Sarà un'occasione per moltiplicare i talk show, i faccia a faccia, le interviste, le tribune, le telefonate in onda e la partecipazione dei padri della patria agli spettacoli di varietà. Perché poi i cittadini in questione dovrebbero partecipare a un'operazione sulla cui effettiva futilità, in fondo, concordano gli stessi protagonisti, non è chiarissimo. Ma questo è un altro problema.