Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 216
marzo 1995


Rivista Anarchica Online

Il fascismo come illusione e consolazione
di Carlo Oliva

Dimostrare la non attualità del fascismo e inferirne, più o meno in buona fede, la futilità di qualsiasi residua pregiudiziale antifascista è, notoriamente, la cosa più facile del mondo. Come esercizio storico-retorico è davvero alla portata di tutti. Tutti sanno che il fascismo, inteso come movimento storico organizzato, è stato sconfitto con la seconda guerra mondiale, mezzo secolo fa, e che da allora è sopravvissuto in forme residuali, la più importante delle quali, quella del falangismo spagnolo, si è autodissolta ormai da vent'anni. E se nel frattempo non sono certo mancate nel pianeta esperienze di governi autoritari e nazionalisti, in Europa (Grecia) e altrove, bisogna ammettere che, in genere, le loro tipologie non sono riconducibili direttamente al modello fascista, e che sostanzialmente estranei a quel modello vanno considerati i vari regimi militari che hanno afflitto e affliggono la maggior parte dei paesi ex-coloniali e quelli dell'America Latina.
Altrettanto lontane dalla nostra esperienza (e dalla cultura contemporanea) sembrano le componenti ideologiche di quel movimento. Certo, il nazionalismo, che ne rappresenta una delle matrici più importanti, continua a mietere vittime, alimenta, anzi, forme sempre più efferate di fanatismo, ma è abbastanza facile dimostrare che le sue manifestazioni attuali rappresentano, in sostanza, degli sviluppi affatto moderni. Il nazionalismo contemporaneo, da un lato, tende a confondersi con il tribalismo e l'integralismo, si tinge di motivazioni millenaristico religiose che il fascismo, in sé, non ha mai conosciuto, e dall'altro, in un'epoca in cui sembrano avviarsi in qualche modo a soluzione le questioni nazionali «storiche» (l'irlandese, la tedesca ... ), rivive in forma - a sua volta - residuale, alimentando, malinconico e sanguinoso appannaggio delle «piccole patrie» dimenticate dalla storia, le illusioni di chi, nei Balcani, nel Caucaso, in Asia Centrale o altrove, si illude di poter approfittare della fine dell'equilibrio bipolare per affermare una propria (presunta) identità. Il nazionalismo fascista, in fondo, si poneva come principio ordinatore a livello planetario (aspirava, né più né meno, alla conquista del mondo): oggi l'ordine mondiale, se non proprio dominato, come diceva non ricordo più chi, dallo Stato Imperialista delle Multinazionali, è sicuramente più integrato a livello economico e politico di quanto non sia mai stato a memoria d'uomo.
Poco, pochissimo, infine, sembrano avere a che fare con noi le varie sfumature di irrazionalismo superomistico cui il fascismo, non sempre esplicitamente, si è richiamato. Una constatazione, in definitiva, abbastanza ovvia per chi riflette su come l'Übermensch, stringi stringi, sia nato come rifiuto dell'incipiente società industriale e come la polemica contro le sue forme organizzative di massa caratterizzasse i vari elitismi degli anni '20 e '30. Oggi, naturalmente, il modello della società di massa è?fuori discussione e quando lo si discute lo si fa da tutt'altro punto di vista. Sarebbe azzardato affermare che nella nostra società le tendenze irrazionalistiche siano state definitivamente sconfitte, ma almeno il principio dello slancio vitale tende a presentarsi sotto le forme del fondamentalismo ecologico più che sotto quelle dell'aggressività istituzionalizzata.
Eppure, è difficile sfuggire all'impressione che tutti questi ragionamenti siano, come dire, piuttosto futili. A partire, naturalmente, dall'ultimo: il fascismo, per quanto elitista si sia dichiarato, non è mai stato né estraneo né antagonista alla società industriale; ne ha rappresentato, piuttosto, una delle possibili varianti ideologiche (e come tale è stato vissuto e denunciato dal grande pensiero conservatore non fascista). E' stato il primo regime che ha saputo utilizzare ai propri fini gli strumenti di comunicazione di massa, integrandoli nei propri meccanismi di costituzione del consenso. E' stato, in un paese per certi versi arretrato com'era l'Italia del primo dopoguerra, portatore di un'esplicita volontà di modernizzazione, che prevedeva una qualche (inedita) forma di integrazione globale delle componenti sociali. Ha rappresentato una possibilità di strutturazione sociale non incompatibile con le modalità di produzione proprie del capitalismo. E nella misura in cui i problemi che lo hanno fatto nascere restano ancora aperti la rappresenta ancora.

Il crescente successo di Alleanza Nazionale
Il fascismo, come si diceva una volta, è sostanzialmente una sovrastruttura: oggi potremmo limitarci a definirlo un sistema ideologico. In quanto tale si fonda su un principio consolatorio. Offre alla piccola e media borghesia, che ne ha sempre rappresentato la base sociale, un'illusione di superiorità sugli strati sociali «inferiori», una superiorità, naturalmente, che né l'organizzazione della produzione né quella del mercato sono in alcun modo in grado di garantire, o semplicemente di giustificare. Inserisce il principio elitista in una struttura gerarchica, permettendo a quanti vi ci si riconoscono di considerarsi affrancati dai vincoli che ritengono necessari per gli altri: promette ai singoli una libertà che nega alle masse. E' una contraddizione, certo, ma la si supera facilmente, perché una simile pretesa «libertà» non si fonda su quella comune, come vuole il principio democratico, ma s'identifica con la possibilità (e la liceità) di tenere sotto controllo gli antagonisti sociali. In questo senso sembra risolvere una contraddizione che turba da sempre i sonni degli appartenenti alla middle class: quella tra la consapevolezza di essere ormai definitivamente integrati in una struttura produttiva che al singolo non lascia certo grandi margini di autonomia e la volontà di svincolarsene in nome di una propria asserita o tramandata «superiorità». Di classe, di razza, di nazione: non importa, purché sia una superiorità asseribile e in qualche modo riconosciuta. In cambio di questa illusione è quasi ovvio che chi ne fruisce sia più o meno inconsapevolmente disposto ad assicurare obbedienza incondizionata a chi comanda davvero.
In questo senso, l'ipotesi fascista è fin troppo attuale in una società venata da tali e tante tensioni come la nostra. E non a caso raccoglie tanti consensi, perché nessuno sarà tanto ingenuo da credere che il successo crescente di un partito come Alleanza Nazionale sia consequenziale alla dichiarata volontà dei suoi dirigenti di recidere i legami con certi aspetti della tradizione fascista, per erigersi in partito conservatore «rispettabile». Di partiti conservatori rispettabili, sulla piazza, ce ne sono fin troppi. Ma anche i neofascisti più accorti, naturalmente, sono consapevoli della sconfitta storica del loro movimento, non hanno intenzione di perdere tempo in futili revanscismi e sono disposti a una certa dose di maquillage: a recitare il mea culpa su un certo numero di «errori», a considerare «chiuse» certe esperienze, a rinunciare alle legioni romane, all'impero sui colli fatali e persino, chissà, alla fiamma tricolore che si sprigiona dal catafalco del Duce. Ciò a cui non sono disposti a rinunciare, perché rappresenta la fonte stessa delle loro fortune politiche, è l'ipotesi di una società gerarchicizzata, in cui sia istituzionalizzata la non eguaglianza dei soggetti. Una prospettiva che, per essere, ab origine, altamente ideologica, non è meno pericolosa, altro non significando che la chiusura, per via amministrativa (e, potenzialmente, repressiva) di ogni ipotesi democratica. E scusate se è poco.