Rivista Anarchica Online
Il voto dei mercati
di Carlo Oliva
Un'analisi lucida e disincantata del linguaggio economico oggi tanto in voga. Tra borse che
crollano e tassi che salgono, il valzer delle prossime elezioni di ogni tipo, per tutti i gusti
Lo scorso gennaio, sembra un secolo fa, il buon Lamberto Dini
ebbe a dichiarare,
presentando il suo governo alla Camera e chiedendone il voto di fiducia, che i "mercati
votano tutti i giorni". Un'espressione al tempo stesso criptica e banale, con cui l'allora
aspirante Presidente del Consiglio intendeva significare, più o meno, che installando
a
Palazzo Chigi un tecnico notoriamente serio e qualificato par suo, al posto di un pasticcione
con il debole per l'improvvisazione e l'occhio attento esclusivamente agli affaracci suoi come
quello che c'era prima, si sarebbe dato agli ambienti finanziari internazionali un "segnale" di
tanta importanza da suscitare da parte loro un'autentica ondata di fiducia verso la lira,
richiamando da ogni dove gli investimenti e invertendo il trend negativo che travagliava la
nostra vita e i titoli in essa espressi. Si faceva forte, cioè, di quello che all'epoca tutti
definivano speranzosamente l'"effetto Dini". Come i fatti hanno dimostrato, mai
dichiarazione fu più incauta. Se al momento in cui scrivo
la sorte di Dini è ancora, per qualche verso, un po' incerta, quella della lira,
indeflettibilmente
avviata verso il basso, no. Per quante spiegazioni "oggettive" gli zelatori del governo
tecnico abbiano escogitato per
spiegare lo straordinario fallimento dell'attività di "risanamento" avviata da
personaggi così
competenti (la debolezza del dollaro, dovuta a sua volta alla crisi messicana, o alle
conseguenze del terremoto in Giappone o a chissà che; lo strapotere del marco; il
crollo della
borsa; il fallimento della banca della regina e quant'altro) è evidente che se i mercati
dovevano votare, hanno votato decisamente contro. E il loro deplorevole (e deploratissimo)
voto, unito all'ancor più deplorevole comportamento di chi doveva appoggiare la
manovra e
non l'ha fatto (o non l'ha fatto abbastanza: dipende da come si svilupperanno le cose) ha fatto
sì che non so quante decine di migliaia di miliardi si siano "polverizzate", lasciando i
cittadini, com'è antica tradizione della politica italiana, in braghe di tela. Ma non
è questo il tema su cui intendo intrattenervi:il fatto è che le tristi vicende del
governo
Dini possono offrire l'occasione di qualche utile riflessione metodologica. Credo di aver
già
avuto l'occasione di far notare ai lettori di "A" che, a parte le braghe di tela che, se si
andrà
avanti come si sta andando avanti rischiano di essere fin troppo letterali, molte espressioni
del paragrafo precedente hanno l'interessante caratteristica di essere, in buona sostanza,
metaforiche. E le metafore, per definizione, rinviano a qualcosa d'altro, che può
essere
interessante individuare. Così, i mercati, naturalmente, non "votano":al massimo
votano i mercanti, nel senso di
indirizzare i capitali da una parte o dall'altra, esprimendo così delle preferenze e
modificando
il valore dei beni tratti, valute comprese. La borsa non "crolla", se non nel senso dell'edificio
in cui si svolgono le sue operazioni (e forse non sarebbe quella gran disgrazia); il marco, in
sé, non è "potente" né "strapotente", come la lira, poveretta, non
"sale" e non "scende", né
tanto meno "vola" o "precipita". Quanto alle decine di migliaia di miliardi de quibus
non si
sono certo "polverizzati" nel senso che qualche creatura malvagia abbia passato al tritacarne
o abbia cosparso di cherosene e poi dato alle fiamme un equivalente quantitativo di
banconote nuove o usate: non sono più disponibili perché, in seguito a varie
operazioni
finanziarie legate al cambio e alla quotazione dei titoli sono semplicemente passate di mano.
Che, lo converrete, è tutt'altra cosa. In sostanza, l'uso di quelle metafore permette
di servirsi di certe astrazioni, previa una specie
di investitura di realtà, per spiegare (o semplicemente descrivere) attraverso la loro
interazione alcuni fenomeni abbastanza complessi senza riferirsi all'attività di alcun
soggetto
concreto. Dire che "i mercati non rispondono alla manovra e la lira precipita" in
realtà non
significa nulla: è un'espressione dal valore puramente simbolico, il cui significato
varierà a
seconda del valore che ciascuno sarà disposto ad assegnare ai suoi termini.
L'interpretazione
di chi, diciamo così, è disposto (o indotto) a prenderla sul serio sarà
diversa da quella di chi
non si scorda che dietro ai mercati, le manovre e le lire, ci sono sempre i mercanti (gli
operatori economici), i manovratori (i politici) e i detentori di lire e non è detto che le
tre
categorie siano sempre distinte, come il caso di Berlusconi, ma non solo il suo, dovrebbe
averci insegnato.
Il ruolo dei tecnici Non
è tutto, naturalmente. Oltre che investire di realtà le astrazioni, è
assai opportuno
investire di necessità le loro interazioni. Elevarle, cioè, allo stato di "leggi",
meglio se
"scientifiche", stabilendo una volta per tutte che quando i mercati non rispondono, la lira
precipita con la stessa ineluttabile precisione della mela diretta verso il naso di Newton. Una
volta definito il meccanismo, la soluzione dei vari problemi è pressoché
obbligatoria: alle
leggi di questo tipo non è possibile obiettare alcunché e di chiunque cerchi di
farlo ci si potrà
agevolmente sbarazzare denunciando la sua incompetenza. Oggi la vita economica (e
quella politica, che per convenzione vi è strettamente correlata) si
svolge con la funzionalità e la regolarità di un meccanismo ben oliato. Ogni
emergenza ha il
suo rimedio, in un sistema rigorosamente referenziale. Agli "attacchi della speculazione"
risponderanno, non sempre con successo, gli "interventi della Banca centrale". Al "disordine
dei mercati" e al "crescere inarrestabile del debito pubblico" si ovvia, manco a dirlo, con una
"politica di rigore". Alla iattura dell'inflazione si reagisce, per definizione, con l'innalzamento
dei tassi e basterà ripetere il concetto un numero sufficiente di volte perché
tutti, apprendendo
che l'inflazione è alle porte, invochino quella salutare medicina, compresi i molti che
ignorano esattamente che cosa sia un tasso e come diavolo si faccia ad innalzarlo (
l'inflazione, lo sanno tutti, è l'aumento dei prezzi, ma è meglio non chiamarla
così, perché se
non qualcuno potrebbe sentirsi tentato dal dare la colpa, che so, ai bottegai, il che non si deve
assolutamente fare, non perché i bottegai, in genere, siano incolpevoli del fenomeno,
ma
perché è vietato chiamare in gioco concreti soggetti sociali di qualsiasi tipo).
Al buon
funzionamento del meccanismo presiedono, per definizione, i tecnici: se l'opera di qualche
tecnico non darà i risultati sperati, vorrà dire che non era tecnico abbastanza
e che è ora di
sostituirlo, salva la possibilità, da parte sua, di addebitare ogni responsabilità
a chi non lo ha
lasciato lavorare. Il bello di questo modello + che non richiede alcun intervento politico
in senso stretto. Non
essendo i problemi in gioco questione di programmi o di proposte (non si può
proporre di far
funzionare in modo inverso una legge scientifica, no?), ma di competenze, il gioco politico
tradizionale può essere messo praticamente tra parentesi. Ma visto che, naturalmente,
dei
politici in democrazia non si può fare a meno, per conservare la specie è
stato inventato uno
spazio tutto per loro: quello virtuale, tanto adatto a quest'epoca di informazione elettronica
diffusa, dei teleschermi. Ivi confinati, i vari leader possono sfogarsi in contrapposizioni,
manovre, affondi, parate e dibattiti, in cui il criterio ultimo di valutazione sarà la loro
capacità di coordinare le rispettive impressioni visuali (il look, si
diceva una volta).
Riducendo la politica rappresentativa a spettacolo e quella sostanziale a pura competenza
gestionale, si può governare una società all'infinito, qualsiasi cosa
succeda. Ai cittadini, naturalmente, si potrà concedere di votare quanto vogliono.
Non sarà un caso se
nei prossimi mesi, a quanto sembra, per celebrare il disastro incombente ci chiameranno a
votare almeno quattro volte: per le regionali, per le amministrative di molti centri importanti
(in due turni), per nove referendum nove e, per finire in bellezza, per le politiche (o per le
politiche senza referendum, se Berlusconi ce la fa). Sarà un'occasione per
moltiplicare i talk
show, i faccia a faccia, le interviste, le tribune, le telefonate in onda e la
partecipazione dei
padri della patria agli spettacoli di varietà. Perché poi i cittadini in questione
dovrebbero
partecipare a un'operazione sulla cui effettiva futilità, in fondo, concordano gli stessi
protagonisti, non è chiarissimo. Ma questo è un altro problema.
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